Non c’è vera felicità per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-renge-kyo. Il sutra afferma: «e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio». Potrebbe forse indicare qualcosa di diverso dalla gioia senza limiti della Legge? Tu sei ovviamente incluso fra gli “esseri viventi” e “là” indica Jambudvipa, in cui è compreso il Giappone. «Felici e a proprio agio» non vuole forse dire che i nostri corpi e le nostre menti, le nostre vite e i nostri ambienti, sono entità dei tremila regni in un singolo istante di vita e il Budda di assoluta libertà? Non c’è vera felicità se non quella di avere fede nel Sutra del Loto. Questo si intende con «pace e sicurezza nell’esistenza presente e nasceranno in circostanze favorevoli nelle successive». Non permettere mai che le avversità della vita ti preoccupino, nemmeno i santi o i saggi possono evitarle.
Recita Nam-myoho-renge-kyo e bevi sakè solo a casa con tua moglie. Quando c’è la sofferenza illuminati rispetto alla sofferenza e quando c’è la gioia apriti alla gioia1. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge? Rafforza il potere della tua fede più che mai.
Con profondo rispetto,
Nichiren
Il ventisettesimo giorno del sesto mese del secondo anno di Kenji (1276)
Segno ciclico hinoe-ne
tratto da Buddismo e Società, n.118, pag. 8
1. Nella prima parte della frase è cruciale il verbo satoru (illuminarsi) che sta ad indicare non il mero rassegnarsi alla sofferenza ma un atteggiamento attivo nei confronti di essa che scaturisce da uno stato vitale elevato e ci permette di comprenderne il valore per la nostra rivoluzione umana e così trasformarla. Nella seconda parte il verbo è hiraku, aprire, lo stesso usato nel principio e nel Gosho L’apertura degli occhi, a significare l’importanza di non abbandonarsi ciecamente all’estasi della gioia ma continuare a mantenere una pratica costante.
In questo brano…
In questo Gosho Nichiren si rivolge a Shijo Kingo, uno dei suoi più fedeli discepoli, in un momento in cui quest’ultimo stava attraversando una delle sue prove più dure. Nichiren vuole trasmettere a Shijo Kingo un fortissimo incoraggiamento a non demordere mai nella fede, e ciò che caratterizza questo scritto, che fra l’altro è molto breve, è proprio la chiarezza nell’esposizione di alcuni aspetti chiave della fede buddista.
Come prima cosa Nichiren ricorda al suo discepolo che, nonostante il duro momento che sta affrontando, egli deve considerarsi comunque incluso fra coloro che vivono “felici e a proprio agio”. In sostanza, il maestro incoraggia il proprio discepolo a credere di essere un Budda indipendentemente dalle circostanze. Questo concetto ribalta quella convinzione, spesso inconsapevole, che, poiché viviamo difficoltà e sofferenze, non ci stiamo sforzando abbastanza o non stiamo praticando bene, quindi, in definitiva, non stiamo esprimendo la nostra Buddità. Si tratta dell’illusione fondamentale degli esseri umani, ossia pensare di non essere Budda oppure di non riuscire a manifestare la Buddità. Nichiren Daishonin, al contrario, afferma in questo scritto che la condizione di Budda insita negli esseri umani è l’unica certezza della vita, e il punto di riferimento da cui ripartire nei momenti bui.
Come il bene passa, passa anche il dolore, e questo significa che «quelli che credono nel Sutra del Loto sono come l’inverno che si trasforma sempre in primavera», come scrive Nichiren in un altro scritto (SND, 4, 209). E molto spesso l’inverno non è esterno a noi, ma è nel cuore; ed è là che dobbiamo portare il sole del Daimoku per sciogliere le nostre illusioni.
L’altro aspetto importante del Gosho è che Nichiren spiega come realizzare e rendere concreta la condizione di “felicità e agio”; ciò è possibile nel momento in cui si vive la sofferenza – qualunque essa sia – illuminandosi in relazione a essa, e quando si vive la gioia aprendosi a essa. Vivere la sofferenza non significa rassegnarvisi, ma sviluppare un atteggiamento attivo basato sull’elevato stato vitale costruito con il Daimoku; partendo da questo stato vitale e da questo atteggiamento, è possibile comprendere che le sofferenze sono in realtà tappe della propria rivoluzione umana.
Aprirsi alla gioia significa non lasciarsi rapire dall’estasi di uno (o più) momenti felici, bensì godere delle gioie della vita continuando a mantenere una pratica costante.
È proprio questa azione continua che ci permette di vivere le esperienze della vita per quello che sono, importanti ma transitorie, godendo e soffrendo, ma senza mai perdere la bussola nel percorso della propria rivoluzione umana.
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Inno alla gioia che deriva dalla legge
Felicità in questo mondo è uno dei Gosho più conosciuti e più saldamente ancorati nella nostra memoria. Per me è stato un punto di riferimento importante non solo riguardo alle mie difficoltà personali, ma anche per incoraggiare gli altri ad affrontare le proprie. «Quando c’è la sofferenza illuminati rispetto alla sofferenza e quando c’è la gioia apriti alla gioia»: questa frase in particolare, che nella versione precedente era «soffri per quel che c’è da soffrire, gioisci per quel che c’è da gioire» l’ho sentita rammentare nelle più svariate occasioni, ma a un certo punto, logorata dall’uso e aggiornata ai tempi nostri, sembrava si fosse trasformata in “soffri per quel che c’è da soffrire, gioisci per quel che c’è da gioire… insomma prendila come viene. Buttati sul divano, fatti un drink e aspetta che ti passi”. Ho cominciato a percepirvi un messaggio povero, un invito alla rassegnazione, tanto che di recente ho deciso di abbandonare le citazioni “a braccio”, di rileggere l’intero Gosho più volte e di approfondire ogni singola frase. Che bellezza tornare alle parole del Daishonin!
Ora, quando incontriamo un problema è naturale provare sofferenza. Talvolta la disperazione prende il sopravvento: impotenti, scoraggiati e incapaci di reagire, ravvisiamo nelle difficoltà un fallimento nella fede, fino a considerarci persone prive di valore e a sentirci in colpa perché non dimostriamo con la nostra testimonianza la “prova concreta”. In un tale stato di frustrazione le parole di Nichiren sono come un toccasana: è un sollievo rendersi conto che sofferenza e gioia fanno parte della vita, che non capitano solo a noi e che, alla fine, nessuno le può evitare, neppure i santi e i saggi.
Tuttavia, questo Gosho ci riserva un incoraggiamento ben più grande della consolazione. È scritto infatti: «”Felici e a proprio agio” non vuole forse dire che i nostri corpi e le nostre menti, le nostre vite e i nostri ambienti, sono entità dei tremila regni in un singolo istante di vita e il Budda di assoluta libertà?». Già questa breve frase ci trasmette due messaggi fondamentali. Il primo è che la felicità si trova qui, celata tra le pieghe dell’esistenza quotidiana, tra i disagi interiori, le malattie, le difficoltà materiali o di relazione. Non importa quale sofferenza stiamo incontrando perché il principio dei tremila mondi ci insegna che la condizione di Buddità li abbraccia tutti, nessuno escluso. Il secondo è che la felicità si trova adesso, poiché, in quanto Budda di assoluta libertà, noi siamo padroni del nostro destino e possiamo decidere in qualsiasi momento in che direzione orientare la nostra vita.
Il Daishonin, sempre nel Gosho, ci incoraggia inoltre a ricercare “la gioia che deriva dalla legge”, a non permettere che le avversità della vita ci preoccupino, a recitare Nam-myoho-renge-kyo qualunque cosa accada, a rafforzare la fede più che mai, a considerare il Daimoku e la fede come la più grande di tutte le gioie. Felicità in questo mondo trabocca insomma dell’energia e della determinazione di chi ricerca l’Illuminazione in ogni istante della propria vita. Altro che rassegnazione! Rileggendolo, non ho saputo immaginare una forza più grande di chi riesce a credere nella bellezza della vita e a vivere con gioia proprio quando le cose vanno tutte alla rovescia. È una sorta di “ostinazione positiva” che richiede un grande coraggio, ma d’altronde “una spada sarà inutile nelle mani di chi non si sforza di lottare” (da Risposta a Kyo’o, NR, 357, 18).
Quello che ho percepito è che una simile condizione di vita si ottiene soltanto se attiviamo ogni fibra del nostro essere, se ce la mettiamo proprio tutta, e se contrastiamo la nostra naturale tendenza all’apatia, alla lamentela e all’autocommiserazione proprio nel momento in cui insorgono le difficoltà. È cruciale sfidare la sofferenza senza concederci il tempo di rimandare a domani, pensando sempre che la vittoria è, appunto, qui e ora. Ricercare “la gioia che deriva dalla Legge” in qualsiasi circostanza è un allenamento quotidiano che fortifica la nostra natura illuminata e indebolisce quella oscurata. Così, se comprendiamo che vincere nella condizione attuale è un requisito indispensabile per la vittoria di domani, sperimenteremo uno stato di vita che si manifesterà come coraggio, determinazione, speranza e allegria. Saremo, in ultima analisi, liberi dalla paura come il “Re Leone”.