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Da un seme, ottantamila bodhisattva - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:50

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Da un seme, ottantamila bodhisattva

Quarantacinque anni fa i praticanti del Buddismo in Europa si contavano sulle dita. Col passare degli anni, tante nazioni si sono unite alla famiglia europea della Soka Gakkai e tanti bodhisattva sono spuntati da questo suolo. Attraverso il racconto della Nuova rivoluzione umana e le interviste ad alcuni membri europei ripercorriamo le tappe di questo cammino

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Quarantacinque anni fa i praticanti del Buddismo in Europa si contavano sulle dita. Col passare degli anni, tante nazioni si sono unite alla famiglia europea della Soka Gakkai e tanti bodhisattva sono spuntati da questo suolo. Attraverso il racconto della Nuova rivoluzione umana e le interviste ad alcuni membri europei ripercorriamo le tappe di questo cammino

Questa storia ha inizio nel 1961, quando Daisaku Ikeda, da un anno terzo presidente della Soka Gakkai, mosse i primi passi verso la realizzazione del sogno di Josei Toda: vedere il Buddismo praticato e diffuso anche fuori del Giappone. È una storia fatta di viaggi e di incontri fra esseri umani che parlano lingue diverse, ma accomunati da sentimenti simili e animati da una grande speranza: che un giorno tante persone in tutto il mondo avrebbero abbracciato il Buddismo di Nichiren Daishonin. Allora l’obiettivo di un mondo più sereno e più giusto sarebbe stato più vicino. Seduto sulla poltrona dell’aereo che lo trasportava per la prima volta in Europa, Shin’ichi, pseudonimo narrativo di Daisaku Ikeda nei romanzi della Rivoluzione umana e della Nuova rivoluzione umana, guardando il sole pensava che, così come esiste un unico sole che illumina il mondo, anche una sola persona risoluta può aprire una nuova strada nella società. «Ogni essere umano ha un sole nel cuore! Le persone che abbracciano il Buddismo di Nichiren Daishonin diventano altrettanti soli che illuminano la strada della felicità alla propria famiglia e ai loro amici. Il successo della mia visita in Europa dipende da quante persone riuscirò a incontrare e motivare» (NRU, 4, 197).
Questo primo viaggio in Europa fu denso di appuntamenti. L’aeroplano, partito dall’aeroporto di Tokyo, atterrò il 5 ottobre nella capitale della Danimarca, Copenaghen, e il viaggio proseguì nelle due settimane successive toccando Düsseldorf, Berlino Ovest e Colonia in Germania, Amsterdam in Olanda, Parigi e Versailles in Francia, Londra in Gran Bretagna, Madrid in Spagna, Ginevra e Zurigo in Svizzera, Vienna in Austria e, infine, Roma e Città del Vaticano. Il 19 ottobre, seduto a un tavolino del ristorante, Ikeda scambiava le sue idee con Yamagishi, un signore giapponese che viveva a Roma da qualche tempo: «Qual è la maggiore impresa – disse sensei – per un essere umano? È lasciare dietro di sé altri che condividono i propri ideali e convinzioni. Siamo limitati in ciò che possiamo compiere durante la nostra vita, e ancor più in ciò che ognuno di noi può fare in due o tre anni. Ecco perché è così importante far crescere gente capace. Questo darà vita a un movimento che continuerà a diffondersi in tutta la società» (NRU, 5, 91).
Due giorni dopo, al Foro Romano, Ikeda scrisse una poesia: In piedi, / tra le rovine di Roma, / sento la certezza / che la Terra della mistica Legge / non perirà mai (ibidem, 107). Fu l’ultima tappa di un programma intenso, che non era certo una gita turistica.
Nel 1963, due anni più tardi, Ikeda tornò in Europa dove visitò nuovamente Parigi, Ginevra, Roma e, per la prima volta, Pompei. I resti della cittadina dell’antica Roma distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., suggerirono a Shin’ichi-Ikeda anche una profonda riflessione sul significato della vita.
«Nessuno può sfuggire alle inevitabili sofferenze della vita e della morte. Nessuna ricchezza, potere o posizione sociale possono modificare questa realtà. Nichiren Daishonin scrisse: “Le cose che gli uomini temono di più in questo mondo sono le fiamme degli incendi, la minaccia delle spade e la morte di questo corpo”. Tutti temono la morte – di fatto ciò è la misura di quanto preziosa sia la vita. Ma il punto cruciale è come utilizziamo la nostra vita così preziosa. Gli esseri umani tendono a trascurare questa fondamentale questione, presi da effimeri piaceri e preoccupati solo del loro immediato vantaggio personale. Ciò è davvero deplorevole. Al contrario, noi membri della Soka Gakkai, che abbracciamo la filosofia del Buddismo di Nichiren Daishonin e, risvegliati alla nostra missione di Bodhisattva della Terra, ci adoperiamo per la felicità dell’umanità e per kosen-rufu, stiamo conducendo vite di insuperabile valore perché dedichiamo il preziosissimo dono della vita al più nobile degli scopi. […] la vita è breve. Non si sa mai cosa potrà accadere; ogni cosa cambia costantemente. Ma se si vive la propria vita in accordo con l’eterna e immutabile legge del Buddismo, si troverà la strada per la felicità perpetua» (NRU, 7, 181-182).
Ma torniamo nel 1961, a Berlino Ovest. Nella notte del 13 agosto il governo comunista della Germania dell’Est aveva fatto erigere una barriera di oltre quaranta chilometri per impedire quel flusso emorragico di fuggiaschi che scappavano dalla Germania dell’Est verso il “libero” occidente. Il cuore di Berlino venne spaccato e improvvisamente intere famiglie furono divise da un muro di pietra e filo spinato. Questo evento profondamente ingiusto rafforzò il desiderio di Ikeda di «divulgare ampiamente una filosofia umanistica capace di forgiare legami tra la gente. Era giunta l’ora che un simile sistema di pensiero si radicasse a fondo nel cuore degli uomini. Avrebbe rivelato la strada di un’infallibile pace nel mondo – la strada di rissho ankoku – facendo penetrare nella società i corretti principi del Buddismo» (NRU, 4, 196).
Ma il Muro, ormai, era un dato di fatto.
E quando Daisaku Ikeda, arrivato a Berlino dopo una breve sosta a Düsseldorf, si trovò a costeggiarlo, iniziò a recitare Daimoku col desiderio di impregnare quel luogo. Anche un bambino tedesco di dieci anni guardava sbalordito dalla sua bicicletta il completamento della barriera. Questo bambino, ha raccontato il responsabile europeo Hideaki Takahashi durante il corso estivo italiano, una volta cresciuto incontrò il Buddismo e oggi è il rappresentante legale della SGI tedesca e vicepresidente della SGI europea: Mathias Gröningen.
Qualche anno fa durante un corso in Giappone Mathias incontrò il presidente Ikeda e dopo essersi scambiati l’un l’altro i ricordi di quel triste periodo per Berlino, Mathias disse che sentiva di essere uno dei frutti di quel Daimoku seminato.
Mathias, che abbiamo incontrato recentemente a Trets insieme agli altri rappresentanti europei di cui pubblichiamo le testimonianze in questo articolo, pratica da trentaquattro anni. La prima volta che venne invitato a una riunione di discussione fu nel 1972 ad Aix en Provence, una ventina di chilometri dall’odierno Centro culturale europeo, dove oggigiorno ogni settimana si tengono corsi di approfondimento della pratica e dello studio per i membri europei (entro la fine del 2006 sono previsti ottanta corsi con la partecipazione di diecimila persone). Tornato a Berlino, vi trovò un solo gruppo. «Quando ho iniziato a praticare tutto era disorganizzato e non esistevano strutture di nessun tipo, l’unica cosa importante era recitare Daimoku con forte fede. Questo ci permise di creare profonde relazioni umane. L’organizzazione venne dopo. Allora Berlino era un gruppo, poi divenne un settore, non esistevano neanche le divisioni. Questa esperienza mi ha permesso di capire che non è tanto importante la struttura quanto costruire forti legami da persona a persona e poi mi ha insegnato a mettere in pratica il concetto di “alzarsi da soli” prima di ogni cosa». Affrontando il tema dei giovani, Mathias vede in loro tante qualità che possono senz’altro aiutare una crescita positiva del movimento di kosen-rufu. «Prima di tutto perché hanno il coraggio di dire quello che non piace loro nell’organizzazione» osserva Mathias. Soprattutto di fronte agli atteggiamenti arroganti, grazie all’innato senso di giustizia che possiedono, i giovani dicono chiaramente quello che pensano senza preoccuparsi delle conseguenze. I giovani hanno la forza e la passione, come diceva Josei Toda, per rivitalizzare la Soka Gakkai. Ovviamente abbiamo uno scopo comune ed è fondamentale l’unità (itai doshin), per questo i giovani dovrebbero ascoltare gli adulti e gli adulti i giovani. «È importante parlare e dirsi francamente le cose che non vanno – ha concluso Mathias – ma lo è altrettanto che ciascuno si basi sulla relazione individuale con il maestro. Così si può evitare che ciascuno pensi di avere ragione e ricercare invece il bene comune».
Anche l’attuale vicedirettore della SGI-UK, Sue Thornton, fu una delle prime praticanti in Gran Bretagna e sicuramente una dei primi membri in Europa non di nazionalità giapponese. Nel 1969 Sue partecipò alla sua prima riunione a Londra un venerdì sera: il giorno dopo, il sabato, ricevette il Gohonzon. L’amica con cui condivideva l’appartamento dipinse una cassa per la frutta per farne un mobiletto dove poter aprire il Gohonzon. «Per noi allora praticare iniziava e finiva – racconta Sue – con la recitazione del Daimoku. Recitavamo tanto Daimoku insieme anche perché non capivamo la filosofia: non c’erano libri, né riviste e provavamo a trasmettere la comprensione dell’insegnamento buddista da persona a persona. Ogni settimana ci trovavamo a recitare tre ore di Daimoku a casa di uno di noi. Riflettendo su questa esperienza, devo dire che iniziare a praticare il Buddismo recitando fin dall’inizio tanto Daimoku significa capire subito che la pratica è recitare Nam-myoho-renge-kyo, e capire questo è fondamentale. Daimoku e visite a casa era tutto quello che potevamo fare».
Nel 1969 a Londra praticavano una cinquantina di persone. Persone che non sapevano cosa fossero la Soka Gakkai e la Nichiren Shoshu ma che avevano capito che se recitavano Daimoku avrebbero potuto cambiare la loro vita. Sue, che di mestiere oggi si occupa di formare i giovani alla produzione teatrale (è direttore nella famosa scuola musicale e teatrale londinese Guildhall School of Music & Drama), ai giovani buddisti lancia un messaggio chiaro: «Vorrei dire loro che qualunque cosa accada, anche inaspettata, porterà la loro felicità, così come le situazioni più difficili. Ho partecipato attivamente alle attività buddiste per tutta la vita e ho compreso che questo è il modo per arrivare alla felicità, non si tratta certo di sacrificarsi. In un momento difficile chiesi un consiglio personale a una responsabile in Giappone e questa donna mi disse: “Mi immagino che ci saranno momenti duri nei quali vorresti stare a lamentarti e compiangerti, ma è proprio in quei momenti che dovresti andare a incoraggiare qualcuno. Così ho sempre fatto, sperimentando ogni volta che si può passare velocemente dallo stato di Inferno a quello di Buddità. Ho sempre avuto un incarico di responsabilità e questa è stata proprio la mia fortuna».
Spesso Eiichi Yamazaki, il responsabile europeo arrivato nel Vecchio Continente nel 1961 veniva a incoraggiare i membri londinesi, oppure erano loro che si recavano a trovarlo a Parigi. Fra il 1972 e il 1973 si sono tenuti gli incontri a Londra fra Daisaku Ikeda e lo storico Arnold Toynbee che hanno dato vita al volume Dialoghi (Choose Life era il titolo dell’edizione inglese). Fra le assistenti c’era anche Sue che ricorda con emozione questa straordinaria occasione che le capitò nei primi anni di pratica. «La sera trascrivevamo a macchina il testo del dialogo per renderlo nel migliore inglese possibile. Una volta in Giappone sensei mi riconobbe e mi disse: “Un giorno scriverò su di te”, nel 2004 ho letto questo episodio della Nuova rivoluzione umana nel capitolo “Dialogue”. Che gioia!».
Prima di ricoprire questo incarico nella Soka Gakkai europea, Eiichi Yamazaki era un noto ricercatore che aveva davanti a sé un futuro brillante nella ricerca scientifica, tanto che il collega che proseguì nella ricerca iniziata insieme, ricevette in seguito il Premio Nobel negli Stati Uniti.
A Yoshiko, la moglie, abbiamo chiesto come reagì di fronte alla decisione del marito di abbandonare la professione di medico e di dedicarsi al movimento di kosen-rufu in Europa. Questa anziana signora gentile ci ha parlato del rispetto che nutriva per la sua decisione perché sentiva che non avendo contribuito in prima persona alle ricerche, non poteva essere lei a decidere. Ma quando l’amico ricercatore con cui lavorava Yamazaki fece rientro negli Stati Uniti e lo invitò a seguirlo, fu felice del rifiuto da parte di suo marito perché l’idea di trasferirsi in America la spaventava e perché desiderava dedicare la sua vita a kosen-rufu. «Io fui contenta di questa scelta – ha ammesso Yoshiko – ma per lui deve essere stata una decisione molto dura perché aveva dedicato tutta la sua vita alla ricerca scientifica. Come racconta anche il presidente Ikeda nel saggio che ha dedicato ad agosto a mio marito [pubblicato alle pagine 16-19 di questo numero, n.d.r.], anche dopo aver scelto di sostenere la Soka Gakkai europea si dirigeva spesso sovrappensiero verso l’istituto di ricerca dove aveva collaborato fino a quel momento. Ma fu l’incidente gravissimo che ci capitò, dopo essere stati a incoraggiare alcuni membri che vivevano lontano da Parigi, a fargli comprendere veramente che la vita era in assoluto la cosa più importante, ancora più importante del Nobel. In quel momento decise di dedicarsi completamente a kosen-rufu».

Pionieri di ieri, oggi e domani

«Oggi la SGI è presente in 190 paesi – ha detto Daisaku Ikeda in un discorso del 2004 – uno sviluppo senza precedenti del movimento di kosen-rufu, realizzato grazie alla dedizione completa di tanti nobili pionieri. Vorrei pregare i giovani, qualsiasi cosa facciano, di non vivere con superficialità i loro anni giovanili, fingendo di sforzarsi e in realtà tirandosi indietro e prendendosela comoda in un’organizzazione che altri hanno costruito. Vorrei che voi, giovani leader della SGI, ereditaste la passione di kosen-rufu e l’essenza profonda dell’inseparabilità di maestro e discepolo che i nostri pionieri hanno coltivato in mezzo alle difficoltà e alle battaglie» (NR, 316, 3).
Chi, meglio dei giovani incarna le qualità del pioniere? E chi, meglio dei giovani che vivono in realtà dove il Buddismo si affaccia timidamente nella società? Per questi motivi abbiamo raccolto la testimonianza diretta di chi, oltre a essere anagraficamente giovane, vive e pratica in nazioni dove il Buddismo sta muovendo i primi passi. «A dire il vero – racconta l’avvocato trentenne Joelle Leblond – la storia della SGI in Belgio è iniziata negli anni ’60 da una coppia di danzatori giapponesi, venuti a ballare insieme a un coreografo famoso. Quando, dopo dieci anni hanno dovuto smettere di ballare per l’età, e hanno aperto un ristorante, le riunioni venivano organizzate in base all’orario di chiusura. È stata dura ma con tanti sforzi l’organizzazione belga è cresciuta. Oggi siamo circa cinquecento membri, ancora tutti pionieri. Rispetto alla situazione di partenza ora siamo tanti, abbiamo anche un Centro a Bruxelles».
Nel 1997 Joelle praticava da quattro anni, quando partecipò a un corso europeo a Trets per gli studenti, anche se in Belgio in quel momento oltre a lei ce n’erano solo altri due. Fu in quell’occasione che decise che ci sarebbe stata una Divisione studenti anche in Belgio. «All’inizio nessuno mi diceva come fare – ci ha raccontato Joelle – perciò recitavamo tantissimo Daimoku per creare questa Divisione. Dopo sei mesi eravamo in cinque. Nel ’99 durante un corso in Giappone, sono stata invitata alla riunione degli studenti di tutto il mondo, dove fui incoraggiata da esperienze incredibili. Ma il giorno dopo sul quotidiano giapponese Seikyo Shimbun, al posto delle testimonianze pazzesche che erano state raccontate, è stata pubblicata la mia determinazione per il mio paese! Nel 2004 eravamo in trenta e ora siamo cinquanta. La mia esperienza come pioniera è piccola e grande allo stesso tempo: non avendo alcun sostegno, all’inizio nessuno capiva l’importanza di quello che facevo per la Divisione studenti. Questa esperienza mi ha insegnato cosa vuol dire alzarsi da soli, quello che ha fatto il giovane Ikeda».
Ci sono paesi, come la Finlandia, che non possiedono Centri culturali e dove i membri non sono tanti. Tatu Kuivalahti, trentaduenne consulente aziendale, vuole farsi portavoce dell’intento del presidente Ikeda che non è mai stato in Finlandia e osserva: «Non riesco ancora a capire cosa significhi vivere nello stesso modo di sensei. Due studenti finlandesi giovani anche nella pratica presenti al corso europeo sono rimasti molto colpiti dal racconto dei primi viaggi del presidente Ikeda in Europa allo scopo di incoraggiare le poche persone che erano giunte dal Giappone e dal fatto che oggi ci siano ottantamila praticanti nel Vecchio Continente».
Anche in Portogallo non esiste ancora un Centro culturale della SGI, ma i suoi giovani membri trasmettono grande passione e voglia di crescere. «Mi sento fortunato – è l’opinione del trentaquattrenne ballerino e insegnante di danza Mario Barbra Sanchez – a essere un pioniere in Portogallo. Non nel senso di essere migliore di altri, ma vivendo in un paese piccolo, dove il movimento di kosen-rufu è all’inizio, è più facile conoscere le persone e crescere insieme a loro. Essere pionieri è una sfida continua e secondo il concetto di fujishakushinmyo (non lesinare la propria vita) è anche un’occasione per offrire il proprio tempo con gioia per kosen-rufu. Credo che le vere difficoltà nel portare avanti l’attività siano dentro la nostra vita e non fuori, i limiti sono interni a noi, non dettati da condizioni esterne. Mantenendo sempre lo spirito di gratitudine nei confronti di chi ci ha aperto la strada: è grazie a sensei e alle prime persone arrivate in Portogallo che possiamo praticare oggi. Noi vogliamo contraccambiare questo dono aprendo la strada ad altre persone perché possano fare altrettanto in futuro».
A volte per andare a incoraggiare un membro si devono percorrere lunghi tragitti. «Anche quando non ho i soldi per la benzina per andare a incoraggiare i membri tutte le volte che vorrei, penso comunque di essere in una condizione fortunata e le circostanze non indeboliscono il mio desiderio e la mia decisione di poter contribuire allo sviluppo di kosen-rufu», confida Joana Craveiro, trentun’anni, regista teatrale. Quando era responsabile di gruppo Joanna percorreva duecento chilometri per partecipare alle riunioni di discussione, ma mentre era alla guida della sua auto sentiva la grande fortuna di poter offrire la sua vita.
Nella Soka Gakkai spagnola, dopo il “terremoto” avvenuto nel 1991 quando il direttore generale lasciò l’organizzazione e passò a sostenere la Nichiren Shoshu, tante persone hanno smesso di praticare. Se estendiamo il concetto di essere pionieri a tutti coloro che iniziano o ricominciano un percorso, si può affermare che negli ultimi quindici anni la Spagna è un paese dove i praticanti sono tutti pionieri. Questa è la conclusione a cui è giunto il trentenne architetto Pablo Juarez che ha aggiunto: «Quello che mi ha aiutato a capire cosa significa essere pioniere è il concetto di vincere lì dove siamo. Tutti coloro che si sforzano lì dove sono, sono dei pionieri». E a proposito degli ottantamila Bodhisattva emersi della Terra [citati nel messaggio a pag. 22, n.d.r.], grazie al lavoro instancabile di tutti coloro che hanno creduto in questo sogno, Daisaku Ikeda scrive nel messaggio inviato per questa occasione agli europei: «Quarantacinque anni fa, quando io per la prima volta misi piede sul suolo europeo, chi avrebbe potuto immaginare il grandioso sviluppo della SGI europea raggiunto oggi? Il progresso della SGI europea equivale al progresso della SGI nel mondo».

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