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Il premio della perseveranza - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:53

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Il premio della perseveranza

Cristina Satta, Roma

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Ho iniziato a praticare il Buddismo nel 1979 a trentun’anni grazie a mia sorella e il primo effetto fu come tirare il freno a mano e fare un testacoda. I “favolosi anni Sessanta” avevano generato in me distorsioni ideologiche mascherando il mio carattere chiuso, sfiduciato e influenzabile. I problemi che avevo in famiglia, negli affetti, nello studio e nel lavoro erano per me causati solo dagli altri. Ho praticato cinque anni, scoprendo nella Soka Gakkai persone meravigliose che mi incoraggiavano a cambiare, spiegandomi che “tutto dipendeva da me”. Ero ancora molto teorica e categorica e il Buddismo lo vivevo come un altro “pacchetto ideologico” da applicare alla lettera, ma ce la misi tutta con sincerità riuscendo a ricucire le relazioni con la mia famiglia e ottenendo un lavoro stabile. Per capire che il Buddismo non era fatto di sole idee ma di vita concreta, mi serviva ben altro. Il 16 marzo 1984 ci fu a Firenze la prima riunione nazionale dei giovani (eravamo in mille!) e in quell’occasione incontrai una persona che, due mesi dopo, in preda all’illusione di “costruire una famiglia per kosen-rufu” doveva diventare mio marito. L’anno dopo nascono due gemelli e passo da uno status di donna libera e indipendente a quello di moglie e madre lavoratrice. Ero e sono ancora insegnante, con una famiglia interamente sulle spalle, con i pochi “pro” e molti “contro” di un matrimonio fallimentare, senza basi e amore, soffocato dai problemi pratici della vita. Ma grazie a quella situazione apparentemente senza via d’uscita ho sperimentato il potere della pratica e della fede, che mi ha dato l’energia per sopravvivere in una situazione di degrado fisico e psicologico, legata alla tossicodipendenza di mio marito.
Mi illudevo nel pensare che, poiché mio marito praticava, questa era una garanzia assoluta per la buona riuscita del matrimonio. Un giorno Dadina (Amalia Miglionico, n.d.r.) mi disse: «Prima di sposarti rafforza la tua fede, perché dopo dovrai fare i conti con il tuo karma, con quello di tuo marito e con quello di coppia». Quando l’ho capito? Quando, nati i bambini, si manifestarono in tutto il loro splendore le nostre tendenze individuali accompagnate da una profonda differenza fra noi. Ho pensato di colmare questa incompatibilità negando me stessa, accettando su di me ogni responsabilità in uno stato di dipendenza e sottomissione, ma più sminuivo me e i miei diritti, più ero ricattabile dalla sua gelosia e immaturità. Capivo di essermi cacciata in un vicolo cieco, ma c’erano i bambini che avevano bisogno di continua attenzione. Facevo i salti mortali perché i soldi non solo non bastavano, ma venivano regolarmente sottratti per la droga; era sparita ogni forma di vita sociale. Come conseguenza mi ammalai di un forte esaurimento nervoso da cui guarii dopo un anno, ma che mi lasciò crisi d’ansia per dieci anni. Fu un vero inferno ma non volevo separarmi.
I figli mi obbligavano ad andare avanti, Nichiren mi diceva che il Gohonzon sarebbe stato “una lanterna nell’oscurità” e il presidente Ikeda mi incitava a “correre più forte che potevo lungo la strada di kosen-rufu”. La medicina è stata: un’ora di Daimoku tutte le mattine, partecipare a tutti gli zadankai e fare tanto shakubuku. In particolare è stata quest’ultima attività, fatta nelle situazioni più assurde e disperate, a salvarmi. Avevo la netta sensazione di aver creato il mio karma negativo offendendo la Legge e parlare agli altri della loro Buddità mi permetteva invece di lodarla. Apparentemente la situazione peggiorava e in aggiunta alla tossicodipendenza di mio marito iniziarono i disturbi mentali di mia sorella; i loro comportamenti nei miei riguardi mi facevano vivere in uno stato di continua angoscia e terrore. Controllavo la mia emotività e la paura affidandomi al Gohonzon e quando recitando Daimoku ho finalmente percepito la causa di quella situazione dentro di me, tutto è precipitato a livelli insostenibili, ma questa volta vincendo la paura delle conseguenze ho trovato il coraggio di andarmene e nel ’90 ho divorziato. Ho capito che praticare il Buddismo non ti salva dagli effetti dei tuoi errori, ma proprio attraverso questi ho imparato a essere meno teorica e più concreta. Poi l’esperienza di praticare costantemente, senza vedere apparenti risultati per molto tempo, ha forgiato le basi della mia fede. Ora so che è solo una questione di tempo.
Gli anni successivi, divisi tra lavoro, figli e attività buddista sono volati, ma un’insoddisfazione di fondo covava: la mia era una vita di soli doveri. Anche nell’attività buddista, che peraltro occupava gran parte del mio tempo, non ero autonoma, “eseguivo” senza spirito di iniziativa e con poca gioia. Alla fine del 2000, durante un corso per responsabili della Divisione educatori tenuto in Giappone, fummo ricevuti dal presidente Ikeda, il quale guardandomi dritta negli occhi e stringendomi a lungo la mano, mi disse: «Non devi preoccuparti, mi prendo io tutta la responsabilità», una frase assolutamente fuori contesto, che non capii ma che aveva colpito nel segno. Infatti non ero felice, ero sempre preoccupata per qualcosa che mi impediva di godermi la vita così com’era, con un grande peso sulle spalle. Da allora c’è stato un lento ma progressivo miglioramento nel lavoro, con i figli e con l’attività; ho cominciato a essere me stessa, a vincere la paura del giudizio e a non aver paura dei conflitti. La mia pratica è diventata più autentica, sincera e meno astratta. Due anni fa i miei figli son diventati membri della Soka Gakkai, e ho capito le parole di Ikeda: sono sempre stati protetti. Grazie a loro quasi tutti i loro amici hanno cominciato a praticare e in casa sono circondata da giovani che mi aiutano a rinnovare la mia fede. Oggi riconosco e accetto i miei limiti, sento che kosen-rufu è diventato una cosa concreta, non più un’astrazione e in me fluisce un’umanità nuova che è la felicità di stare con gli altri e di stabilire delle meravigliose relazioni.

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