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"Questo io affermo" - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:35

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“Questo io affermo”

Ispirandosi alle Lezioni di Daisaku Ikeda pubblicate su Buddismo e Società, Ivana Lega, responsabile Divisione donne dell’Area Adriatico, e Andrea Bottai, vice direttore dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, hanno commentato alcuni brani del Gosho L’apertura degli occhi, uno dei trattati più importanti di Nichiren Daishonin

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Ispirandosi alle Lezioni di Daisaku Ikeda pubblicate su Buddismo e Società, Ivana Lega, responsabile Divisione donne dell’Area Adriatico, e Andrea Bottai, vice direttore dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, hanno commentato alcuni brani del Gosho L’apertura degli occhi, uno dei trattati più importanti di Nichiren Daishonin

Il Gosho inizia con una lunga dissertazione in cui Nichiren mira a chiarire un dubbio dei suoi discepoli: «Come mai il nostro maestro che pratica e propaga l’insegnamento per recare “pace e sicurezza” a ogni persona, incontra al contrario ogni sorta di difficoltà e persecuzioni, che toccano anche a noi discepoli? Sarà davvero il devoto del Sutra del Loto oppure è un millantatore?». E Nichiren, che stava cercando di sopravvivere alle proibitive condizioni dell’esilio a Sado, con grande pazienza li incoraggia, chiarendo che il Sutra del Loto incarna il grande desiderio della felicità di tutte le persone, che chi lo pratica è inevitabilmente destinato a incontrare grandi persecuzioni e che i Bodhisattva della Terra, come lui e i suoi discepoli, sono proprio le persone che fanno voto di propagarlo a ogni costo.
Alla luce del principio delle tre prove della validità di una religione (teorica, documentaria e concreta) la prima parte del Gosho costituisce la prova teorica e documentaria. Potremmo affermare che è una spiegazione basata sulla ragione e sui sutra, “in accordo con la mente degli altri”. Ma, a un certo punto improvvisamente il trattato prende una piega inaspettata e Nichiren dichiara con forza: «Questo io affermo. Che gli dèi mi abbandonino. Che tutte le persecuzioni mi assalgano. Io continuerò a dare la mia vita per la Legge!» (SND, 1, 194).
Con questa frase egli non cerca più di adattarsi alle capacità di comprensione dei discepoli ma inizia, senza paura o esitazione, a parlare “in accordo con la mente del Budda”, cercando di trasmettere loro la sua profonda decisione e lo spirito combattivo con cui intende adempiere al suo voto. Anche noi, ha detto Andrea Bottai, per incoraggiare le persone usiamo ragionamenti teorici ma in realtà quello che spazza via i dubbi degli altri e li convince davvero è il nostro stato vitale.
«Io affermo» è un po’ come «A quel tempo» (Niji), l’espressione iniziale del secondo capitolo del Sutra del Loto che leggiamo nella cerimonia di Gongyo, e con la quale Shakyamuni dà avvio alla predicazione del sutra, esponendo per la prima volta il vero contenuto della sua Illuminazione. Daisaku Ikeda scrive che per noi “A quel tempo” è il momento preciso in cui «mettiamo in moto la nostra vita e ci impegniamo con energia e volontà, quando facciamo emergere una forte fede e ci dedichiamo a realizzare kosen-rufu. […] Il momento in cui decidiamo di realizzare uno scopo di nostra iniziativa e non perché ci è stato detto di farlo, […] il tempo della missione» (I capitoli Hoben e Juryo, Esperia, pagg. 19-20). Quello che Nichiren sta cercando di comunicare con «Io affermo» non sono ragioni teoriche ma il suo stesso immenso stato vitale. Sta parlando direttamente al cuore dei discepoli. Lo stesso vale per noi: non si incoraggiano le persone solo con motivazioni logiche, cercando di persuaderle o tantomeno trinciando giudizi su di loro, ma trasmettendo il nostro spirito combattivo di voler manifestare a ogni costo la Buddità e vincere su tutte le difficoltà.
Un esempio che illustra la potenza delle forze negative che assalgono il praticante del Sutra del Loto è la storia di Shariputra, uno dei più dotati discepoli del Budda. Scrive Nichiren: «Shariputra praticò la via del bodhisattva per sessanta eoni, ma cadde da quella posizione elevata perché non sopportò l’insulto del brahmano che gli aveva chiesto un occhio» (Ibidem). In sintesi, quando il brahmano chiese l’occhio a Shariputra, che stava svolgendo a quel tempo la pratica dell’offerta, questi glielo diede, ma egli disgustato lo gettò a terra e lo calpestò e Shariputra, indignato da una tale manifestazione di ingratitudine, perse la voglia di praticare. Nichiren non si limita a dire che Shariputra regredì “un pochino” nel suo cammino di fede, scivolando dagli insegnamenti mahayana a quelli hinayana ma addirittura che ruzzolò giù fino all’inferno di incessante sofferenza.
Quella di Nichiren non è una condanna senza appello in quanto sappiamo che nel Buddismo si può sempre, da qualsiasi condizione vitale si parta, manifestare la Buddità. L’insegnamento fondamentale di questa storia buddista è che Shariputra non fu sconfitto dal brahmano ma dalla sua stessa debolezza. Gli mancava lo spirito del Sutra del Loto, cioè credere che tutte le persone possiedono la Buddità. Di fronte al disprezzo del brahmano per il suo sacrificio, non riuscì più a credere che anche lui avesse la Buddità e di conseguenza non riuscì a rimanere imperturbabile. Il vero spirito a cui dovremmo ispirarci è invece quello del bodhisattva Mai Sprezzante (Fukyo), descritto nel ventesimo capitolo del Sutra del Loto, così convinto che ogni persona possedesse la Buddità che continuava a riverirle anche quando queste rispondevano con insulti e cercavano di colpirlo con pietre e bastoni. Se forgiamo la nostra fede basandoci sull’esempio di Fukyo, ha ribadito Ivana Lega, non cadremo nella trappola come Shariputra, perché dal desiderio di rispettare tutte le persone nasce una grande compassione, un grande ottimismo e una grande fede.
Ed è stato ulteriormente approfondito il legame che sussiste fra il coltivare questo grande rispetto per ogni essere umano in quanto Budda potenziale e la nostra capacità di rimanere saldi davanti a qualsiasi difficoltà e “non regredire nella fede”. Immaginiamoci al posto di Shariputra: facciamo un grande sacrificio per gli altri e questo non viene affatto riconosciuto. Immediatamente, una voce dentro di noi dice: «Ma chi te l’ha fatto fare?». In realtà in una situazione simile possiamo avere anche tutte le ragioni del mondo ma se permettiamo che l’ingiustizia subita ci faccia perdere la fede il danno sarà nostro.
Qual è l’unico antidoto a questo continuo rischio di regressione nel nostro cammino verso l’Illuminazione? È formulare un grande voto. E alla base del grande voto c’è un grande desiderio. A questo proposito Andrea Bottai ha detto: «Ho sempre pensato che il “grande desiderio” fosse “lontano” da noi e dai nostri attaccamenti e invece il Buddismo spiega che il desiderio di vedere gli altri felici è innato in ogni persona. Nei bambini si può osservare questa pulsione naturale e, se ci guardiamo dentro, ci accorgiamo che esiste anche in noi. Poi ovviamente, a nasconderlo ci sono i nostri strati di oscurità innata. Il Sutra del Loto ha lo scopo di risvegliare questa dimensione altruistica e ciò che la ostacola è la nostra oscurità innata. In questo senso il voto è una sfida all’oscurità innata che ci rende incapaci di vivere questo grande desiderio, una sfida che ci permette di far emergere un io tranquillo e risoluto qualsiasi cosa accada.
Il secondo brano commentato del Gosho inizia con le parole: «Sebbene io e i miei discepoli possiamo incontrare varie difficoltà, se non nutriamo dubbi nei nostri cuori, raggiungeremo naturalmente la Buddità. Non dubitate semplicemente perché il cielo non vi protegge. Non lamentatevi perché non godete di un’esistenza facile e tranquilla in questa vita. Questo è quel che ho insegnato ai miei discepoli mattina e sera, ma tuttavia hanno cominciato a nutrire dubbi e ad abbandonare la loro fede» (Ibidem, pag. 200).
A questo proposito Makiguchi, il fondatore della Soka Gakkai, distingueva fra “credenti” e “praticanti”. I “credenti” sono coloro che si preoccupano solo delle proprie sofferenze e di accumulare benefici mentre i “praticanti” si dedicano a diffondere la Legge per la felicità degli altri ottenendo il grande beneficio della purificazione dei sei sensi, cioè la trasformazione in positivo di ogni aspetto negativo della loro vita, la “rivoluzione umana”.
L’oscurità è la difficoltà di credere nella propria e nell’altrui natura di Budda, la difficoltà di credere nelle potenzialità proprie e degli altri. Si manifesta con la paura di affrontare la vita, con il senso di solitudine e la tristezza, ha detto Ivana Lega, raccontando con sincerità ai duemilacinquecento ascoltatori le emozioni, le insicurezze e le paure che aveva dovuto personalmente affrontare durante la preparazione di quella lezione. Quest’oscurità è al tempo stesso una minaccia e una grande opportunità.
In questo brano il Daishonin spiega che quando diamo la nostra vita per la Legge, come conseguenza naturale otteniamo la Buddità. Va notato che Nichiren dice: «Io e i mei discepoli». La relazione di maestro e discepolo, al contrario di ciò che erroneamente spesso si crede, non comporta alcuna forma di sottomissione o spersonalizzazione; al contrario quello del maestro è un esempio di spirito combattivo che stimola e incoraggia anche noi a vincere la nostra oscurità innata. Questo spirito si concretizza nella pratica di shakubuku. L’aspra confutazione degli errori delle altre religioni da parte di Nichiren non era fanatismo ma un’espressione di profonda compassione per le persone, come quella, per usare un esempio di Daisaku Ikeda, di chi cerca a tutti i costi di fermare un figlio che sta per uccidere i suoi genitori.
Infine nell’ultimo brano studiato si spiega la differenza fra i due metodi di propagazione di shoju, persuadere con un dialogo indiretto, e shakubuku, confutare direttamente le idee errate: «Quando il paese è pieno di persone ignoranti e malvagie, allora shoju è il metodo principale da adottare, […]. Ma nell’epoca in cui ci sono persone dalle vedute perverse che offendono la Legge, allora si deve principalmente fare shakubuku, così come viene descritto nel capitolo Fukyo. […] Durante l’Ultimo giorno della Legge, tuttavia, si deve usare sia shoju che shakubuku» (Ibidem, 203-204).
Il presidente Ikeda ha più volte spiegato che oggi non abbiamo alcun bisogno di metterci in contrasto con le altre religioni ma piuttosto di far brillare sempre di più attraverso il nostro esempio di vita la grandezza del Buddismo. Infine, per quanto riguarda la nostra pratica fondamentale di trasmettere l’insegnamento buddista agli altri, se ciò che ci ispira, ha concluso Andrea Bottai, non è il fanatismo ma un’autentica compassione, avremo naturalmente la sensibilità di capire quando sia il caso di usare shoju e quando shakubuku.

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Per approfondire:

  • Daisaku Ikeda, Lezioni sul Gosho: L’apertura degli occhi. La pubblicazione delle lezioni di Ikeda sul Gosho L’apertura degli occhi è iniziata nel numero 106 di Buddismo e società e si concluderà nel corso del 2007.

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