Abito all’isola d’Elba e, dato che da qualche parte bisogna cominciare, inizierò da febbraio del 2004. Nella mia vita ero arrivato al mio peggior momento dal punto di vista economico e ciò influenzava negativamente tutto il resto. Nello stesso periodo m’informano che avrei ricevuto l’Omamori Gohonzon e sarei dovuto andare a ritirarlo al Centro culturale di Livorno. Il mio stato vitale era molto basso e per questo volevo evitare di presentarmi; fino all’ultimo momento ero deciso a non andare. Ma la fortuna di praticare questo Buddismo mi ha portato la sera precedente davanti al Gohonzon e lì, con tutta la rabbia che avevo in corpo, ho deciso che avrei dovuto affrontare questo momento buio legato alle attuali circostanze. Nel giorno della consegna, sentivo che la soluzione del problema era già dentro di me e intravedevo uno spiraglio di luce. Mi sono commosso in un modo inaspettato e non capivo perché proprio io, maestro di razionalità e di autocontrollo, piangevo.
Ho voluto dedicare questo regalo a una persona a me molto cara, ma distante, che era mio padre, una persona molto riservata che non mostrava molto il suo affetto nei miei confronti e io facevo lo stesso. Già da alcuni anni insieme a mia madre passava l’estate a casa mia all’Isola d’Elba così avevo almeno la possibilità di stargli vicino, ma durante l’estate 2004, in seguito al ricevimento dell’Omamori sentivo che si era sciolto un nodo. Cercavo di stargli più vicino, di raccontargli quali erano i miei progetti, lo abbracciavo e baciavo e a lui faceva piacere. Percepivo che mi apprezzava e rispettava, e nutriva un profondo affetto per mia moglie e le mie figlie. Però non riuscivo a ricordare dei momenti belli passati insieme a lui nella giovinezza, non ricordavo di un bacio, di un abbraccio e questa cosa mi disturbava un po’. Era possibile che lui non avesse mai avuto dei momenti di affetto verso di me? Ma non importava, avevo proprio voglia di “ripagare il mio debito di gratitudine” verso i miei genitori.
A fine novembre 2005 ricorreva il loro cinquantesimo anniversario di matrimonio e per l’occasione avrei rivisto tutti i componenti della mia famiglia, compresa mia sorella e i miei fratelli con le loro rispettive famiglie. Mio padre aveva organizzato tutto per rendere quella giornata memorabile. Ma pochi giorni prima della data si era sentito male ed era stato ricoverato in ospedale per alcuni giorni, per poi tornare a casa, in apparenza, senza gravi conseguenze. Il giorno della ricorrenza era iniziato bene, per la gioia dei miei genitori che ci vedevano belli, cresciuti e con delle famiglie meravigliose e così è trascorso serenamente. Nonostante questo avevo uno strano presentimento; vedevo mio padre molto triste, stanco e nonostante fosse presente, gli leggevo negli occhi un qualcosa che non capivo.
La mattina dopo mi accorgo che mio padre sta male e così insieme ai miei fratelli decidiamo di portarlo in ospedale, dove lo tengono sotto controllo per alcuni giorni per poi portarlo in reparto. Vengono eseguiti i primi controlli di routine per poi arrivare alla TAC che ci rivela una metastasi diffusa e… senza speranza di guarigione. Il primario del reparto, ci conferma che la malattia è così avanti che gli restano solo pochi giorni di vita. Al momento non mi rendo bene conto della situazione e non ho tempo per digerire la notizia; la preoccupazione maggiore era rivolta alla reazione di mia madre. Il dottore ci comunica ciò che ci aspettava: ancora un paio di giorni di lucidità e subito dopo mio padre avrebbe iniziato a dormire per poi addormentarsi definitivamente.
La disperazione è totale. Mia madre, dopo cinquant’anni di vita insieme, non riusciva a credere che da lì a qualche giorno non avrebbe più avuto al suo fianco l’uomo che l’aveva resa felice, che l’aveva coccolata come una regina, che l’aveva sostenuta sempre e costantemente. Per me non c’era più tempo per continuare l’opera di avvicinamento che avevo iniziato e dovevo affrettarmi per realizzare questo desiderio.
Non voglio soffermarmi su tutti gli ultimi momenti passati insieme perché sento che si è instaurato qualcosa di intimo, qualcosa che mi riesce difficile raccontare. Ho fatto Daimoku mentre lui con gli occhi chiusi si girava e rigirava, sentivo che questo lo calmava e che attraverso le mie mani sul suo corpo gli trasmettevo serenità. La cosa più incredibile era la forza inimmaginabile che sentivo dentro di me e mi chiedevo da dove mi arrivasse. E al tempo stesso arrivava anche la risposta: il mio maestro mi stava incoraggiando, i membri dell’hombu stavano facendo Daimoku e tutta l’attività che avevo fatto negli anni, mi stava dando il coraggio e la forza. In quei giorni ero il faro della mia famiglia, nonostante i miei fratelli stessero reagendo in un modo esemplare così come mia madre. Abbiamo accompagnato i suoi ultimi momenti con tanta gioia e serenità, addirittura scherzando e ridendo di fatti e avvenimenti successi durante la nostra vita insieme. La notte in cui mio padre se ne è andato ha iniziato a nevicare, il cielo dopo la nevicata era lucente, il panorama da favola, una notte splendida. Lui era una persona silenziosa e così, approfittando del fatto che per un’ora, inspiegabilmente, ci siamo tutti addormentati, compresa mia madre seduta sulla sedia di fianco al suo letto, è andato via in silenzio, con un sorriso sulle labbra. Al nostro risveglio ci siamo resi conto che era morto pacificamente, così come aveva vissuto. Ho recitato Daimoku e Gongyo insieme ai miei fratelli e “i mille Budda si erano già presentati con le braccia aperte per accoglierlo”. Nei giorni seguenti, dopo aver organizzato il funerale in chiesa, come lui voleva, ho chiesto di far leggere a fine cerimonia un messaggio che avevo scritto dove chiedevo a tutti i parenti di ricordarlo con un sorriso. Se prima solo l’idea della morte mi spaventava, oggi vedevo con occhi diversi questo momento. Quante volte abbiamo discusso sull’eternità della vita senza crederci poi fino in fondo… Beh, ora iniziavo a capire cosa significava.
Durante questo periodo sono successe due cose importanti: la prima cosa è che la sua prima nipote aspetta un bambino e questa cosa ci ha aiutato ad affrontare la sofferenza della sua morte e la seconda cosa è successa il giorno del funerale. Di ritorno a casa mi distendo sul letto matrimoniale dalla parte dove dormiva lui e improvvisamente inizia a suonare una sveglietta nel suo cassetto. Non ho mai visto mio padre svegliarsi con una sveglia, comunque mi metto a cercarla e la trovo sotto della biancheria e sopra un fascio di lettere e letterine di Natale che teneva in quel cassetto. Tra queste lettere, una che avevo scritto per un suo compleanno di circa vent’anni prima. In questa lettera, bellissima, gli dichiaravo tutto il mio amore, comprensione, gioia, per avere un padre come lui, un padre che si era sacrificato in un modo terribile, pur di tirare su una famiglia serena.
E quella lettera ha sciolto tutti quei dubbi che avevo covato dentro per lungo tempo.
Oggi, quando recito al Gohonzon, ringrazio per la fortuna di avere avuto un padre come lui.
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