Nell’autunno del 1986 nasce la prima rivista d’Europa dedicata all’approfondimento del Buddismo di Nichiren Daishonin. Un grosso sforzo editoriale sostenuto dall’impegno di tanti volontari e dal desiderio di mettere a disposizione gli strumenti per nutrire e rafforzare la fede
Buddismo e Società compie vent’anni. Era l’autunno del 1986 quando a Firenze usciva il primo numero del trimestrale di studio che a quel tempo portava il nome di DuemilaUno. I messaggi inviati per l’occasione dal presidente della SGI Daisaku Ikeda e dall’allora direttore generale Mitsuhiro Kaneda, spiegano chiaramente lo scopo del periodico.
«Sarà per voi il pilastro della fede – scrive Daisaku Ikeda, il presidente della SGI – e un passo avanti nella propagazione per kosen-rufu in Italia e nel mondo. […] In un’epoca incerta come questa il vostro giornale è davvero uno strumento importante». Sulle orme della rivista giapponese di studio Daibyakurenge, «la rivista più amata da tutti i membri giapponesi», Ikeda si augura che anche «DuemilaUno divenga il giornale più caro al cuore di tutti i membri italiani».
Il movimento buddista in Italia era cresciuto moltissimo e la rivista di studio nasce affinché esso affondi profonde radici nel terreno. E quali migliori radici dello studio?
Nel messaggio contenuto nel primo numero della rivista, Mitsuhiro Kaneda ricorda che la legge non si propaga da sola. Per farlo ci vuole la persona, e per farlo la persona ha bisogno di imparare cose nuove e di approfondire continuamente la propria fede. Per questo motivo è necessario che i lettori imparino dal giornale e che contribuiscano al suo progresso con suggerimenti costruttivi e non con critiche fini a se stesse. Oggi, intervistato per l’occasione, ricorda con emozione lo spirito di collaborazione e l’energia di chi si dedica all’attività di redazione. «Alla nascita di DuemilaUno eravamo consapevoli che fosse un impegno sostanzioso, ma sapevamo di avere le energie per poterlo fare. Da una parte le risorse umane dei tanti collaboratori che fin dall’inizio hanno contribuito alla costruzione di DuemilaUno, dall’altra il sostegno economico dei membri a cui chiedemmo un impegno da veri sostenitori, facendogli sottoscrivere uno o più abbonamenti, (era frequente avere dai due ai tre abbonamenti, n.d.r.). Una cosa importantissima che vorrei fosse conosciuta da tutti è che grazie all’impegno delle riviste italiane noi possiamo offrire ai lettori in tempi rapidi lezioni e spiegazioni che in altri paesi non vengono tradotti oppure per le quali devono aspettare molto tempo. La traduzione della Raccolta degli insegnamenti orali (Ongi kuden) che esce su Buddismo e società ne è un esempio. Sulle riviste di lingua inglese non sarà pubblicata perché era già uscita precedentemente la versione completa in forma di libro. Nel panorama europeo siamo in grado di fornire la più significativa quantità di materiale ai lettori».
La redazione
DuemilaUno nasce a Firenze, accanto alla redazione del Nuovo Rinascimento, già attivo da quattro anni. Le due riviste sono il frutto di un’organizzazione in fermento. La rivista non è il frutto del semplice amore per la teoria buddista predicata da Nichiren Daishonin, ma l’esperienza concreta riveste un ruolo fondamentale. Fin dalla nascita, DuemilaUno si propone di essere una rivista da usare tutti i giorni e non da mettere in libreria.
Pierfrancesco Bussetti, caporedattore nei primi anni, ricorda: «Abbiamo fatto la rivista dal niente. A quel tempo c’erano solo tre traduzioni in italiano del Gosho e il nostro materiale di studio erano il Seikyo Times, la rivista statunitense, e qualche libro in inglese pubblicato in Giappone o in America. Il Nuovo Rinascimento era uno strumento agile, veloce e immediato. Ci serviva uno strumento diverso, una rivista che ci avrebbe permesso di diffondere il Buddismo più ampiamente».
Col numero di marzo-aprile 1988 DuemilaUno diventa bimestrale, la redazione si struttura in una redazione centrale a Firenze, due satelliti a Milano e Roma. Quella romana è la stessa redazione che si assumerà l’incarico successivo: dal marzo-aprile 1990 la redazione centrale si trasferisce nella capitale.
La veste grafica
«Io mi occupavo dell’impaginazione – racconta Guido Pierazzi di Firenze – e collaboravo con altri amici grafici come Piero Sisti, Leonardo Müller, Stefano Falai e Mario Becagli di Roma». Si incontravano a Firenze durante i fine settimana per decidere insieme le linee guida che poi i fiorentini avrebbero messo in pratica nei giorni successivi. Poi, quando la redazione fu trasferita a Roma eravamo noi a spostarci. «Nel complesso mi ricordo che c’era una bella atmosfera nonostante il lavoro si protraesse, spesso, fino a tarda notte e i mezzi tecnologici a nostra disposizione fossero ancora piuttosto rudimentali».
Le traduzioni
Molti numeri della rivista erano e sono dedicati quasi esclusivamente all’approfondimento dell’insegnamento di Nichiren, soprattutto alle straordinarie lezioni sul Gosho del presidente Ikeda.
«Dopo circa due anni di traduzioni della Rivoluzione umana per Il Nuovo Rinascimento – racconta Fiorella Oldoini – finalmente la redazione romana decise che anch’io avevo compiuto un tratto della mia personale rivoluzione umana, e mi affidò il compito di tradurre per il DuemilaUno!
Mi buttai anima e corpo, con il pensiero costante che quello che stavo scrivendo poteva aiutare una, due, cento persone che magari non aspettavano altro che quella parola, quella frase del presidente Ikeda per cambiare la propria vita e diventare felici. Ho sempre ritenuto che anche una singola virgola fosse di importanza fondamentale per una reale comprensione del testo. Quindi, quando Marco Magrini o Roberto Minganti (il primo e il secondo direttore responsabile di DuemilaUno) mi guardavano con aria supplichevole perché occorreva qualche notte di lavoro in più per fare uscire il numero in tempo… che altro potevo dire o fare se non mettermi a lavorare? Inoltre, ricevevo benefici immensi!
Mentre traducevo la lezione sul Vero oggetto di culto avevo la sensazione che il presidente Ikeda mi parlasse e mi guidasse, e “buttandomi” letteralmente nel testo imparai – finalmente! – che cosa significa abbracciare il Gohonzon… Poi arrivò la traduzione del testo di Richard Causton, il numero 36 poi ripubblicato e diventato anche un libro (La legge meravigliosa, Esperia).
Che dire? Sono stati tra i momenti più felici della mia vita: il fatto di essere una piccola goccia in questo vasto oceano di kosen-rufu è stata la sola cosa che ha dato un senso alla mia esistenza».
Le interviste
La rivista vuole essere uno strumento per la pace, la cultura e l’educazione, lo scopo è riuscire a parlare anche di “non Buddismo” partendo dagli ideali buddisti. Un obiettivo che diviene sempre più chiaro ai redattori: seguendo il principio enunciato da Tien-t’ai che «tutti gli affari della vita non sono in contrasto con la realtà della vita» (SND, 8, 197), DuemilaUno decide di ospitare interviste a personaggi del mondo della cultura, dell’arte, della scienza, della religione. Lo spirito del Rinascimento, la vita dell’universo, l’Europa comune sono stati i primi argomenti presentati nelle interviste, diventate poi il fiore all’occhiello della rivista.
Maria Lucia De Luca, l’attuale direttore responsabile, ricorda in particolare l’intervista al filosofo Umberto Galimberti, nel 1996. «Era la prima che organizzavo da sola, senza intermediari, dovendo vincere la timidezza di telefonare, presentarmi e chiedere un appuntamento. Sarà stato il Daimoku, ma lui accettò subito dicendomi: “Non so perché, è un anno che non rilascio interviste, ma con voi ho voglia di parlare”. Andammo a casa sua a Milano, insieme a Rory Cappelli e al fotografo Bozzani; l’intervista andò benissimo finì con un brindisi e una sua dichiarazione: “Certo, voi mi sembrate molto più felici di me”. Quando lesse l’intervista ci mandò un biglietto affettuoso di ringraziamento».
Le riunioni di programmazione annuale e di preparazione dei singoli numeri
C’è stato un periodo particolarmente fecondo del giornale, quando iniziarono a collaborare tante redazioni da tutta Italia. Si riunivano a Roma in “seduta plenaria”, talvolta anche in trenta persone, una volta all’anno, un weekend in cui provavano ad abbozzare la programmazione annuale della rivista, distribuendo i singoli numeri alle varie redazioni. E poi, per costruire ogni speciale, si riunivano almeno ogni due mesi, a Roma o in altre città a seconda della redazione curatrice, e iniziavano lunghe e animate discussioni fino a centrare il messaggio che volevano trasmettere. Per Maria Lucia è stata «questa capacità di dialogare che ci ha permesso di sviluppare attenzione verso l’opinione di ognuno, la capacità di non rimanere arroccati sulle proprie posizioni e il desiderio di continuare ad approfondire».
Il cambiamento del nome
Alle soglie del nuovo millennio nasce l’esigenza di trovare un nuovo nome alla rivista sia per le scadenze temporali che per la necessità di trovare qualcosa che definisse con precisione l’identità religiosa dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai. «Come si è arrivati a Buddismo e Società?», racconta l’allora direttore responsabile Roberto Minganti nel numero 84 della rivista, ma di fatto il primo numero di Buddismo e Società. «Attraverso un cammino totalmente diverso da quello percorso quattordici anni or sono: la chiave di tutto il processo ideativo è stata la consapevolezza che non esiste possibilità di autorealizzazione (Illuminazione) fuori o lontano dall’ambiente in cui gli altri esseri umani vivono, lontano dai luoghi in cui la sofferenza nasce e cresce. Il Buddismo di Nichiren Daishonin – quello praticato nella Soka Gakkai – si caratterizza proprio per questo aspetto: “La vita – scrive Nichiren Daishonin – in ogni istante permea l’universo e si manifesta in tutti i fenomeni. Chi si risveglia a questa verità realizza la mutua compenetrazione tra la sua vita e tutti i fenomeni”. […] Dunque indissolubilità tra l’individuo e la società, tra gli esseri viventi e l’ambiente naturale che li contiene, tra la religione e la vita. Tutto questo da sintetizzare in un nome. Alla fine è stato scelto Buddismo e Società, quello più semplice e diretto anche se la “e” che collega i due termini potrebbe fuorviare facendo pensare a una sorta di Buddismo “impegnato” nella società, o a una visione buddista della società. Niente di tutto questo. La “e” per noi significa indissolubilità dei due termini e l’impegno sociale diventa una conditio sine qua non del proprio essere buddisti».
Un ringraziamento a tutti i collaboratori
La forza di questo giornale è contenuta nelle parole di Maria Lucia: «È meraviglioso vedere come tante persone con attitudini e sensibilità diverse possano produrre, grazie a una reale unità di intenti, ogni volta un qualcosa di grande valore. E quindi colgo l’occasione per ringraziare di cuore tutti coloro che hanno fatto attività in redazione e la fanno tuttora». Una lista che, se fosse completa, questa pagina conterrebbe a fatica.