Cominciai a praticare questo Buddismo nel 1983 a Firenze, dove abitavo. Avevo venti anni e, dopo un periodo di scetticismo, rimasi coinvolta dall’entusiasmo e dalla forza vitale che caratterizzavano le riunioni e i corsi estivi buddisti. Così iniziai ed ebbi subito benefici. Ero una ragazza che aveva perso la voglia di studiare, un po’ chiusa e molto indecisa; dopo pochi mesi di pratica presi la giusta decisione nello studio universitario che portai a termine a pieni voti, sperimentai un’apertura maggiore verso gli altri, molta più forza e determinazione. Facevo molta attività buddista e parlavo del Buddismo a molte persone, tra queste Giuseppe, un ragazzo che avevo conosciuto nella mia città natale, Follonica, e che si era trasferito provvisoriamente a Firenze.
Mi dedicai molto ad aiutarlo a cominciare a praticare e presto si sviluppò un’amicizia vera. Lui cominciò a sua volta a fare attività buddista e shakubuku, rivelandosi una persona molto comunicativa, che non perdeva occasione per far conoscere agli altri la grandezza di questa pratica. Fece iniziare anche i fratelli e sua madre, che è tuttora un esempio per tutti i buddisti che la conoscono. Quello che mi ha sempre colpito di Giuseppe, è stata la dedizione sincera, il suo dedicarsi agli altri, senza però mai farlo in maniera formale, o per “senso di dovere”. No, lui ha sempre agito e parlato con il cuore.
Dopo un po’ di tempo lui ritornò a Follonica, mentre io rimasi a Firenze fino al 1997. Poi anch’io tornai di nuovo a Follonica, con un nuovo lavoro abbastanza impegnativo: così, piano piano, iniziai a trascurare la pratica buddista e nel 2001 smisi completamente. Non incontrai più Giuseppe, finché, nell’ottobre 2005, seppi da mia madre che gli avevano diagnosticato un tumore maligno ormai di dimensioni tali da non poter essere più curato. Questo scatenò in me una grandissima sofferenza; la nostra amicizia infatti, fondata su un legame molto profondo, perché nata dallo sforzo comune di alzare il proprio stato vitale aiutando gli altri, non si era affievolita col passare degli anni, ma era rimasta intatta anche se ci eravamo persi di vista. Nonostante ciò non riuscii mai a trovare tempo e coraggio per chiamarlo o andarlo a trovare, con la paura di disturbare la sua famiglia, probabilmente per non dover affrontare la mia sofferenza e le mie paure. Mi dissero della sua grande forza, di come, già malato, incoraggiava le persone alle riunioni e della serenità che trasmetteva alle persone che parlavano con lui.
Un giorno, a dicembre, tornando da un viaggio di lavoro, fui informata della sua morte; una morte serena, probabilmente al momento giusto, che aveva evitato a lui e ai suoi familiari i periodi di grande sofferenza che in genere caratterizzano certe malattie. La notizia mi gettò in uno stato di grande angoscia. Andai a visitarlo prima del funerale e subito percepii quanto gli fossero stati vicini i familiari e la grande forza di sua madre, sorretta dal Daimoku.
Al funerale mi colpì una cosa curiosa: uno stormo di uccelli che si innalzò al cielo, un volo leggero ma allo stesso tempo maestoso, e dopo pochi giorni scrissi ciò che avevo provato, una percezione molto importante, che probabilmente ho avuto solo grazie al suo esempio e alla sua compassione buddista mantenuta anche nel momento più difficile.
Il giorno dopo il funerale sentii il desiderio di fare Daimoku, aprii il mobiletto del Gohonzon chiuso da tempo, lo pulii e ricominciai a praticare, sapendo che tramite il Daimoku è possibile trasmettere energia e positività alle persone care defunte, come fanno i membri della sua famiglia che, avanzando con forza nella fede, fanno in modo che Giuseppe continui a vivere nei loro e nei nostri cuori.
Devo essere molto grata a Giuseppe. Io tanti anni fa, ho dato a lui l’opportunità di cambiare il suo karma tramite la pratica buddista e lo stato vitale con il quale ha affrontato la sua morte dimostra che ci è riuscito. Lui, mi ha restituito “il favore”, “spingendomi” davanti al Gohonzon, addirittura dopo la sua morte; mi ha dato questa opportunità e adesso sta a me sfruttarla fino in fondo.
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