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Al di là delle sbarre - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:40

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Al di là delle sbarre

Francesco Rabino, Torino

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Tutto è partito da un punto di arrivo. Il primo novembre 2002 Il Nuovo Rinascimento pubblica alle pagine 10 e 11 l’esperienza di un imprenditore accusato di associazione a delinquere, processato e condannato prima al carcere, poi agli arresti domiciliari che, grazie alla pratica buddista, è diventato un uomo nuovo, Francesco Rabino. Francesco è l’unico nome autentico, insieme a quello di Silvana la sua compagna, che si leggerà di qui in poi, per le ragioni che scopriremo fra breve. L’esperienza di Francesco arriva fino a Nina che pratica da qualche anno e da qualche anno cerca di far praticare suo fratello. Lo chiameremo Luigi. Solo che suo fratello è un osso duro. È in carcere da anni, nell’Istituto di pena Lo Russo Cotugno, più conosciuto come ex Le Vallette, a Torino. Stavolta Nina sente che c’è qualcosa di nuovo. Questa è l’esperienza di un uomo d’onore, tradito, mai pentito, detenuto, e infine rinato alla vita. La storia di uno di loro.
Nina ci prova e suo fratello stavolta è interessato, si riconosce in Francesco e accetta l’aiuto. Legge, riflette, decide e contatta l’uomo dell’esperienza nell’unico modo consentito dalla legge dei reclusi, per posta. Non è la prima volta che Francesco riceve una lettera dal carcere e che parla della pratica buddista per corrispondenza. C’è anche una donna che gli scrive e che si è messa a praticare. Sta per uscire e trasferirsi a Vercelli e lui spera che una volta “fuori”, continui. La chiameremo Lucia. Nel frattempo, alla seconda lettera, Luigi ha già iniziato a recitare Daimoku e a parlare con i compagni di cella, durante l’ora d’aria. Arturo è il suo primo shakubuku, entusiasta a tal punto che inizia subito e poco dopo, per una inaspettata riduzione della pena, ottiene la semilibertà e infine lo lasciano libero del tutto. Continuerà a praticare anche “fuori” e riceverà il Gohonzon il 14 dicembre 2003, insieme ad altre 30 persone di varie parti del Piemonte. Quel giorno a ricevere il Gohonzon c’è una persona di Vercelli, una sola: Lucia, l’ex detenuta, naturalmente, o… misticamente.
Dopo quel primo seme, all’Istituto di pena Lo Russo Cotugno comincia a praticare Davide, un giovane uomo, poi altri detenuti, fino ad arrivare a quindici, in modo del tutto spontaneo. Gli effetti si vedono subito e sono questi a “tradire” i praticanti. Tutto troppo tranquillo, troppa armonia in sezione. La guardia penitenziaria si insospettisce e riferisce al direttore che c’è qualcosa di strano. Dopo qualche indagine nemmeno troppo segreta si arriva a Luigi che ne approfitta per illustrare il significato e gli obiettivi della pratica buddista al direttore del carcere e gli racconta del suo compagno di Buddismo per corrispondenza, Francesco. Il direttore ne rimane positivamente impressionato. Vuole incontrare chi dall’altra parte scrive. «In quel periodo recitavo tanto Daimoku ogni giorno – racconta Francesco – perché sapevo che la sfida era grandissima, e insieme a me molti compagni di fede che mi sostenevano. Ogni direttore, secondo l’articolo 17 della legge del regolamento carcerario, ha la facoltà di decidere tutto, nell’ambito dell’Istituto che gli hanno affidato. Mi sono presentato da solo, con un libro scritto dal presidente della SGI Daisaku Ikeda insieme a Mikhail Gorbaciov, Le nostre vie si incontrano all’orizzonte. In carcere una guardia riconoscendo il mio viso familiare, mi ha detto: «Buongiorno dottore!». Io gli ho risposto che in effetti ci eravamo già visti ma, a quei tempi, io ero dall’altra parte, dietro le sbarre. Con il direttore è andata nel migliore dei modi. In seguito sono andato di nuovo in visita con altri responsabili e quindi il direttore è passato ai fatti. Ha inoltrato richiesta al Ministero di grazia e giustizia che ha dato il permesso». Era la fine del 2003.
All’inizio del 2004 al primo piano del carcere il direttore decideva di dedicare una cella a luogo di culto. «Naturalmente all’inizio potevano esserci delle diffidenze – ricorda Francesco -. Ma dopo aver avuto la prova che non solo questa nuova pratica non era dannosa, ma anzi era di grandissimo beneficio per lo stato vitale di tutti i praticanti, hanno iniziato ad avere veramente fiducia in noi».
Da quel momento in poi l’attività buddista si struttura e si propaga non solo dentro al carcere ma soprattutto fuori. Perché una volta avuto il permesso per fare le riunioni, ogni ultimo sabato del mese, toccava a chi era fuori organizzarle, visto che dentro non c’erano membri, ma solo “simpatizzanti”. «Ho iniziato – commenta Silvana, compagna di Francesco – insieme a nove altre persone consapevoli, visto che questo tipo di attività presuppone una disponibilità a “dare” sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista formale, perché per entrare nel carcere bisogna dimostrare di avere un certo tipo di curriculum vitae che coinvolge anche i familiari».
Particolarmente commovente è stata l’esperienza di un membro ex tossicodipendente, incensurato, che grazie alla pratica era riuscito a vincere completamente la sua dipendenza e che aveva deciso di portare in carcere la sua esperienza. «Alla fine della sua storia – racconta Francesco – era diventato famoso. Tutti i detenuti avevano fatto lo stesso ragionamento: “Se ce l’ha fatta lui ce la posso fare anch’io!”».
«Andando alle Vallette – continua Silvana – ho imparato che bisogna essere sinceri e senza pregiudizi. Bisogna credere veramente che hai davanti a te dei Budda perché le persone, se non ci credi sul serio, se ne accorgono immediatamente». Ai nove partecipanti del primo anno, nel 2005 se ne aggiungono altri dieci e infine nel 2006 si arriva a trenta persone che partecipano a quest’attività “Rinascita” nelle carceri. «Le riunioni regolari ora sono due al mese – racconta Silvana – una di discussione e una dedicata allo studio dei principi fondamentali».
Ma, oltre a questi grandi passi avanti, il gruppo Rinascita sta lavorando a un progetto ambizioso. «Il nostro obiettivo – rivela Francesco – è esporre all’interno del carcere la mostra I semi del cambiamento. Desidero ringraziare fin d’ora la Direzione del carcere, tutti i collaboratori del Direttore e della Polizia Penitenziaria per questa grande fiducia data a lui e a tutti i componenti del gruppo Rinascita. E ringrazio anche tutti i componenti del Gruppo Rinascita e tutte le persone che hanno creduto e credono in questa attività e l’appoggiano».

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