«Una volta compreso che la tua vita è la Legge mistica comprenderai che lo è anche la vita di tutti gli altri» scrisse il Daishonin. Partendo da questa equazione, ignorare la Buddità che è in ogni persona, equivale a ignorarla anche dentro di noi. E viceversa. Il Buddismo ricorda che non è possibile disgiungere il rispetto per la propria dignità, da quello per la dignità altrui
«Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione». Così inizia il racconto della notte prima della partenza degli ebrei dal campo di internamento di Fossoli, presso Modena, verso Auschwitz, nell’opera di Primo Levi Se questo è un uomo (Einaudi Tascabili, pag. 13). «Ma le madri – prosegue – vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, e all’alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare; e non dimenticarono le fasce, e i giocattoli, e i cuscini, e le cento piccole cose che esse ben sanno, e di cui i bambini hanno in ogni caso bisogno».
Quando si avvicina l’ultima ora, le persone rivelano la loro vera natura. Quella notte, il pensiero e l’azione delle madri furono rivolti alla cura e al sostegno della famiglia. Esse mostrarono forza, coraggio e amore. Il loro comportamento manifestò la dignità dell’essere umano. Questa vicenda è l’occasione per parlare di alcuni aspetti strettamente collegati alla dignità, e a ciò che essa rappresenta nella società e nel Buddismo di Nichiren Daishonin.
La lingua italiana definisce la dignità (dal latino dignus, degno) come il rispetto che l’uomo, conscio del proprio valore sul piano morale, deve sentire nei confronti di se stesso e tradurre in un comportamento e in un contegno adeguati. Anche il Buddismo considera il rispetto di se stessi una condizione indispensabile per crescere come individui. In questa ottica, le difficoltà della vita offrono ogni volta la possibilità di sviluppare la propria autostima: sta a noi coglierla, scartando le pseudo-soluzioni che possono derivare dall’esterno e scegliendo di scoprire il proprio valore e di sviluppare le proprie capacità. Diventare felici, dice il presidente della SGI Daisaku Ikeda, equivale a scalare la montagna che si erge davanti a noi: se non accettiamo la fatica che comporta la salita, non potremo arrivare in cima e godere del panorama.
Il Buddismo insegna a trasformare la propria sofferenza in gioia tramite il Gohonzon: se invece cerchiamo altre soluzioni, ci neghiamo la possibilità di sperimentare il potenziale illimitato della nostra vita.
A questo proposito, il Daishonin scrive al discepolo Toki Jonin ne Il conseguimento della Buddità in questa esistenza: «Se cerchi l’Illuminazione al di fuori di te, anche eseguendo diecimila pratiche e diecimila buone azioni, sarà inutile come se un povero stesse giorno e notte a contare le ricchezze del suo vicino, senza guadagnare nemmeno mezzo centesimo» (WND, 3, vedi anche SND, 4, 4). Inoltre, per il principio di non dualità di vita e ambiente (esho funi) se nutriamo rispetto per noi stessi anche gli altri ci rispetteranno, viceversa la tendenza a ottenere scarso rispetto dall’esterno origina probabilmente da una nostra carenza di autostima. In ogni caso, una forte preghiera al Gohonzon unita allo spirito di sfidarsi continuamente trasformerà ogni punto debole in un punto di forza.
Noi e gli altri, il rispetto è reciproco
È anche vero che se manchiamo di rispetto a qualcuno, in realtà neghiamo lo stesso rispetto a noi stessi. «Una volta compreso che la tua vita è la Legge mistica – scrive ancora il Daishonin – comprenderai che lo è anche la vita di tutti gli altri» (SND, 4, 6). Poiché ogni persona incarna la Buddità, ignorarla in un altro equivale a ignorarla anche dentro di noi.
Se però impariamo a concentrarci sulle qualità delle altre persone, piuttosto che sui difetti, cambierà in positivo anche il modo di vedere noi stessi. L’atteggiamento che adottiamo verso la vita, alla fin fine, è lo stesso, che si tratti della nostra o di quella altrui. Il lavoro che dobbiamo fare per migliorare la qualità della nostra vita è esclusivamente rivolto verso di noi. Per questo non ha alcun significato, né produce valore, fare confronti fra noi e gli altri: l’unico confronto da fare è fra come eravamo ieri e come siamo oggi, per verificare se e quanto è avanzata la nostra rivoluzione umana.
Daisaku Ikeda, raccontando la sua partecipazione a una riunione di discussione a livello di settore alla quale erano presenti circa trenta persone, in un recente saggio afferma: «Parlai con ciascuno di loro e li incoraggiai con tutto il cuore, augurandomi di imprimere per sempre dentro di me l’incontro di quella sera» (NR, 348, 1 aprile, 8). Mentre leggevo questa frase mi aspettavo che si concludesse con «augurandomi di imprimere dentro di loro», invece era scritto «dentro di me». Ciò che evidentemente contava per lui in quel momento non era semplicemente dare un incoraggiamento, ma arricchire ulteriormente il suo patrimonio di relazioni umane in modo da poter influire favorevolmente sulla vita di quelle persone.
La dignità è la madre stessa dei diritti umani
In occasione della celebrazione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il presidente Ikeda ha scritto: «Dobbiamo fare dei prossimi cent’anni il secolo dei diritti umani. Il primo passo è rispettare noi stessi, vivere con dignità, autostima e fierezza. Dobbiamo poi diffondere nella società un assoluto e fondamentale rispetto per gli altri, una profonda compassione verso la vita. Un cambiamento nei nostri cuori, nel nostro atteggiamento e nelle nostre azioni trasformerà qualunque cosa, anche il futuro» (DU, 73, 66).
Pertanto al di là dell’impegno importantissimo profuso dalla Soka Gakkai nel campo dei diritti umani attraverso le innumerevoli attività educative e di divulgazione nella società (mostre documentarie, forum, conferenze ecc.), è praticando giornalmente il Buddismo del Daishonin che ognuno di noi concretizza prima di tutto nella sua vita i principi fondamentali che sono all’origine dei diritti umani. L’insegnamento buddista infatti, benché non tratti dei diritti umani in modo diretto, ci rivela la suprema dignità dell’uomo che ne sta alla base.
A questo proposito, il professore Toru Shiotsu della Soka University di Tokyo afferma: «Le scritture buddiste non fanno alcun espresso riferimento ad alcun specifico diritto umano, così come attualmente conosciuto. In esse tuttavia è possibile ritrovare un principio che fa da fondamento ai diritti umani, che possiamo definire come dignità dell’essere umano. Per poter ritrovare e identificare questo principio nell’ambito delle scritture buddiste è necessario procedere alla loro interpretazione, leggendo il Buddismo come “Buddismo vivente” e reinterpretando i sutra buddisti alla luce della consapevolezza dei problemi esistenti nelle società moderne» (BS, 98, 40).
Una scelta coraggiosa
Le considerazioni del professore Shiotsu ci aiutano a comprendere che vivere sulla base della dignità comporta un continuo impegno teso al miglioramento sia di se stessi sia della propria comunità, come spiega anche Ikeda: «Tutti gli esseri umani sono degni di rispetto perché sono dotati della natura di Budda che è sorgente di infinito coraggio, speranza e saggezza. Quando manifestiamo concretamente questa natura di Budda sotto forma di coraggio, speranza e saggezza, e percorriamo con impegno costante la strada della verità e della felicità, possiamo far risplendere la suprema dignità umana della nostra vita» (NR, 337, 18).
Dunque la dignità “risplende” solo attraverso un impegno attivo: in altre parole la natura illuminata dell’essere umano, a volte così difficile da riconoscere, prende forma e si rivela in tutta la sua lucentezza nel momento in cui l’uomo assume un comportamento coerente con essa. Nichiren Daishonin ce ne ha dato la massima prova dedicando la sua vita a propagare l’insegnamento corretto nell’epoca malvagia dell’Ultimo giorno della Legge.
Ma vivere nel modo più nobile, lottando contro male e ingiustizia, richiede una decisione coraggiosa. Nei versi di Francesco Guccini, cantautore emiliano molto amato dal pubblico italiano, il personaggio di Don Chisciotte della Mancha esclama: «Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro / perché il male ed il potere hanno un aspetto così tetro? / Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità, / farmi umile e accettare che sia questa la realtà?» (Don Chisciotte).
La ribellione a situazioni inaccettabili e la sfida alla paura che si affaccia nel cuore di chi sceglie di vivere con dignità e coerenza sono anche l’anima dell’insegnamento del Daishonin. «Pratica buddista – spiega il presidente Ikeda nel Mondo del Gosho – significa lottare contro il male. Significa sfidarsi all’infinito, e avanzare senza retrocedere neanche di un passo. Se abbiamo un cuore debole verremo divorati dai demoni» (NR, 320, 21). Non retrocedere vuol dire avere una fede come l’acqua, che permette, qualunque cosa accada, di portare avanti ciò che abbiamo deciso mantenendo la fiducia nella vittoria finale.
D’altra parte, nell’epoca in cui viviamo, sempre più simile a quella in cui visse il Daishonin, s’impone una decisione con urgenza: la scelta se operare per il positivo o stare a guardare il negativo che avanza. «L’umanità – ammonisce il presidente Ikeda – si trova di fronte a un bivio. Come affermava Gandhi, da una parte c’è la violenza della “legge della giungla”, dall’altra la nonviolenza della “legge dell’umanità”. Bisogna scegliere. O crediamo che la natura di Budda esista in ogni persona e costruiamo una civiltà della nonviolenza, oppure lasciamo che l’oscurità e l’ignoranza nostra e altrui ci ottenebrino e scegliamo la violenza della barbarie. Tutta l’umanità si trova di fronte a questo bivio. Io sono convinto che la strada del contribuire alla pace su scala mondiale sia seguire il Buddismo del “comportamento da essere umano”» (ibidem). Comportarsi da esseri umani vuol dire vivere sulla base della compassione per ogni forma di vita. Questo è il comportamento che contraddistingue la dignità umana, essendone il risultato e la causa stessa.
Scegliere la via “umana” non è un’utopia. Certo non vi riusciranno le masse con le rivoluzioni armate o i governanti con le strategie di guerra. Potranno farlo le persone comuni, ognuna lottando con coraggio per migliorare se stessa avendo fede nella mistica Legge di Nam-myoho-renge-kyo. La fede porta benefici sia alla nostra vita che all’ambiente: quando facciamo emergere la Buddità, da un lato riusciamo finalmente a essere felici così come siamo, dall’altro tutte le nostre qualità e anche i nostri difetti – o almeno quelli che riteniamo tali – si mettono all’opera attraverso le nostre azioni per creare valore per noi stessi e per gli altri. Questa attività, diciamo così, “illuminata” ci condurrà a creare solidi legami di amicizia, nel mondo della fede, come fuori di esso, formando preziose alleanze di persone che hanno in comune la dignità di lottare insieme per il più nobile degli scopi.
Dunque non ci facciamo prendere dallo sconforto immaginando di doverci caricare il mondo intero sulle spalle: se vogliamo dare il nostro contributo – unico e insostituibile – al benessere dell’umanità, è sufficiente prenderci cura di una singola persona. Dedicare il nostro tempo a un amico o a un compagno di fede, o fare shakubuku, è come scambiare sassi con oro, o immondizia con riso.
Addirittura, quando facciamo conoscere ad altri il Buddismo è come se prendessimo in mano la loro vita per farla rinascere una seconda volta.