Una serie di domande per mettere in luce alcuni aspetti della relazione tra Soka Gakkai e Nichiren Shoshu, prendendo in considerazione le particolarità della nostra realtà nazionale. Dal resoconto di alcuni importanti eventi che hanno portato all’attuale scissione emerge lo stretto connubio esistente tra lottare contro l’ingiustizia e sconfiggere la propria oscurità fondamentale
I partecipanti alla tavola rotonda
Fausta Cianti, Firenze, pianista, vice responsabile nazionale della Divisione donne.
Alessandro Di Giovanni, Milano, impiegato, vice responsabile nazionale della Divisione giovani uomini.
Francesco Geracitano, Roma, imprenditore, vice direttore generale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.
Tomoko Kimura, Roma, libera professionista, vice responsabile nazionale della Divisione donne.
Valentina Nannini, Prato, parrucchiera, responsabile nazionale della Divisione giovani donne.
Vittorio Sakaki, Firenze, impiegato, segretario generale dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.
È importante che gli italiani conoscano a fondo la storia e le problematiche legate alla questione col clero? In fondo l’argomento non ci tocca direttamente, dato che in Italia non ci sono monaci della Nichiren Shoshu.
VALENTINA NANNINI: Pensare che non sia importante essere informati o che questa situazione non ci riguardi perché è presente in Giappone, è come dire che la guerra non ci riguarda perché in Italia non c’è. Anzi direi che è totalmente in contrasto con i valori per i quali cerchiamo di lottare ogni giorno: migliorare il nostro ambiente mettendoci a ritmo con l’universo.
TOMOKO KIMURA: Sì, sono d’accordo. Dobbiamo conoscere, studiare e capire anche la nostra storia passata, perché la questione non riguarda solo il problema tra il clero e i laici (vedi NR 352, 10, n.d.r.). Soprattutto i membri della Divisione giovani dovrebbero approfondire questo argomento. Lo spirito della Soka Gakkai è stato concretizzato dalla lotta del maestro che ha combattuto da solo per la giustizia e tutto questo riguarda anche noi discepoli. In realtà questo problema tra clero e laici è sempre esistito, fin dall’epoca di Makiguchi. Fa parte della storia della Soka Gakkai. Come è scritto nel Gosho, quando kosen-rufu avanza inevitabilmente sorgono i tre ostacoli e i quattro demoni e solo la Soka Gakkai ha vissuto queste parole.
VITTORIO SAKAKI: È vero che non ci tocca direttamente perché in Italia non abbiamo monaci, ma, in realtà, come hanno già detto Tomoko e Valentina, riguarda la storia di kosen-rufu. La funzione del demone si manifesta sia come dubbio circa l’esistenza della Buddità all’interno della propria vita, sia come frattura nella relazione tra maestro e discepolo. Al tempo di Shakyamuni c’era Devadatta, Nichiren Daishonin fu perseguitato da Ryokan e nell’epoca contemporanea è stata la volta del patriarca Nikken.
FRANCESCO GERACITANO: È vero che in Italia adesso non ci sono monaci della Nichiren Shoshu, ma siamo sicuri che questo non avverrà nel futuro? Se ciò dovesse succedere sorgerebbero inevitabilmente tanti dubbi, per cui credo sia importante conoscere molto bene le differenze che hanno portato alla scissione tra noi e Nikken, (vedi NR 344 e 345, 22-24, n.d.r.). Mi ricordo che una volta facemmo questa stessa domanda al presidente della Soka Gakkai giapponese Einosuke Akiya che rispose in modo molto chiaro: «Se pensate di non aver problemi perché da voi non sono presenti danto (seguaci laici affiliati al tempio) e monaci, allora Nikken ha già vinto». Questa affermazione così perentoria, mi sembrò una esagerazione, non la capivo! Poi invece i monaci vennero in Italia, consegnarono i Gohonzon e diversi nostri membri posero tante domande. È importante comprendere che la lotta della Soka Gakkai si basa sull’affermazione contenuta nel Sutra del Loto e nel Gosho riguardo ai tre potenti nemici (vedi NR 281, 16, n.d.r.). Nikken rappresenta ora il terzo potente nemico.
FAUSTA CIANTI: Sì, secondo me è giusto che tutti conoscano la storia della propria religione. È bene avere informazioni sulla storia della Nichiren Shoshu perché non si crei confusione. Se faccio parte di un’associazione voglio conoscere ciò che la riguarda, inoltre penso che la conoscenza non abbia mai fatto male a nessuno, ma aiuti a crescere. Queste sono le nostre origini e il nostro passato e quindi va conosciuto. Siamo quello che siamo anche grazie alle esperienze passate.
ALESSANDRO DI GIOVANNI: Come ha spiegato Yoshitaka Oba, direttore generale della SGI, durante il corso a Trets a gennaio 2006, all’interno della setta Nikken il patriarca viene considerato come il Budda e, anche se nessuno scritto buddista lo afferma, si continua a insistere su questo punto. Il clero della Nichiren Shoshu dichiara che per ottenere la Buddità c’è bisogno di una speciale “trasmissione segreta” e cerca di inserirsi come intermediario, creando così distacco tra il Buddismo di Nichiren Daishonin e le persone comuni. Generalmente l’essere umano cerca di appoggiarsi agli altri, per questo è necessario che ci sia una forte consapevolezza nei membri perché possano essere indipendenti da determinate influenze esterne.
Ho sentito dire che combattere contro Nikken vuol dire sconfiggere la nostra oscurità fondamentale. Che cosa significa, concretamente?
KIMURA: Questa è una domanda molto importante, proprio per le ragioni che dicevo prima. Dentro ognuno di noi c’è questa oscurità fondamentale. Nikken non vuole solo distruggere il maestro, ma anche i discepoli. Vuole spezzare il legame maestro e discepolo. Il Buddismo di Nichiren è una lotta per la giustizia. Noi pratichiamo per sviluppare coraggio e per diventare felici. Combattere contro l’oscurità fondamentale significa imparare lo spirito di lottare sia nella propria vita che nella società. Se non ci sfidiamo quotidianamente non possiamo essere pronti quando appaiono oscurità così grandi e forti. Non dobbiamo dimenticare come ha lottato il presidente Ikeda. Mi riferisco in particolare alle dimissioni di sensei dalla carica di presidente della Soka Gakkai, avvenuta nel 1979. Dopo che venne invitato a dimettersi, a causa della gelosia dei monaci in combutta con alcuni ex membri, sensei non poteva partecipare ufficialmente alle attività. Ma in occasione della quarantesima riunione generale della Soka Gakkai, nel 3 maggio del ’79, Ikeda decise che sarebbe comunque stato presente. Temendo ritorsioni da parte dei monaci, gli alti responsabili della Soka Gakkai, che solo fino a pochi giorni prima lo chiamavano maestro, repressero gli applausi spontanei dei membri. Ikeda non venne neppure invitato a sedersi per presiedere alla riunione. L’unica persona che fece qualcosa fu una donna che teneva un bambino per mano. Ella chiamò forte: «Sensei!», lui l’abbracciò e disse rivolto ai responsabili: «E adesso questa donna chi la incoraggia, chi la protegge? In qualunque situazione mi troverò, la proteggerò per sempre». Poi andò al Centro di Kanagawa e scrisse il carattere “giustizia”. Mi commuovo ogni volta che rileggo questo episodio nella Rivoluzione umana.
SAKAKI: Il Buddismo non insegna l’esistenza di una netta separazione tra bene e male, ma la non dualità tra questi due aspetti della vita. Entrambi esistono nei nostri cuori ed entrambi sono manifestabili in ogni singolo istante vitale. Non esistono persone cattive e persone buone, ma persone che manifestano la funzione del Budda e persone che manifestano quella del demone. La funzione di Nikken è attualmente quella del demone, che cerca di distruggere l’unità dei credenti e l’ortodossia dell’insegnamento del Daishonin, causando gravi danni al movimento di kosen-rufu. Nikken, in quanto persona, non è il male, ma svolge l’opera del demone. Anche all’interno della nostra vita esiste l’oscurità fondamentale ed è proprio partendo da questa considerazione che la lotta contro Nikken acquisisce significato e valore. Denunciando l’offesa alla Legge facciamo emergere la natura illuminata, contrastando di conseguenza l’oscurità fondamentale presente nella nostra vita. Combattendo qualcosa che è esterno a noi, vinciamo in realtà su qualcosa di interno. Inoltre la battaglia contro una presunta gerarchia istituzionale nella fede è un aspetto che deve essere combattuto, in accordo con gli insegnamenti del Gosho. Il Daishonin dichiara senza mezzi termini che l’eredità della Legge fondamentale della vita avviene solo attraverso la fede e non conseguentemente a una carica o a un ruolo ricoperto. Essere patriarca o essere monaco non è sinonimo di vicinanza allo spirito del Budda originale. Soltanto avendo la stessa mente di Nichiren possiamo ereditare lo spirito del maestro. Questo viene espressamente negato da Nikken, che al contrario si adopera per mantenere una posizione privilegiata nei confronti di tutti i credenti e che incoraggia i monaci a pretenderla nei confronti dei laici. Noi membri della Soka Gakkai seguiamo invece le parole del Budda originale e l’esempio del presidente Ikeda, che affermano la pari dignità di ogni credente, prete o laico, uomo o donna, e che insegnano che la vicinanza al maestro si ottiene solamente attraverso la fede.
GERACITANO: Spesso interpretiamo la lotta contro il male come un’azione rivolta all’esterno, verso qualcuno. Ma il Buddismo ci insegna che sia il bene che il male sono inerenti alla nostra vita. È per questo che la lotta deve avvenire anche dentro di noi. Questi due aspetti esistono anche all’esterno, nella società o in persone malvagie. Questo è il potere dell’oscurità fondamentale presente nella vita degli esseri umani. Quando parliamo della lotta contro Nikken, in realtà ci occupiamo della lotta contro l’oppressione e contro l’autoritarismo. Nikken oggi sta cercando di distruggere il movimento di kosen-rufu, sta agendo come nemico del Budda cercando di stravolgerne la dottrina. Ripeto, il bene e il male per il Buddismo sono inseparabili nella vita umana. La lotta è tra la forza della Buddità e l’oscurità fondamentale. È una lotta nei nostri cuori per far prevalere la Buddità nella nostra vita e nella società.
CIANTI: È vero, penso che parte dell’oscurità fondamentale consista nel non combattere il male, non approfondire e non avere il coraggio di andare fino in fondo, lasciarsi portare dagli eventi. Penso che la nostra vita sia una continua lotta fra il bene il male. Se ci lasciamo sopraffare dalla pigrizia, il male prende il sopravvento.
NANNINI: Più volte, sia Nichiren Daishonin che il presidente Ikeda, nei loro scritti, sottolineano la necessità di lottare contro le ingiustizie e confutare le idee errate e i nostri maestri in prima persona ne sono stati un esempio. Quindi tutto ciò che internamente ci paralizza e non ci permette di sperimentare la vera gioia va combattuto con la forza della preghiera. Le azioni di Nikken per arrestare lo sviluppo di kosen-rufu, non ultimo l’aver privato tutti i praticanti della possibilità di pregare davanti al Dai-Gohonzon che è stato iscritto per l’umanità, vanno combattute, visto che lo stesso Nichiren in un Gosho ci esorta a percorrere le due vie della pratica e dello studio insegnando agli altri a fare altrettanto. In questo senso combattere le azioni di Nikken e della Nichiren Shoshu, equivale a proteggere lo sviluppo di kosen-rufu e a contrastare l’oscurità innata della vita.
DI GIOVANNI: Approfondire la questione Nikken e decidere di contrastarla porta a rivedere il nostro atteggiamento come singoli membri. Dal punto di vista della società la pratica buddista significa anche affrontare la corruzione del potere e l’arroganza, mentre a livello individuale significa affrontare l’oscurità fondamentale della propria vita. Questa oltre a essere una lotta a livello individuale è una lotta che va a contrastare la natura oscura che si annida in tutti quei poteri (religiosi e politici) che invece di servire le persone si servono di queste per scopi personali, usandole a loro piacimento. Penso anche che la Soka Gakkai sia rimasta così pura perché ha sempre posto l’accento sull’importanza della gente comune creando un movimento al servizio delle persone (e non il contrario), inoltre si è sempre battuta in loro difesa e credo che sia soprattutto per questo che i nostri maestri sono stati così perseguitati.
Come mai, secondo voi, il presidente Ikeda ha sostenuto a lungo il clero, nonostante avesse visto che c’erano dei problemi fin da quando Nikken aveva assunto la carica di patriarca?
SAKAKI: Il motivo è da ricercarsi nella compassione del presidente Ikeda. Seguendo gli insegnamenti di Nichiren Daishonin, sensei ha cercato di mantenere l’unità tra clero e laici, secondo il principio di “diversi corpi, stessa mente” (itai doshin), ma Nikken ha scomunicato Ikeda e tutti i membri della Gakkai, interrompendo il dialogo. D’altronde problemi ci sono sempre stati; Makiguchi è stato tradito dal clero e anche Toda ha vissuto la stessa situazione. C’erano preti che si ubriacavano e che maltrattavano i credenti laici. Nessuno ha mai fatto finta di non vedere, ma i presidenti avevano a cuore l’unità e hanno cercato fino all’ultimo di mantenere il dialogo, a volte severo, per riformare l’atteggiamento negligente e autoritario dall’interno, senza creare fratture insanabili. Ma non per questo i presidenti avevano chiuso gli occhi di fronte al dispotismo clericale. Vicino alla morte, Toda rivolgendosi a Ikeda disse delle parole che finora non avevamo capito: «Non indietreggiare mai nella lotta contro questo male!» (RU, 12, 285). Noi tutti avevamo capito di combattere per kosen-rufu, Toda invece voleva dire di combattere e confutare i preti corrotti. L’abbiamo capito dopo. Oggi non tutti i preti sono così: un gruppo di giovani monaci, infatti, sostiene la Soka Gakkai. Il vero problema è sapere e non fare niente. Il comportamento più giusto è quello del bodhisattva Mai Sprezzante, che rispettando gli altri cerca di correggere una visione sbagliata. Prima del 1990, la Nichiren Shoshu, non aveva ostacolato apertamente la Soka Gakkai: consegnava i Gohonzon, riceveva i membri al tempio principale, ma poi, con la scomunica del ’90, appunto, non ha più voluto avere a che fare con noi, manifestando la sua vera natura. Voleva formare un gruppo indipendente che oggi non ha niente a che fare con gli insegnamenti di Nichiren Daishonin. Toda aveva compreso pienamente il problema e, in accordo con gli ammonimenti di Nikko Shonin, aveva espressamente dichiarato: «Potrebbe addirittura emergere un patriarca che cercherà di sottomettere la Soka Gakkai in base alla sua autorità clericale e tenterà di manipolarla a proprio vantaggio».
NANNINI: Sensei in prima persona si è assunto la responsabilità di risolvere questa situazione, cercando di non recare sofferenze inutili ai membri. Il presidente Ikeda si è comportato così proprio perché ha una visione globale della realtà di ogni paese, di cosa avrebbe comportato a livello mondiale nelle varie organizzazioni una netta rottura con il clero, che poi inevitabilmente, come tutti sappiamo, è avvenuta. Per questi motivi credo abbia voluto mantenere inizialmente un rapporto con il clero.
KIMURA: Come ha ben spiegato Sakaki, questo problema non esiste da quando Nikken ha assunto la carica di patriarca. Il problema era presente fin dall’epoca di Makiguchi; già allora il clero era arrogante e autoritario. La Soka Gakkai ha cercato comunque di sostenere il clero per proteggere fino in fondo i membri ed evitare tensioni fra clero e laici. Io penso che in quell’epoca anche i membri non avessero una profonda consapevolezza. E la mentalità giapponese tendeva a vedere il clero superiore ai laici. Ikeda aspettava che maturassero i tempi e la consapevolezza dei praticanti. Anche con Nittatsu c’erano problemi (nell’aprile 1979 c’era ancora lui, è morto a luglio di quell’anno). Il presidente Ikeda ha cercato di evitare una spaccatura. Toda diceva: «Se proteggete il terzo presidente della Soka Gakkai si può realizzare kosen-rufu a livello mondiale». Questo è stato il suo testamento. In questa epoca Nikken ha manifestato la funzione del terzo potente nemico nei confronti del terzo presidente della Soka Gakkai. Ikeda ha fatto tutto quello che era possibile, dopo di che è successo ciò che sappiamo.
DI GIOVANNI: Il presidente Ikeda desiderava che i preti che custodivano il Dai-Gohonzon, agissero in unità con la Soka Gakkai, quindi si dedicò a incoraggiare e sostenere il clero. Si era preso questo impegno dedicandosi come i suoi predecessori a proteggerlo in tutti i modi possibili. Benché i preti corrotti aumentassero sempre di più, ha sempre cercato il dialogo per tentare un rinnovamento nella Nichiren Shoshu.
Quando nel 1990 siete venuti a conoscenza del “tradimento” del clero, come avete reagito? La vostra fede ne ha risentito?
GERACITANO: Fu un fulmine a ciel sereno. La mia fede ne ha risentito moltissimo, ma in quegli anni sono stati fatti anche enormi passi in avanti. Prima di tutto, per quanto mi riguarda, ho dovuto ricostruire un rapporto diverso con il Gohonzon. Il patriarca fino ad allora era un punto fermo, era un esempio, e all’improvviso si manifestava in un modo orribile. Come era possibile scomunicare dodici milioni di fedeli? Come era possibile impedire loro di vedere il Dai-Gohonzon? Come era possibile non consegnare i Gohonzon? Queste azioni erano in palese e completo disaccordo col volere di Nichiren Daishonin. È stato come un trampolino, come un forte acceleratore. Grazie alla guida del presidente Ikeda quel tremendo attacco si è trasformato in un’opportunità senza uguali, e il movimento della SGI si è espanso senza precedenti. Quindi oggi dico: sì, la mia fede ne ha risentito moltissimo all’inizio, ma poi si è approfondita. È stato un periodo fondamentale!
CIANTI: Ho sempre pensato che la cosa essenziale fosse il Gohonzon. Da quando ho letto il libro di Ikeda La vita del Budda, dove Shakyamuni dice ad Ananda di contare su se stesso, ho fatto mio il principio di contare sulla Legge e non sulla persona. Inoltre, se uno studia il Buddismo, apprende subito che i tre potenti nemici appariranno e fra questi ci sono i preti. Anche nel diciassettesimo ammonimento di Nikko Shonin si legge: «Non seguite nemmeno il patriarca se va contro la Legge buddista e propone opinioni personali». Nell’Eredità della Legge si dice che non c’è differenza fra preti e laici, perciò, quando Nikken si erse a mediatore, pensai subito che sbagliasse e non ebbi il minimo dubbio che fosse uscito dal seminato.
SAKAKI: All’inizio nessuno ci ha creduto, perché apparentemente eravamo uniti, sembrava impossibile che il demone dei tre potenti nemici fosse entrato nella guida religiosa che custodiva il Dai-Gohonzon. Ma, nonostante tutto, nessuno ha dubitato perché kosen-rufu è sempre stato portato avanti da Makiguchi, Toda e Ikeda, non dal clero. Così, dopo quanto è accaduto, abbiamo verificato la veridicità degli scritti del Daishonin.
NANNINI: Per me è stata una grande occasione per approfondire maggiormente il Gosho, cercando in esso le risposte. Tornando a un principio fondamentale che Nichiren più volte ci trasmette attraverso le sue parole e cioè di “seguire la Legge e non la persona”…
DI GIOVANNI: Avevo dieci anni e l’unica cosa che ricordo sono i mondiali!
È importante che il Dai-Gohonzon torni “nelle mani” della Soka Gakkai? Succederà? Che significato ha il fatto che sia custodito da chi continua a distorcere la Legge?
SAKAKI: Sinceramente non lo so. Importante è la comprensione profonda delle parole del Sutra del Loto, dove troviamo la frase isshin yokken butsu, «desiderano con tutto il cuore vedere il Budda» (SDL, 16, 302). Anche il Daishonin spiega questo concetto in Lettera a Gijo-bo: «Desiderare di vedere il Budda con unica mente è concentrare la mente nel vedere il Budda e se si vede la propria mente, si vede il Budda» (SND, 5, 4). Il Gohonzon si trova nella nostra vita. Questo ci ha insegnato il Budda originale ed è questo che dobbiamo costantemente tenere presente. Ognuno può manifestare lo stato di Buddità ovunque si trovi. Venerare il Dai-Gohonzon come qualcosa di esterno a noi, come una reliquia, è scorretto dal punto di vista dell’insegnamento buddista. Imparare a venerare lo stato vitale del Budda presente nella nostra vita è l’atteggiamento essenziale. Nichiren Daishonin scrisse e consegnò molti Gohonzon, anche su fogli che venivano ripiegati e portati appresso, in una calligrafia molto libera e altri, diciamo scritti in “bella copia” che sono custoditi tutt’oggi in altri templi. Nel Mondo del Gosho, Ikeda dice che solo la Soka Gakkai ha mantenuto la purezza dell’insegnamento; questa affermazione può sembrare arrogante, ma è uno dei fattori che conferma come noi stiamo seguendo la strada giusta. Le basi del Buddismo del Daishonin sono fede, pratica e studio. Non è incluso il pellegrinaggio perché non è una priorità per kosen-rufu. Prioritario per kosen-rufu è invece che ognuno di noi si sforzi di seguire questi tre pilastri della pratica buddista.
CIANTI: Vorrei aggiungere che il fatto che il Dai-Gohonzon torni nelle mani della Soka Gakkai dipende dalla forza del Daimoku, da quanto recitiamo per questo.
NANNINI: Per quanto mi riguarda è nelle mie preghiere. Sicuramente il Gohonzon non è qualcosa di esterno a noi. Quello che mi sembra determinante in sé è quanto ogni membro continui a lottare per riprendersi questo diritto che oggi ci è stato sottratto.
DI GIOVANNI: Credo che il Dai-Gohonzon tornerà a essere l’oggetto di culto “donato a tutta l’umanità” e che questa sia l’essenza della lotta della gente comune contro l’ingiustizia del potere corrotto.
GERACITANO: È vero anche che il patriarca Nichiko Hori disse: «Senza la fede il Dai-Gohonzon non si manifesta». Il vero Dai-Gohonzon iscritto da Nichiren è il risultato delle sue battaglie. Quando anche noi facciamo come lui, allora lì c’è la vera sostanza della Legge e lì tutti i Gohonzon diventano il Dai-Gohonzon.
KIMURA: Giusto, anche secondo me è una formalità chiedersi se il Dai-Gohonzon tornerà alla Soka Gakkai o se rimarrà a Nikken. Non ha importanza dov’è. Il Gohonzon esiste affinché tutte le persone possano diventare felici. Bisogna capire dal punto di vista della fede che cosa significa il Dai-Gohonzon.