Deprecated: Function strftime() is deprecated in /var/www/vhosts/ilnuovorinascimento.org/wp-dev.ilnuovorinascimento.org/site/wp-content/themes/nuovo-rinascimento/functions.php on line 220
3 maggio 1979 - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:50

352

Stampa

3 maggio 1979

3 maggio 1960: nomina di Daisaku Ikeda a terzo presidente della Soka Gakkai. A diciannove anni di distanza, qualche giorno prima della consueta riunione del 3 maggio, Ikeda fu costretto a dimettersi da questo incarico a causa delle pressioni del clero e di alcuni responsabili intimoriti. Questo saggio racconta cosa accadde quel giorno e ripercorre le emozioni provate da Ikeda. Da quel momento Daisaku Ikeda ha mantenuto la carica di presidente della Soka Gakkai Internazionale

Dimensione del testo AA

3 maggio 1960: nomina di Daisaku Ikeda a terzo presidente della Soka Gakkai. A diciannove anni di distanza, qualche giorno prima della consueta riunione del 3 maggio, Ikeda fu costretto a dimettersi da questo incarico a causa delle pressioni del clero e di alcuni responsabili intimoriti. Questo saggio racconta cosa accadde quel giorno e ripercorre le emozioni provate da Ikeda. Da quel momento Daisaku Ikeda ha mantenuto la carica di presidente della Soka Gakkai Internazionale

Era una giornata di maggio bella e soleggiata, nel cielo non c’era neppure una nuvola. La collina di Musashino era ricoperta di fiori di azalea, lucenti omaggi alla vita e alla freschezza della gioventù. Sullo sfondo risplendeva il verde della primavera, da cui emanava un silenzio di profonda verità. In piedi nella luce abbagliante, mia moglie mi disse: «Il tempo è esattamente come quello che c’era diciannove anni fa, non è vero?». Anche il giorno in cui diventai terzo presidente della Soka Gakkai, nel 1960, era luminoso e pieno di sole. Ricordo quella notte, nella nostra casa di Tokyo, a Ota, quando mia moglie e io, rimirando il cielo, notammo che le stelle sembravano lucciole scintillanti.
La mia incessante battaglia per aprire un varco nell’oscurità della disperazione umana e costruire un regno di pace duratura, ebbe inizio diciannove anni fa. Era il 3 maggio del 1979. La quarantesima riunione generale della Soka Gakkai, durante la quale avremmo celebrato la vittoriosa conclusione delle Sette Campane – un ciclo di sette anni che segna le tappe fondamentali nello sviluppo dell’organizzazione fin dal suo esordio – stava per avere inizio nella palestra dell’Università Soka. In circostanze normali avrei celebrato i risultati della Soka Gakkai indicando nuove prospettive per il futuro di kosen-rufu.
Sarebbe stato un giorno di grande gioia, con i membri pieni di entusiasmo per il prossimo eccitante traguardo, e i loro cuori colmi della brillante luce della speranza. Avrebbe dovuto essere un giorno nel quale quei nobili alfieri di kosen-rufu avrebbero brindato insieme in coppe preziose, un giorno in cui suonare allegramente le campane della vittoria. Ma l’insana gelosia dei monaci della Nichiren Shoshu, alleati con alcuni ex membri della Gakkai che avevano abbandonato la fede soccombendo all’oscurità del mondo di Collera, sottrassero ai nostri membri la gioia di quella celebrazione.
Poco prima dell’inizio della riunione previsto per le due del pomeriggio, l’autobus che portava i preti si fermò davanti all’università. Io ero in piedi alla porta di ingresso, mi inchinai e li salutai cordialmente, ma loro si rifiutarono di ricambiare il saluto anche solo con una parola o un cenno del capo. Impettiti e arroganti mi passarono accanto, con un’espressione fredda e priva di emozioni.
Quel giorno la riunione generale, tradizione della nostra organizzazione, non fu efferevescente e gioiosa come al solito. C’era un’atmosfera inquietante, come se tutto fosse stato posto sotto il controllo e la supervisione dell’autorità del clero. In seguito un responsabile disse che l’atmosfera di quella riunione era agghiacciante, come se fossimo stati costretti a sedere su gelide pietre tombali. Molti membri erano in collera per quello che stava accadendo.
L’applauso per me, proveniente dalla platea, venne represso. Gli alti responsabili della Soka Gakkai che avevano preso posto sul palco e che fino a pochi giorni prima erano soliti chiamarmi con naturalezza “Ikeda sensei“, non mi nominarono nemmeno, come se temessero rappresaglie da parte dei monaci. Non mi importava per me, ma il loro comportamento era un tradimento nei confronti della fede sincera dei membri, accomunati dal forte legame di maestro e discepolo che attraversava le tre esistenze di passato presente e futuro. Successivamente una donna commentò animosamente: «Perché quei responsabili non hanno avuto il coraggio di dichiarare orgogliosamente che il fenomenale sviluppo del movimento di kosen-rufu è tutto dovuto al presidente Ikeda?».
Quando lasciai la riunione, nuovamente gli applausi furono titubanti. Mi riferirono che uno dei responsabili nazionali della Divisione giovani aveva detto ai membri di non applaudire calorosamente alla riunione per non creare contrasti con i monaci e in particolare di non applaudire me. Era stato avvelenato dalla spaventosa malvagità del clero. Era diventato codardo di fronte a quei bellicosi ashura. Ma gli occhi dei membri che mi guardavano sul palco erano sinceri e colmi di preoccupazione. Sentivo intensamente lo sforzo che facevano per frenare la voglia di acclamarmi. Dopo aver lasciato la palestra, stavo percorrendo un corridoio esterno che la univa a un altro edificio, quando un gruppo di energiche esponenti della Divisione donne arrivò correndo verso di me. Non dimenticherò mai quell’incontro, che è rimasto impresso nel mio cuore.
Ancora una volta, dopo la riunione, salutai cortesemente i monaci, ma loro continuarono a ignorarmi con disdegno. La loro sfacciata scortesia mi fece interrogare circa la loro umanità. Sicuramente saranno giudicati ancor più severamente in accordo con l’inflessibile Legge di causa ed effetto del Buddismo che agisce nelle profondità della vita.
Pensavo, allora, che quelle persone senza scrupoli che si erano alleate con il clero causando questi problemi nella Gakkai, senza dubbio erano convinte di aver avuto successo ritenendo che la loro strategia di distruzione stesse andando secondo i piani. Erano pieni di boria e credevano di avere la vittoria in tasca. La loro tracotanza e la loro arroganza mi apparivano chiare come il sole e il loro comportamento ne rivelava la meschinità e la doppiezza. Non dobbiamo mai, mai seguire individui così perfidi e intriganti. Qualunque misura repressiva essi possano prendere, dobbiamo ricordarci che fede significa perseveranza. Noi, membri della Soka Gakkai, stiamo praticando in completo accordo con gli insegnamenti di Nichiren Daishonin, ci dedichiamo altruisticamente alla propagazione della Legge mistica e dovremmo sempre indossare la gentile armatura della perseveranza.
Nascondendosi dietro l’immagine del Daishonin, quei monaci preoccupati solo dei propri interessi, ostili alla Soka Gakkai, cercavano di trasformare i veri inviati del Budda, i membri della nostra organizzazione, in pedine, per sfruttarli e infine distruggere la Gakkai stessa. Eravamo di fronte alla furia impazzita della terribile e insidiosa natura dell’autorità. Nei fatti, era una situazione estremamente pietosa e triste. Il vero scopo delle religioni è quello di mettere in grado le persone di diventare felici. Quant’è totalmente sbagliato, quindi, cercare di trasformare i credenti in schiavi dei preti e servitori dei templi, simboli dell’autorità clericale!
Con la sensazione di avere un carico ancor più gravoso sulle spalle, lasciai il campus, e senza fermarmi a casa andai direttamente al Centro culturale di Kanagawa a Yokohama. Lì uno dei responsabili, che era un mio stretto collaboratore, mi disse che il mio nome era apparso quella mattina sul giornale. Il numero del 3 maggio dello Yomiuri Shimbun conteneva un articolo con i risultati di un sondaggio nippo-statunitense. Una delle domande era: «Chi ammiri maggiormente?» e, nella lista delle venti persone più ammirate dai giapponesi, il mio nome era al sesto posto.
Al primo posto c’era il primo ministro del dopoguerra Shigeru Yoshida (1878-1967), seguito dal microbiologo Hideyo Noguchi (1876-1928), dal tecnico agronomo Ninomiya Sontoku (1787-1856), dall’educatore e scrittore Yukichi Fukuzawa (1835-1901) e dall’imperatore Showa (1901-1989). Poi c’ero io. Mi pareva profondamente mistico che un tale articolo fosse stato pubblicato proprio il 3 maggio, pochi giorni dopo le mie dimissioni da presidente della Soka Gakkai. E sentii anche quanto i miei compagni membri mi stessero sostenendo e incoraggiando in questo momento così difficile.
Pochi giorni dopo ricevetti una lettera da parte di un noto intellettuale che esprimeva la sua sorpresa per il risultato del sondaggio e concludeva dicendo: «Nella categoria dei privati cittadini attualmente viventi, lei è al momento il numero uno. È inoltre l’unica persona scelta nella sfera della religione giapponese. Questo conferma che lei è realmente il re del mondo religioso. Quanto ne sarebbe felice il signor Toda!».
Nichiren Daishon dichiara con assoluta convinzione: «Grandi eventi non sono preceduti da piccoli presagi. Quando accade un grande male, seguirà un grande bene. Poiché le peggiori offese alla Legge dominano già tutto il paese, la grande vera Legge si diffonderà sicuramente» (SND, 7, 213). Decisi che non importava cosa gli altri avrebbero potuto dire: io avrei vinto rimanendo fedele alle mie convinzioni. E così iniziai a lottare, solo, con in cuore progetti ancor più vasti per il nostro movimento.
«Il leone non cerca compagni» soleva dirmi spesso Toda e io credevo fermamente che, sebbene in quel momento fossi solo, un giorno dei veri compagni si sarebbero nuovamente uniti a me, in maniera del tutto naturale e senza che dovessi dire nemmeno una parola. Ci avrebbe unito la non-dualità di maestro e discepolo e, su questa base, ci saremmo impegnati, saremmo andati avanti, avremmo continuato a vincere e niente avrebbe potuto fermarci. Stavo aspettando che quei compagni della nuova era comparissero.
Kanagawa – e in particolare il porto di Yokohama dal quale si gode la vista del Centro culturale – è una porta sul mondo. E lì rinnovai il mio impegno a portare avanti il mandato di Nichiren Daishonin: propagare la Legge mistica in tutto il mondo. Fu sempre lì che, brandendo il mio pennello, scrissi in caratteri cinesi un’unica parola: “giustizia” e affidai al piccolo gruppo di discepoli al mio fianco il compito di tramandare alle future generazioni lo spirito con il quale l’avevo scritta. Era il 5 maggio.
Tornato a Tokyo per un breve periodo, mi diressi verso il Centro culturale di Tachikawa, la base per le nostre attività nelle aree adiacenti la città. Era quasi il crepuscolo quando feci il viaggio in macchina. Per un lungo momento mi immersi nella bellezza quasi ultraterrena del sole che gradualmente scendeva dietro alla linea dell’orizzonte. Quando arrivai a Tachikawa, era calata la notte e la luna in cielo era così pura e bella che avrei voluto posarvi la guancia. Composi questi versi, che scrissi nel mio diario l’11 maggio:

Il maestoso tramonto a ovest,
la luna piena che risplende radiosa a est,
il crepuscolo che tinge di meraviglia i cieli,
la serenità di questo momento,
compongono un magnifico dipinto
della vita senza inizio.
Anche la mia mente
è libera e intatta.

La Soka Gakkai Internazionale è come il cielo, e con la stessa forza vitale del sole continuerà per sempre a diffondere gli insegnamenti di Nichiren Daishonin avanzando senza posa. E continuerà con altrettanta certezza a vincere.

©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata