Partecipai alla mia prima riunione buddista il 17 aprile del 1996: il viaggio ebbe inizio.
Stavo vivendo un periodo difficilissimo, così pesante da togliere la forza di lottare, di vivere. Coinvolto nel fallimento di una SAS della quale ero socio accomandatario, dovevo affrontare quotidianamente controlli amministrativi, finanziari, tribunali, sentenze; condizioni che mai avrei pensato di dover subire. Anche se non mi ritenevo responsabile dei fatti, come rappresentante legale dovevo assumerne le conseguenze e ciò generava un risentimento profondo verso i miei soci che non avevano rispettato gli impegni assunti. Più i giorni passavano, più la sofferenza emergeva e la depressione avanzava lentamente, ma in modo inesorabile. Eppure, nella mia vita, di prove ne avevo affrontate e superate tante. Ad esempio nel 1991 per un infarto venni operato. Fu una prova difficile, ma la superai così brillantemente, da diventare ancora più arrogante ed egocentrico: persino la “Vecchia Signora” aveva trovato pane per i suoi denti. Allora pensavo di essere indistruttibile e che niente avrebbe potuto abbattermi.
Adesso di fronte a difficoltà di natura economico-legale ero totalmente indifeso, la vita completamente sconvolta e le certezze consolidate si erano disciolte come neve al sole.
Fu allora che Barbara, la maggiore delle mie due figlie, praticante da circa due anni, mi invitò a una riunione buddista. Di primo acchito respinsi l’invito ma poi, ripensandoci, riflettei che peggio di così non sarebbe potuta andare, e accettai. Era una riunione con molti partecipanti e l’alto volume della recitazione mi inquietò, ma non me ne andai per rispetto verso mia figlia e questo fu un bene. Quando ebbe inizio la discussione, accadde qualcosa di straordinario: umiltà, solidarietà, socializzazione, tolleranza e molto altro erano il patrimonio evidente di ogni persona presente. Mi sembrò di rivivere momenti lontani della mia vita, in cui questi valori rafforzavano le relazioni umane.
Decisi pertanto di provare e, aiutato da mia figlia, iniziai a recitare Gongyo e Daimoku: non avevo ben presente ciò che stavo facendo, ma dopo poco tempo cominciai a percepire dei benefici: riposavo meglio, ero meno depresso, ero in grado di affrontare e di risolvere problemi che poco tempo prima ritenevo insuperabili. Riprendevo possesso di me.
Con naturalezza mi trovai a recitare Daimoku anche per quattro ore consecutive, a partecipare a ogni riunione e recitazione; ottenni risultati grandiosi e sulle ali di questa esaltazione decisi di ricevere il Gohonzon. Quando mi venne chiesto di riflettere e di approfondire lo studio del Buddismo, non ascoltai questo consiglio. Nel luglio del 1997 ricevetti il Gohonzon, ma nel maggio del 1999 avevo quasi smesso di praticare. L’ego era nuovamente padrone della mia mente, convinto quindi di poter fare a meno della pratica: ero il solo e unico artefice delle mie realizzazioni. Nichiren dice però che “anche recitare una sola volta Nam-myoho-renge-kyo determina una grande fortuna” ed essa si materializzò quando un mio responsabile di capitolo mi contattò e venne da me a recitare. Dopo Gongyo, mentre parlavamo, mi propose di prendere la responsabilità di un gruppo. «Pensaci – mi disse – è una grande opportunità, fammi sapere». Ci pensai e accettai, convinto delle mie “grandi qualità”. Oggi ho capito quanto ero fragile e preda di illusioni e quanto fare attività per gli altri mi abbia aiutato a cambiare consapevolezza e atteggiamento: ho compreso che rafforzare la fede e far emergere la Buddità sono l’unica condizione per vincere sicuramente nella vita. Nel tempo, consolidando la mia pratica, ho potuto e saputo affrontare le sfide che la vita mi ha proposto. Nella primavera del 2002, la mia malattia si ripresentò: due by-pass si stavano otturando. Affrontai con serenità l’intervento di angioplastica e i due vasi vennero “momentaneamente riaperti”.
Grazie alla pratica e all’intensa attività buddista, non somatizzai il problema ma cercai di mantenere uno stato vitale altissimo. Questa condizione ha consentito l’assistenza di mia madre, da tempo malata e in ultimo inferma, fino ad accompagnarla in serenità nel suo viaggio finale. A differenza di quando persi mio padre, la pratica mi ha consentito di affrontare la circostanza con una diversa e più profonda consapevolezza, anche se il dolore è profondo e il vuoto incolmabile.
Nel febbraio del 2004 avvertii un peggioramento del mio stato di salute: affaticamento, fiatone ecc. Dagli esami a cui mi sottoposi risultò evidente la degenerazione dei by-pass, quelli che a suo tempo erano stati riaperti non potevano durare a lungo e prima o poi i medici sarebbero dovuti intervenire drasticamente. Nel frattempo era assolutamente necessario incrementare la terapia con dosi massicce di anticoagulanti e antiaggreganti, e gli effetti erano debilitanti sia nel fisico che nella mente.
Mi affidai al Gohonzon, decisi di recitare almeno due ore di Daimoku al giorno e così iniziai a reagire, a lottare. «Questa verità è Nam-myoho-renge-kyo. Di conseguenza recitare Nam-myoho-renge-kyo ti permetterà di percepire la mistica verità dentro di te. Myoho-renge-kyo è il re dei sutra, senza errori sia nella lettera che nella teoria. […] È chiamata Legge mistica perché spiega la relazione di mutua compenetrazione tra la vita e tutti i fenomeni» (Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza, SND, 4, 3).
Le possibilità erano due: operarsi oppure… Davanti al Gohonzon decisi per l’intervento. Passavano i mesi e sostenuto dalla pratica lottavo, stavo bene, perfino gli effetti collaterali dei farmaci erano ridotti al minimo, non provavo nessun fastidio. Finalmente venerdì 17 settembre 2004 feci l’intervento, alle 8 entrai in sala operatoria, alle 14 ne uscii e alle 16 mi tolsero l’intubazione. La sera stessa mi sentii addirittura di fare Gongyo: medici e infermieri accorsero pensando che stessi delirando o lamentandomi e quando divertito spiegai ciò che stavo facendo, rimasero colpiti dalla mia lucidità.
È stata senz’altro una bella esperienza, ne sono uscito con la consapevolezza di nutrire quotidianamente la mia fede, farla forte, dinamica, per avere la possibilità di realizzare pienamente il desiderio di kosen-rufu e divulgare il Buddismo di Nichiren Daishonin: ogni attimo della vita equivale a un tempo infinito, è nostro dovere non sprecarlo ma creare valore.
Avevo anche determinato di riprendere un’attività compatibile con la mia situazione: doveva essere interessante, da svolgersi all’aria aperta in ambienti piacevoli e gestibile senza grossi problemi. A novembre 2004 ho avuto l’occasione di conoscere il titolare di un’azienda che produce macchine speciali per l’agricoltura, e da allora, realizzando pienamente il mio desiderio, mi occupo della commercializzazione nella mia provincia e nelle zone limitrofe. Anche i problemi con la società e il fallimento, dopo tanto tempo, sono giunti al termine, la verità è emersa e forse avrò anche un ritorno economico.
Sono state davvero grandi realizzazioni, la prova concreta della validità della pratica. Per quanto mi riguarda non ho dubbi: la pratica buddista mi consentirà di avere la gioia di condividere con i miei compagni di fede la realizzazione dei grandi obiettivi indicati dal nostro maestro.
In fondo anche Nichiren Daishonin ci esorta a “soffrire per quello che c’è da soffrire e a gioire per quello che c’è da gioire”, no? (cfr. SND, 4, 157).
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