Continuano a giungere in redazione le testimonianze dei membri che da tutta Italia parteciparono ai lavori di ricostruzione del Centro culturale italiano di Firenze. Emozioni, ricordi da “pionieri”, e il piacere di condividerli con chi ancora non c’era
Tempi da pionieri
Adriana Cavalieri Rivola, Bologna
Quante recitazioni abbiamo fatto per trovare il Centro italiano! Ogni tanto arrivava la notizia: «È stato trovato, è stato trovato!». Ma poi niente, e giù a recitare Daimoku. Quando andammo la prima volta a vederlo pioveva a dirotto. Passammo dalla parte di dietro, da un cancello malandato e il fango ci arrivava ai polpacci. Ci piacque molto. A me assegnarono il compito di reclutare le donne dell’Emilia-Romagna per cucinare per i volontari. Veramente le cucine non c’erano, c’erano parecchie cucine a gas traballanti donate dai membri e per farle stare ferme mettevamo delle zeppe sotto. Alle finestre non c’erano né vetri né ante. Faceva un gran freddo e mettevamo i grembiuloni da cucina sopra i cappotti. Tutte le donne volevano andare a Firenze a cucinare, e io le coordinavo. Una domenica partivano da Bologna, poi da Ferrara, da Ravenna, da Modena e così via. Prendevo i nominativi e telefonavo a Firenze per l’assicurazione. Poi succedeva che da “io, io” le richieste scarseggiarono e spesso io e mia figlia Patrizia abbiamo fatto da tappabuchi. Una volta arrivai con mia figlia e la responsabile della cucina come ci vide disse: «Meno male sono arrivate le bolognesi. Ci sono da fare delle sfoglie». Io risposi: «Veramente noi siamo romane e le sfoglie non le sappiamo fare. A me vengono storte e con i buchi». «Va bene lo stesso, non ti preoccupare oggi i ragazzi sono “pochi”, sono solo centocinquanta!» (a volte erano il doppio). Si lavorava in grande unità e allegria, confidandoci sogni e speranze. Una cosa che non scorderò mai era l’appetito dei ragazzi e le relazioni che sono nate tra noi. Mi ricordo Beatrice, Elisabetta e tante altre e quando c’incontriamo ancora oggi riviviamo le stesse emozioni. Un altro ricordo. Quando mi assegnarono la responsabilità di gruppo andammo a Firenze. Il Centro non era tutto agibile e in una saletta che non ho più identificato Vittorio Sakaki ci nominò responsabili e ci fece un bel discorsetto. Eravamo tutti in piedi. A malapena trovarono una sedia per me, che ero la più anziana. Tempi belli! Tempi da pionieri!
• • •
La grande occasione
Michela Littera, Livorno
Ho preso parte ai lavori per diversi anni, aiutando dove ce n’era bisogno. Il ricordo più bello è quello dell’estate del 1987. Io e la mia amica Claudia praticavamo da neanche un anno, ma volevamo essere delle vere pioniere in Italia! A quel tempo avevamo diciassette anni e i fine settimana li passavamo a togliere sassi dalla terra affinché potesse crescere l’erba. Questo il nostro compito. Lavoravamo nei campi con i cappelloni di paglia per ripararci dal sole cocente, con tutto l’entusiasmo e con tutte le perplessità possibili. La domanda era sempre la stessa: ma siamo sicuri che qui può crescere l’erba? E poi giù a ridere e a faticare. Mi ricordo le donne e le giovani donne che ci portavano l’acqua e delle fettone di pane e pomodoro; per me quelle erano mamme e sorelle che mi portavano gioia… A fine giornata ci trovavamo in tanti a recitare davanti al Gohonzon. Io e Claudia a casa avevamo il “puntino” sul muro, quindi davanti a quell’imponente pergamena le mie determinazioni esplodevano e ripetevo a me stessa: «Voglio essere felice!». Quando guardo quei bellissimi prati ancora non ci credo… è proprio il caso di dire “scambiare sassi con oro”! Scambiai, con poco sforzo, le mie giornate tristi e rassegnate davanti alla televisione, con un tesoro inestimabile: la speranza, la forza di trasformare ogni volta, i sassi, i macigni, della mia vita in prati meravigliosi che tutt’oggi mi coltivo e curo costantemente a suon di Daimoku e attività!
• • •
Un tesoro inestimabile
Claudio D’Angelo, Corfinio (AQ)
Ebbene sì, è vero: io c’ero nel 1985 ed è splendido poterlo dire. C’ero quando, armati di volontà e determinazione, anche sotto il sole cocente di luglio e agosto, si andava a togliere i sassi dal prato incolto della vecchia villa, che sarebbe diventata il nostro Centro culturale italiano. Ho una foto di allora, che si fece in occasione di una riunione di giovani uomini, sotto lo stendardo del mio capitolo il Firenze Nord di allora, insieme con gli altri. Gli “ostacoli e i demoni” non riuscirono a fermare il mio viaggio; neanche una diagnosi di sclerosi multipla che si manifestò un anno dopo, nel 1986. Ero studente di medicina e mai avrei detto che sarei riuscito a terminare gli studi arrivando alla laurea. Fu per me un’occasione trasformare queste enormi difficoltà e sofferenze in una grande causa di gioia. Tornare a casa con il Gohonzon e fare kosen-rufu in Abruzzo fu per me un’ulteriore sfida e vittoria. Allora in Abruzzo, nel mio paese, c’erano pochi, pochissimi praticanti e uno o due Gohonzon. Oggi ho famiglia, un bel bambino di cinque anni, venti anni e più di pratica buddista, posso fare il medico e fare attività per kosen-rufu, nonostante la malattia.