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La bambina dei perché - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:32

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    La bambina dei perché

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    Ho cinquantasette anni e pratico questo Buddismo dal “lontano” 1980. Mi sono avvicinata alla pratica perché la mia vicina di casa, Maria, cominciando a praticare era rinata. Da piccola mi chiamavano la “bambina dei perché”: facevo domande su tutto e questa curiosità mi è rimasta nel tempo, non ho creduto subito in quello che mi dicevano ma, tra mille dubbi e domande, ho sentito subito la forza del Daimoku. Non vengo da una situazione familiare facile: nel 1976 ero già separata, dal 1982 divorziata con due bambini piccoli e fino a poco tempo fa anche il rapporto con uno dei miei figli non era buono. Sia mia madre che mio padre erano morti prematuramente a causa di un tumore; soprattutto non ero riuscita a superare quest’ultima perdita, il dolore non mi abbandonava mai e fu anche per questo motivo che mi avvicinai al Buddismo di Nichiren Daishonin.
    Passarono molti anni di pratica, anni di lotta e di gioia condivisi con i miei amici membri e non solo; poi nel 1996 dopo sedici anni di pratica fui colpita da un ictus. Ricordo che mi portarono in condizioni gravissime in ospedale, dove, “intontita” dai farmaci, seduto in un angolo mi sembrò d’intravedere mio padre che piangendo mi chiamava, porgendomi la mano e dicendomi di andare con lui. Ho percepito chiaramente di essere tra la vita e la morte, ma in un momento di lucidità mi sono ricordata che avevo il Gohonzon e ho sentito nitidamente questa meravigliosa Torre Preziosa nella mia vita. Mi è sembrato di partecipare alla Cerimonia nell’aria. Così in quel momento ho deciso di “non seguire mio padre”, di non lasciarmi andare e di vivere la mia vita fino in fondo e che, nonostante la gravità del momento, ce l’avrei fatta. Così è stato: oggi con il Daimoku e le cure giuste mi sono completamente rimessa dall’ictus.
    Nel 2003, dopo un periodo durante il quale ero sempre inappetente e continuavo a dimagrire, in una visita specialistica mi fu diagnosticato un grave carcinoma ovario. Non sapevo cosa fosse e pensando al tumore fui assalita da un’incredibile paura e anche dal “dubbio”. Maria, che era anche la mia responsabile di gruppo, continuò a incoraggiarmi dicendomi: «Anche se fosse, devi vincere!».
    Quando mi spiegarono la gravità della situazione recitai tanto Daimoku e affrontai l’intervento avendo già vinto la paura. Al responso dell’esame istologico il medico mi consigliò di “togliere il male alla radice”, di andare fino in fondo attraverso un ciclo di chemioterapia e di affrontare in seguito un secondo intervento. Mi assalì di nuovo il “dubbio”: «Ma come dopo ventitré anni di pratica buddista…». Ero molto scoraggiata ma di nuovo un incoraggiamento giusto al momento giusto! Rilessi alcuni consigli nella fede che dicevano «quando c’è una malattia bisogna sconfiggere il dubbio e vincere sui pensieri negativi».
    Approfittai delle lunghe sedute di chemioterapia che duravano molte ore per approfondire lo studio del Buddismo e fui colpita da una spiegazione nel libro I misteri di nascita e morte, dove Ikeda a un certo punto parla del funzionamento delle cellule del nostro corpo e spiega che quando alcune di esse si ammalano le altre, le sane, “corrono in soccorso per aiutarle”. Così ho capito che “solo una parte del mio corpo era malata”, tutto il resto era sano e avrebbe aiutato la mia guarigione!
    Nel periodo della chemioterapia ho continuato a lavorare e recitavo due ore e mezzo di Daimoku al giorno, infatti, nonostante tutto, avevo sempre uno stato vitale alto, tanto che ho anche potuto partecipare per un giorno a un corso sul Buddismo a Montecatini.
    Finita la chemioterapia ho programmato con il mio medico il secondo intervento che è andato molto bene, tanto che dopo otto giorni sono tornata a casa convinta (a ragione!) di aver superato questa malattia e soprattutto di aver approfondito la mia fede e alleggerito il mio karma e quello della mia famiglia. Infatti il medico mi spiegò che esiste una certa “familiarietà” in questi casi.
    Ho sempre recitato tanto Daimoku per guarire e per poter incoraggiare le altre persone; a ogni occasione racconto la mia esperienza. Alla domanda: «Ma perché capitano queste cose dopo tanti anni di pratica buddista?» ho trovato la risposta nel Gosho Felicità in questo mondo quando dice: «Dopotutto nessuno può evitare i problemi, nemmeno i santi o i saggi» (SND, 4, 157). Ho capito, in fondo, che il vero beneficio sta nel come si affrontano le difficoltà: con lo spirito di voler combattere fino all’ultimo istante di vita, superando ogni volta i dubbi della mente e i propri limiti personali, attingendo alla gioia che deriva dal Daimoku e dallo studio del Buddismo.
    Il Daimoku “tocca” molti aspetti della nostra vita e infatti anche il rapporto con mio figlio è molto migliorato; cambiando profondamente io anche lui adesso è molto più affettuoso e premuroso, e ho naturalmente smesso di criticarlo per le sue scelte.
    Alla fine dello scorso anno, dopo nove anni che avevo fatto domanda, ho ricevuto una pensione minima, e per questo ringrazio anche la mia malattia. Perché dico questo? Io venendo da una famiglia d’origine modesta e con tutti i problemi che ho avuto con quella attuale, non sono mai potuta andare in vacanza e lo scorso anno per la prima volta da quando ero bambina sono andata in villeggiatura per cinque giorni a pensione completa, come una regina, dove ho fatto delle nuove amicizie e ho potuto così finalmente realizzare un altro sogno della mia vita. Adesso voglio tornare a Trets, il Centro europeo a raccontare la mia meravigliosa esperienza!

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