Sul tema di “diversi corpi, stessa mente” alcune riflessioni sulla propria esperienza ispirate dallo studio del Gosho L’eredità della Legge fondamentale della vita
«In generale, che i discepoli di Nichiren, preti e laici, recitino Nam-myoho-renge-kyo con lo spirito di “diversi corpi, stessa mente”, senza alcuna distinzione fra di loro, uniti come i pesci e l’acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita. In ciò consiste il vero scopo della propagazione di Nichiren».
da L’eredità della Legge fondamentale della vita
Il Nuovo Rinascimento, n. 342. pag. 16
Questo brano di Gosho in cui il Daishonin ci invita a diventare uniti come i pesci e l’acqua, per me è sempre stato un punto fermo. Ricordo con grande emozione uno dei primi discorsi del presidente Ikeda che lessi quando, ventisette anni fa, intrapresi questa meravigliosa strada: «Crea un’amicizia dopo l’altra, questo è il tempo di kosen-rufu». Il principio di “diversi corpi stessa mente” è dunque uno dei cardini della fede e l’espressione di Nichiren «senza alcuna distinzione fra di loro» non esprime certo la negazione dell’individualità ma indica che è necessario superare il rifiuto che può sorgere verso chi è molto differente da noi. Questo divario fra persona e persona che molto spesso si trasforma in sfiducia e chiusura verso gli altri, nasce dal nostro ego condizionato da un rigido attaccamento ai propri punti di vista. Il dogmatismo e il fanatismo sono le logiche conseguenze di questo modo di pensare che ha poco a che fare con la visione aperta, positiva e piena di speranza del Daishonin che si basa sul rispetto della dignità umana e della vita ovvero sul vedere ognuno come una preziosa, unica, irripetibile esistenza.
Ma da cosa originano questi attaccamenti e queste assunzioni rigide così dannose per realizzare l’unità fra i credenti? Perché spesso rimaniamo intrappolati nei nostri pensieri negativi sulle situazioni e sulle persone? Perché è cosi difficile vederli e decidere di trasformarli dentro di noi? Bastano patti e regole per realizzare una comunità di credenti ideale?
Sicuramente il conflitto, come viene spiegato nel Mondo del Gosho, nasce dall’ignoranza o oscurità innata che ci impedisce di riconoscere la natura di Budda esistente dentro ogni persona. Allo stesso modo, la strada per realizzare “diversi corpi, stessa mente” non sta certo nella mediazione politica di “un poco per uno” che lascia tutti scontenti e non fa parte del mondo della fede.
“Diversi corpi” significa che siamo tutti completamente diversi gli uni dagli altri. “Stessa mente” significa cercare la stessa mente del Daishonin, realizzare il grande voto del Budda ovvero decidere autonomamente di realizzare kosen-rufu. Solo recitando così si può andare oltre alla nostra ignoranza innata, alle strategie varie, alle simpatie, alle antipatie e riconoscere il valore e i punti positivi di chi sta praticando con noi. Tutto questo è difficile perché è una lotta dentro di noi, ci vuole coraggio, molto. Spesso questo coraggio richiede di vedere i nostri limiti nella fede, di riconoscere i nostri pregiudizi e capire quale delle ultime quattro offese di cui si parla nel Gosho Le quattordici offese stiamo commettendo (mancanza di rispetto, calunnia, rancore e gelosia verso i credenti).
Il poeta indiano Tagore diceva: «Chiede il possibile all’impossibile: dove è la tua dimora? La risposta è: nei sogni di chi si sente impotente». Impotente nel non voler cambiare le proprie convinzioni superficiali ed errate, nel non riconoscere i nostri limiti che spesso derivano da una ricerca del proprio tornaconto personale nei rapporti, nel non riuscire a trasformare un cuore egocentrico e arrogante che ci spinge a voler essere sempre al centro e a voler dire sempre l’ultima parola. È questo cuore che alla fine crea la rottura nei rapporti. Ciò che perdiamo, se siamo dominati da questo cuore, è la gioia che possiamo sentire quando superiamo le differenze e lavoriamo insieme per kosen-rufu.
L’aver sempre partecipato con gioia e speranza a tante attività buddiste, incontrando tantissime persone, incoraggiandole ed essendone incoraggiato, mi ha fatto capire che vincere i miei limiti conduce a realizzazioni impensabili e a provare la felicità di sentirsi protagonisti del meraviglioso progetto di kosen-rufu e non spettatori più o meno distaccati a seconda del fatto che le situazioni che incontriamo ci piacciano oppure no. Siamo inseparabili dal nostro ambiente, pensare così in senso responsabile significa non rifiutare le occasioni che si presentano anche se difficili e dolorose in apparenza, ma che contengono la chiave per la nostra rivoluzione umana. Questo modo di vivere produce quello che in termini moderni si chiama “empowerment”, ovvero mettere in grado se stessi e gli altri di diventare consapevoli del potere di influenzare la realtà trasmettendo fiducia e regalando speranza e coraggio.