Esprimere un voto non è un’azione consueta. Eppure Daisaku Ikeda afferma che «la promessa di lavorare per un nobile scopo ci permette di superare le nostre debolezze, diventa una forte base di appoggio che ci aiuta ad affrontare qualsiasi difficoltà». Una promessa rivolta al benessere dell’umanità è la base per fare qualcosa di grande
Nel cuore del Giappone medievale, verso la prima metà del 1200, viveva un giovane chiamato Zennichimaro che all’età di dodici anni giurò a se stesso di diventare la persona più saggia del Giappone. A quel tempo egli aveva iniziato a studiare presso il tempio Seicho-ji e trascorsi appena quattro anni fu ordinato prete. Una determinazione assai ferma, un vivo spirito di ricerca e uno studio approfondito delle antiche scritture buddiste nei maggiori templi del Giappone – più di venti anni dopo – portarono il giovane studioso, che avrebbe preso il nome di Nichiren, a proclamare la legge universale di Nam-myoho-renge-kyo.
In un Gosho egli afferma che il voto di diventare la persona più saggia del Giappone ebbe origine dal desiderio di superare le sofferenze di vita e morte e di ripagare il debito di gratitudine nei confronti dei suoi genitori.
Il presidente Ikeda spiega che la ricerca e la missione del Daishonin ebbero inizio dal suo desiderio di diventare la persona più saggia del paese; questo suo primo voto si trasformò in Illuminazione con la proclamazione della Legge di Nam-myoho-renge-kyo che portò Nichiren a formulare un secondo voto, molto più profondo, quello di diffondere l’insegnamento a beneficio dell’intera umanità. A questa promessa solenne dedicò tutta la sua esistenza e tutte le sue energie, superando ostacoli, persecuzioni e malattie, rischiando la vita più volte.
A dimostrazione di ciò, egli ribadì con forza il suo voto, ne L’apertura degli occhi, uno dei suoi trattati più importanti, scritto durante l’esilio a Sado, un luogo ostile da cui era difficile aspettarsi di tornare vivi, mentre si trovava in una situazione al limite della sopravvivenza: «Che gli dèi mi abbandonino. Che tutte le persecuzioni mi assalgano, io continuerò a dare la mia vita per la Legge! […] Qui io faccio un grande voto. Anche se mi offrissero il governo del Giappone a patto che abbandoni il Sutra del Loto e aderisca al Sutra Kammuryoju per rinascere nel paradiso d’occidente, anche se minacciassero di decapitare mio padre e mia madre, se non recito il Nembutsu, qualunque disgrazia possa capitarmi, a meno che uomini saggi non provino che i miei insegnamenti sono falsi io non accetterò mai le pratiche delle altre sette! Tutti gli altri problemi per me non sono più che polvere al vento. Io sarò il pilastro del Giappone. Io sarò gli occhi del Giappone. Io sarò il grande vascello del Giappone. Questo è il mio voto e non lo romperò mai!» (SND, 1, 194-5).
Il presidente Ikeda, commentando questo brano nel Mondo del Gosho, afferma che uno spirito combattivo e un grande voto sono l’essenza del Sutra del Loto e il fondamento del Buddismo di Nichiren Daishonin.
Infatti nell’undicesimo capitolo del Sutra del Loto L’apparizione della Torre Preziosa Shakyamuni esorta ripetutamente i discepoli a fare voto solenne di custodire la Legge e, per renderli consapevoli dell’importanza di questa promessa, spiega loro le nove azioni facili e le sei azioni difficili.
Le nove azioni definite “facili” sono: 1) insegnare innumerevoli sutra diversi dal Sutra del Loto; 2) sollevare il monte Sumeru e scagliarlo oltre innumerevoli terre del Budda; 3) calciare un sistema maggiore di mondi in un diverso quadrante dell’universo con un dito del piede; 4) stare in piedi nel cielo Vertice dell’Essere e predicare innumerevoli sutra diversi dal Sutra del Loto; 5) prendere in mano il cielo e andare in giro portandoselo dietro, 6) ascendere al cielo di Brahma trasportando la terra sull’unghia di un dito del piede; 7) portare un carico di erba secca sulla schiena e attraversare il grande fuoco alla fine di un kalpa senza bruciarsi; 8) predicare gli ottantaquattromila insegnamenti facendo acquisire ai propri ascoltatori i sei poteri soprannaturali; 9) mettere in grado innumerevoli persone di raggiungere lo stato di arhat dotato dei sei poteri sovrannaturali.
Queste azioni sono considerate facili a paragone delle sei difficili: 1) propagare ampiamente il Sutra del Loto; 2) copiarlo o farlo copiare da altri; 3) recitarlo anche per un breve periodo; 4) insegnarlo anche a una sola persona; 5) ascoltarlo, accettarlo e porre domande sul suo significato; 6) mantenere fede in esso.
A questo proposito Ikeda nel commento su L’apertura degli occhi afferma che «Le sei azioni difficili e le nove azioni facili esprimono l’intento del Budda. Egli indicando schiettamente l’immensa difficoltà di diffondere il Sutra del Loto dopo la sua morte, esorta solennemente i suoi discepoli a fare un voto. Questo può essere considerato un chiaro messaggio per i praticanti del Sutra del Loto dell’Ultimo giorno della Legge, e indica che se essi fanno un voto e stabiliscono una salda fede nel Sutra del Loto, non vi è alcuna difficoltà od ostacolo che non possono superare» (Buddismo e società, n. 111, pag. 37).
In un altro brano de L’apertura degli occhi il Daishonin si sofferma a riflettere proprio sull’esortazione di Shakyamuni: «Tuttavia, se io dovessi vacillare nella mia determinazione di fronte alle persecuzioni del sovrano, sarebbe meglio non parlare. Riflettendo su questo, mi sono ricordato degli insegnamenti del capitolo L’apparizione della Torre Preziosa sulle sei azioni difficili e delle nove azioni facili. Persone come me, di scarsa forza, potrebbero nondimeno sollevare il monte Sumeru e scagliarlo in aria; persone come me prive di poteri soprannaturali potrebbero nondimeno portare sulle spalle un carico di erba secca e non bruciare nel fuoco alla fine del kalpa di declino; e persone come me, che mancano di saggezza, potrebbero nondimeno leggere e memorizzare un numero di sutra pari ai granelli di sabbia del fiume Gange. Ma queste azioni non sono difficili, ci viene detto, se paragonate alla difficoltà di abbracciare anche una sola frase o un solo verso del Sutra del Loto nell’Ultimo giorno della Legge. Ciononostante io feci voto di risvegliare in me il potente e invincibile desiderio della salvezza di tutti gli esseri viventi e di non esitare mai nei miei sforzi» (SND, 1, 106).
Ugualmente, anche ognuno di noi, pur con le nostre debolezze e fragilità, promettendo di praticare e di proteggere la legge di Nam-myoho-renge-kyo e basandosi sulla fede sarà in grado di manifestare la natura di Budda e di sviluppare al massimo la propria vita.
Ma che significa fare un voto? Significa promettere a noi stessi di diventare felici e aiutare gli altri a progredire sullo stesso percorso basandosi sulla recitazione del Daimoku e su una solida fede nel Gohonzon, significa agire per manifestare più costantemente possibile la propria natura di Budda e riconoscerla in chi ci sta vicino, superando le forme di sfiducia, rassegnazione e pessimismo che sorgono e ci invadono il cuore ogni volta che ce ne dimentichiamo.
Ripartire dal “voto” ogni giorno è fondamentale per non essere sviati dalle circostanze, sia quelle favorevoli che quelle negative, perché questa promessa contiene tutto quello che desideriamo e a cui aspiriamo, anche ciò che ci sembra lontano, difficilmente raggiungibile o sopra le nostre aspettative. Pregando con forza per realizzare questo voto, sentiremo che la vita si rafforza, acquista capacità, energia e speranza, ci sentiremo liberi dai vincoli di un passato pesante e riusciremo a guardare con speranza e ottimismo al futuro. Questo processo di trasformazione altro non è che la rivoluzione umana.
A questo proposito, nel Mondo del Gosho, Ikeda commenta: «Nichiren rivelando il grande voto vuole indicare ai discepoli la strada per la vittoria. Perché formulare un grande voto crea un io forte. La promessa di lavorare per un nobile scopo ci permette di superare le nostre debolezze, diventa una forte base di appoggio che ci aiuta ad affrontare qualsiasi difficoltà. […] In qualsiasi impresa fare un voto è la base per fare qualcosa di grande. Se per qualsiasi ragione qualcuno si arrende a metà strada o fa marcia indietro significa che il suo impegno non era veramente basato su un voto. Un voto è ben diverso da un tiepido desiderio. La vera pace e sicurezza esistono in un forte io, quell’io che possiamo forgiare facendo un grande voto» (MDG, vol. 1, pag. 14).
Come si fa a mantenere questa promessa? Rinnovando la decisione ogni giorno con lo spirito di niji, che significa “a quel tempo” e con cui inizia la nostra recitazione del sutra. Nel Sutra del Loto “quel tempo” è il momento in cui il Budda dà inizio alla predicazione per salvare tutti gli esseri e in cui i discepoli sono pronti ad ascoltare; per noi “quel tempo” è l’istante in cui decidiamo dal profondo del cuore di alzarci da soli e di mettere in moto la nostra vita.
Fare il voto e mantenerlo significa diventare persone di azione, proprio come i bodhisattva che nel quindicesimo capitolo del Sutra del Loto emergono dalla terra per assumere l’impegno di dedicarsi alla Legge e alla sua trasmissione. Essi sono descritti come «di salda volontà, né incerti, né immaturi, hanno praticato la via del bodhisattva per innumerevoli kalpa, abili nel rispondere a difficili domande, le loro menti non conoscono la paura, hanno coltivato con assiduità la perseveranza, sono fieri di dignità e virtù» (SDL, 292-3).
Il voto si manifesta nell’azione e questa porta naturalmente ad alzarsi da soli, ma l’importante è quanta intensità e quanto cuore mettiamo nelle azioni, anche quelle più invisibili o insignificanti. E ricordiamoci che ogni volta che recitiamo il sutra concludiamo la nostra preghiera con le parole «Mai ji sa ze nen. I ga ryo shujo. Toku nyu mu-jo do. Soku joju busshin» che significano: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che tutti gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo di Budda?».
il Commento
il voto nella mia vita
di Alessandro Giorni
Quando ho iniziato a praticare questo Buddismo, circa dieci anni fa, il motivo che mi spinse a farlo fu molto privato se non egoistico, come penso per molti altri: il desiderio di cambiare un problema personale.
Credo che allora il pensiero di fare qualcosa per gli altri, benché non fossi stato mai troppo chiuso verso il prossimo, non fosse molto intenso. Detto crudamente, credo che allora fossi particolarmente lontano dall’idea di “voto” così come ce lo spiega Nichiren nel Gosho, come poi ce l’ha dimostrato con le azioni di tutta la sua vita e come ce lo ricorda Ikeda nei suoi incoraggiamenti.
Eppure, qualcosa è cambiato. Intanto, praticare per cambiare quel problema iniziale mi ha portato a valutare altri aspetti, ad esempio il fatto che nel problema erano coinvolte altre persone, non come “carnefici” di cui io fossi vittima, ma come coattori, al limite corresponsabili di quella situazione.
Le parole non danno esattamente il senso di ciò che so di aver vissuto, perché a volte il cambiamento è avvenuto un passo alla volta, costantemente, mentre in altre fasi si è realizzato attraverso lunghi momenti di apparente attesa seguiti da uno “sprint finale” in direzione del traguardo. A tratti ci sono stati anche passi indietro, specialmente quando si sono presentati scogli nelle relazioni personali, ma complessivamente posso dire di notare una progressione in positivo nel desiderio sempre più spontaneo di abbracciare, sostenere e condividere la vita di altre persone, spesso anche molto lontane dal mio personale modo di essere.
Non so dire se l’intensità di quello che oggi provo davanti al Gohonzon pregando per amici, compagni di fede, conoscenti, o per situazioni anche geograficamente lontane da me, corrisponda al “voto” nel senso strettamente buddista del termine. Però ci sto provando, a decidere di dedicare la mia vita alla felicità degli altri (che ovviamente non esclude la mia), e ho scoperto – sempre con il passare del tempo – che molto spesso il desiderio di pregare per sostenere una persona è estremamente semplice da attuare stando davanti al Gohonzon, mentre ciò che è difficile è vincere sulle infinite resistenze interiori che mi portano a “non andare davanti al Gohonzon fisicamente” e fare l’azione fondamentale, cioè proprio la preghiera.
Un Gosho mi ha spesso confortato e guidato in questo percorso, Felicità in questo mondo (SND, 4) accompagnato dalla spiegazione che Daisaku Ikeda ne dà nel libro Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin.
Mi viene da pensare ai Bodhisattva della Terra, quelle miriadi di persone che a un certo punto nel Sutra del Loto emergono dalle profondità del terreno chiamati da Shakyamuni e fanno “voto” di propagare l’insegnamento per la felicità di tutta l’umanità fino all’infinito futuro. Quei Bodhisattva, spiega Nichiren Daishonin, in realtà siamo noi, le persone comuni che in quest’epoca si dedicano a far conoscere agli altri Nam-myoho-renge-kyo. E, spiega ancora Nichiren, lo stato vitale dei Bodhisattva della Terra è il mondo di Buddità. Nel momento in cui ci si dedica a diffondere la Legge per la felicità degli altri non siamo più persone che cercano di diventare Budda, siamo, a tutti gli effetti Budda. E viceversa quando manifestiamo nel “qui e ora” la condizione vitale di Buddità attraverso la preghiera al Gohonzon diventa inevitabile che emerga al tempo stesso la nostra “identità” di Bodhisattva della Terra, quel desiderio primario, che sta nel cuore della vita di ogni uomo di “diventare veramente felice, insieme agli altri”.