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Incontrare il Gohonzon - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:44

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Incontrare il Gohonzon

Decidere di provare a sperimentare nella propria vita l’insegnamento buddista è il primo passo. Il primo di una serie infinita che porta a rinnovarsi istante per istante e che rappresenta il denominatore comune delle sette storie che pubblichiamo

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Decidere di provare a sperimentare nella propria vita l’insegnamento buddista è il primo passo. Il primo di una serie infinita che porta a rinnovarsi istante per istante e che rappresenta il denominatore comune delle sette storie che pubblichiamo

Francesco Lai, Cagliari

HO SCOPERTO me stesso. Potrei riassumere con queste parole i miei primi quattro anni di pratica buddista, iniziata dopo essere stato un cattolico osservante. Ho 40 anni: i primi 36 anni della mia vita li ho passati a dare le colpe agli altri quando succedevano cose sgradevoli, a reprimere ciò che sentivo davvero e a conformarmi alle persone che stavano al mio fianco. Appena ho iniziato a recitare Daimoku, la prima sfida che ho lanciato a me stesso è stata quella che riguardava il lavoro: da troppo tempo subivo una situazione in cui i miei diritti venivano regolarmente calpestati e così, diversamente dal passato in cui soffrivo per la situazione senza reagire, sono riuscito a dire basta. Contemporaneamente anche i miei studi in geologia hanno avuto una brusca accelerazione: la pratica buddista regolare, lo studio e l’attività hanno avuto l’effetto di farmi prendere coscienza del mio valore e così, io che andavo avanti sostenendo un esame all’anno, mi sono laureato in tempi brevi e con voti alti. Questa “scoperta” di me stesso mi ha dato una forte percezione della libertà che si prova nell’attingere costantemente alla propria Buddità grazie alla recitazione costante di Daimoku e Gongyo e allo studio del Gosho. Finalmente ho capito che non è colpa degli altri quando le cose vanno storte. Giorno per giorno ho imparato a coltivare il giardino della mia fede. La fede che prima percepivo come un dono proveniente dall’esterno adesso è il risultato di ogni mia decisione. Ora decido io per tutto ciò che riguarda la mia vita e l’ambiente l’esterno riesce sempre meno a influenzarmi. Logicamente il frutto di questo allenamento si è manifestato anche nella sfera dei sentimenti: tre anni fa ho incontrato la mia “principessa rosa”, una persona che, manco a farlo apposta, ha le caratteristiche che ho sempre sognato. Quello che sento è che la mia vita è finalmente “libera” di galoppare e di affrontare le cose belle e brutte dell’esistenza con le ali del Daimoku.

«Quando credete in ciò che è giusto, quando dirigete i vostri pensieri nella giusta direzione, ottenete la fede corretta che porta alla felicità. Chi pratica la vera Legge possiede la fede suprema: per questo è giovane, pieno di vigore e di energie» (D. Ikeda, NR, maggio 1993, pag. 18)

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Valeria Cossu, Firenze

CREDO CHE TUTTO sia cominciato la notte dell’ultimo dell’anno del 2004. Un po’ ubriaca mi chiudo in una stanza con lei che si siede sul letto e davanti al muro inizia a ripetere una frase che non capisco. Me l’aveva detto, sì… io a mezzanotte ho bisogno di una stanza per recitare… ma cosa? Io seduta per terra a gambe incrociate, chiudo gli occhi, abbasso la testa e ascolto. La sua voce diventa sempre meno afferrabile, continuavo ad ascoltare esterrefatta e immobile. Anche le volte successive quando lei recitava, io mi immobilizzavo nel punto in cui mi trovavo, non riuscivo quasi a muovere un arto finché lei non aveva finito.
E poi c’era il Gohonzon, quell’oggetto così affascinante. A volte, la mattina, quella sua recitazione mi rimaneva in testa e continuavo a sentirla mentre correvo con la vespa in ufficio. Non parlavamo molto di Buddismo, io ogni tanto facevo qualche domanda, lei ogni tanto faceva qualche riferimento, ma i discorsi erano per lo più casuali, e volteggiavano leggeri tra di noi, piacevolmente. Così come casualmente un giorno l’ho accompagnata al centro buddista, e mi sono ritrovata in mezzo al verde, in un’atmosfera serena e aperta, quei posti che quando li vedi pensi «se un giorno starò male per qualsiasi cosa, potrò sempre venire qui». E non ce ne sono molti di posti così. Poi conosco alcune sue amiche che a volte recitano con lei. Percepisco subito l’energia che creano più voci insieme, ricordo che un giorno io ero in giardino e dall’esterno sentivo le loro voci diventare un’unica voce, questa unica voce avvolgeva la casa e sembrava sollevarla un poco, appena qualche centimetro, così che la casa sfiorava l’erba invece di schiacciarla.
Prova a recitare un giorno, dài…, mi dicono. Capii subito che c’era molto da imparare, soprattutto per una come me che tende a crogiolarsi nelle sue alienazioni emotive e ogni tanto affonda. Non si impara per pigrizia o per paura. Ma anche solo la curiosità può vincere. E per fortuna io sono molto curiosa.
E così un giorno recito. Con lei. Non mi ricordo il giorno, credo fosse di maggio. Recito altre volte, sporadicamente, quando mi va, quando sono con lei, quando c’è il sole, quando piove, la domenica o il martedì. Ma non ho la costanza, a me non piace impormi “costanza”, io tendo a fare le cose solo quando mi va di farle, senza prendere impegni. In alcuni casi può essere problematico, lo so, ma in verità se rovesci la prospettiva, un impegno che si trasforma in piacere, non si chiama più “impegno”. E infatti conosco un amico di lei che mi fa scoprire il piacere di svegliarsi presto ogni mattina per trovarsi a recitare insieme, con un caffè caldo, e ogni volta la giornata acquista un sapore frizzante.
E così, recitando, lentamente ho iniziato a muovermi nel verso giusto e con più delicatezza e quando ti muovi nel modo giusto tutto si muove nel modo giusto, è sicuro. Il mio nuovo ambiente di lavoro da ostile che era, è diventato divertente. Dopo mesi difficili, finalmente sono riuscita a stabilire contatti umani e a farmi apprezzare: semplicemente ho smesso di attaccare o di retrocedere, e resto ferma, immobile, serena. A livello personale ho iniziato a cambiare la prospettiva di molte situazioni sentimentali passate che mi hanno fatto soffrire molto, ho iniziato a mettermi in discussione, a non dare sempre la colpa agli altri e a farmi più responsabile di ciò che mi succede. Inoltre ho iniziato a concentrarmi soprattutto sul presente, coltivando il valore di tutto quello che mi circonda adesso, non ieri e neanche domani. Per ogni effetto c’è sempre una causa.
Da quando pratico poi, tutto ha iniziato a incastrarsi perfettamente. Ogni giornata è diventata meravigliosamente armoniosa. Ogni giorno sembra scandito da un ritmo. Ogni cosa si incastra o si modella su un’altra, senza disturbare e così anche le relazioni hanno preso ciascuna un giusto spazio nella mia vita. Fino a poco tempo fa c’era un’espressione che mi colpiva… “passaggi di tempo”, sono un po’ come i momenti vuoti di un film, quelli che il regista tende a tagliare perché non succede niente. Mi sembrava spesso di trovarmi in un “passaggio di tempo”, allora aspettavo che qualcuno dicesse ciack si gira… e intanto mi dondolavo nei miei ricordi contorti e nei miei sogni stropicciati. Poi quando c’era l’azione spesso andavo così veloce e con tali pretese che non vedevo ostacoli o segnali e finiva che mi schiantavo contro un muro e cadevo depressa in un altro passaggio di tempo. Ecco. In realtà ogni giorno può succedere qualcosa di interessante, basta provare a diventare il regista della propria vita, con calma.

«Assumete la piena responsabilità della vostra vita e decidete di vincere. Se permettete a voi stessi di essere sconfitti, nessuna scusa al mondo vi sarà di aiuto. […] La cosa importante è ottenere la vittoria dove vi trovate in questo momento» (D. Ikeda, NR, giugno 1997, pagg. 12-13)

«La Terra ruota sul suo asse e contemporaneamente compie un movimento di rivoluzione intorno al Sole. A sua volta il sistema solare si muove attorno al centro della galassia, chiamata Via Lattea, alla velocità di 220 chilometri al secondo e la galassia stessa ruota con un movimento a spirale. L’universo non rimane fermo nemmeno per un istante e si muove secondo un mistico ritmo. Questa forza universale eterna, questa legge, questo ritmo è Nam-myoho-renge-kyo. Abbracciare la Legge mistica significa possedere la massima saggezza e il più grande potere dell’universo. Non esiste niente di più potente e dunque non c’è niente di cui aver paura» (D. Ikeda, NR, 15 novembre 2004, pag. 6)

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Emanuela Pisicchio, Roma

HO RICEVUTO IL GOHONZON domenica 27 febbraio 2005, dopo cinque anni di pratica. L’avevo deciso in un periodo particolarmente faticoso della mia vita in cui si intrecciavano confusioni sentimentali e strattonate emotive di varia natura, piccole esplosioni nei legami familiari e un destabilizzante calo nel flusso di lavoro. Quando è cominciata l’intensa nebbia ho urlato all’aria della stanza che volevo assolutamente “vedere in faccia la realtà”, volevo cercare la mia verità e se fosse stata brutta comunque l’avrei voluta vedere. In quel preciso momento ho sentito, con tutta me stessa, che volevo ricominciare tutto. Ma volevo ricominciare dal Gohonzon. Alla fine del mese di febbraio ero lì, impagliata nella grande aula del centro culturale in un’apparente disinvoltura mistificata quasi alla perfezione che poi mi ha vista cedere alcune lacrime di tensione, di emozione e di un non so che difficile da arginare. Un’emozione grande come un’onda oceanica, un nuovo arrivo della mia vita nella vita. Ho capito solo il giorno successivo che si trattava di un inizio e non di un traguardo. Durante quella domenica è successo di tutto un po’ e l’emozione non mi ha mai lasciata. Poi il lunedì ho alzato le serrande. Ho visto il mobile che contiene il Gohonzon e, semplicemente, ho sentito. Ho sentito invece di capire o credere soltanto: un desiderio gioioso di accettare la sfida della mia vita con la pace nel cuore. E nel lasso di un minuto ho visto lì davanti, rappresentati, tutti i fatti e le connessioni che mi portano a essere quella che sono. Ed è lì che ho sentito che la vita e il Gohonzon sono davvero la stessa cosa! Lì non c’è stata più separazione: il mio Gohonzon sembrerebbe un oggetto esterno, ma inspiegabilmente dal punto di vista razionale, è esattamente ciò che mi rappresenta dall’interno. Così lui è lì. Che aderisce perfettamente al mobile e al muro, fissato come qualcosa che mi ricorda che niente è davvero statico o così permanente. Mi aiuta a focalizzare ogni mio percorso, quale che sia. Ho creduto spesso che si esagerasse nell’attribuirgli valore. Invece è tutto vero. Il tuo Gohonzon è uno specchio che ti restituisce la forza non solo della preghiera ma soprattutto della verità. Sai che tu stessa puoi essere quell’immensa fonte di soluzione e di dinamismo che crea la vita, crea gli stimoli, crea la possibilità di realizzazione. Devi semplicemente aprire gli occhi e lasciare che il cuore si senta libero.

«Dovremmo prendere ogni precauzione per mantenerci in buona salute. Come praticanti della Legge mistica, comunque, siamo già sulla strada per la Buddità, una strada che porta alla felicità e alla pace della mente. Così, anche quando ci ammaliamo, non abbiamo niente di cui preoccuparci. Il Daishonin è al nostro fianco, così come innumerevoli Budda e bodhisattva, e le forze dell’universo ci proteggeranno per sempre. La Legge mistica è la forza che trasforma tutto nella direzione della pace e dell’alleggerimento della retribuzione karmica, nonché della felicità, della salute e della longevità. Toda disse: «Il Gohonzon materializza la vita dell’universo nella forma più potente e concentrata. Siccome comunichiamo con il Gohonzon, anche la nostra forza vitale si eleva al suo massimo potenziale» (D. Ikeda, NR, 15 marzo 2004, pag. 6)

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Massimo Luisetti, Cagliari

UNA GIOIA IMMENSA che scaturisce dalla parte più profonda di me anche quando affronto situazioni apparentemente senza via d’uscita. La pratica buddista mi ha fatto questo bellissimo regalo in questi quasi due anni in cui l’ho sperimentata nella mia vita. Il bilancio di questo periodo, pur vissuto fra enormi difficoltà è senza ombra di dubbio, una maggiore chiarezza dentro di me. In buona sostanza, negli ultimi anni tendevo a subire gli eventi senza trovare soluzioni e tanto meno la forza per superarli. Oggi come oggi, mi trovo a vivere una situazione difficilissima dovuta a una difficoltà apparentemente senza via d’uscita nel lavoro. Ho sempre avuto grandi soddisfazioni in questo campo ed ero abituato a eccellere, qualsiasi cosa facessi. Da diversi anni invece, è subentrata un’inversione di tendenza. Tutto quello che creavo si distruggeva in breve tempo. E così anche nelle relazioni personali… un vero disastro! Anche la salute, prima eccellente, ne ha risentito pesantemente. Insomma, ho toccato il fondo. A tutto questo ho reagito opponendo il Daimoku a quella vocina che mi diceva di smettere di lottare. Tanto Daimoku, quanto più posso, perché so che questa è l’unica via d’uscita, accompagnando il tutto all’approfondimento, allo studio del Gosho. Del resto, chi più di Nichiren ci può insegnare come ci si comporta nelle difficoltà più estreme… Dalla mia vita sta venendo fuori tanta gioia che si riflette anche sull’ambiente: ho trovato una compagna splendida, Giovanna, che, grazie alla pratica, piano piano sta riuscendo a mettersi alle spalle un lungo periodo di depressione. Sul lavoro ancora non ci sono miglioramenti tangibili ma l’energia esplosiva che il Daimoku fa scaturire dalla mia vita, non lascia spazio a dubbi circa il risultato finale di questa lotta.

«Il Buddismo è come il corpo, e la società come l’ombra. Quando il corpo si piega, si piega anche l’ombra» (Confronto fra il Sutra del Loto e gli altri sutra, SND, 5, 70)

«Perciò la preghiera del seguace del Sutra del Loto [otterrà risposta] come l’eco risponde al suono, come l’ombra accompagna il corpo, come la luna si riflette sull’acqua limpida, come lo specchio raccoglie la rugiada, come la magnetite attira il ferro, come l’ambra attrae la polvere, come lo specchio terso riflette il colore delle cose» (Confronto fra il Sutra del Loto e gli altri sutra, SND, 5, 70)

«Il Buddismo ci permette di attingere alla saggezza fondamentale per condurre una vita libera ed equilibrata. Spero che in qualsiasi situazione vi troviate, sappiate affrontare la realtà con saggezza e gioia, dimostrando sempre un’intelligenza vivace» (D. Ikeda, NR giugno 1993, pag. 20)

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Valentina Bartoli, Firenze

HO INIZIATO A PRATICARE il Buddismo cinque anni fa, in una comunità per tossicodipendenze. Per altre ben cinque volte avevo provato in altre comunità, ma puntualmente scappavo, per tornare a drogarmi e per ritrovare il mio amore e amico, che entrava e usciva di carcere, l’uomo per cui avevo scelto di lasciare casa e vivere insieme per la strada. Sette anni duri, vissuti in una simbiosi totale, pagati totalmente, lui con la legge e io con la salute. Fu al risveglio dal coma durato due mesi che decisi di tentare di nuovo. In comunità un’educatrice, con la quale tenevo colloqui individuali, mi parlò della pratica. Ci chiudevamo nella stanza e recitavamo insieme, ma dopo un po’ lei si licenziò. Volle farmi conoscere una persona che praticava da venti anni, grande amica di mio padre. Non potevo frequentarla, ma ogni giorno mi scriveva e mi mandava parole d’incoraggiamento, il Gosho, consigli sulla fede e i saluti del gruppo che avrei conosciuto un anno dopo.
Da subito si presentò la sofferenza di non aver più rivisto il mio ragazzo neanche dopo il coma. Dopo poco ebbi un colpo di fulmine con un ragazzo in cura come me e il fatto di iniziare una storia costruttiva mi allontanò dal mio primo amore. Andai a fondo, andai a vedere il significato di questa storia durata tanto, ripercorsi così, grazie alle educatrici, la mia infanzia e la mia ribellione verso la famiglia.
Decisi di crescere. Tutte le mattine mi svegliavo alle 6 per recitare Gongyo e Daimoku e questo sforzo è stato fondamentale. Recitavo prima dei meeting, quando sapevo che si sarebbero toccati argomenti di sofferenza e recitai quando mi resi conto che l’attuale ragazzo, che iniziava a tornare a casa perché stava finendo il percorso, non era più lui; dopo mezz’ora di Daimoku la risposta: mi dissero che era andato in overdose. Chiusi la relazione, con grande dolore, ma la mia vita era diventata più importante di qualunque uomo. Sono uscita dalla comunità, ho iniziato a lavorare con gli anziani, ho trasformato il rapporto di complicità con mia madre e quello di paura con mio padre. Da qualche mese lavoro insieme a lui e lo vedo finalmente per la persona che è e non come il padre che mi ha fatto mancare l’amore. Amore che oggi provo verso la mia vita e verso di lui, oggi invecchiato. I ruoli a un certo punto s’invertono e bisogna imparare a dare, crescendo, senza provare rancore, ma avendo una grande compassione, perché un genitore che non ha amato nel modo giusto è stato un figlio al quale è mancato qualcosa.
Ho vissuto due anni con un altro uomo, quello con cui credevo che avrei vissuto per sempre e che, invece, in due secondi mi ha lasciato. Per l’ennesima volta mi sono aggrappata al Gohonzon, perché sentivo tanto dolore. Ho guardato in faccia il mio karma e ho rinnovato la determinazione di cinque anni prima: non mettere al centro della mia vita un uomo, ma Nam-myoho-renge-kyo! Per un mese ho recitato due ore di Daimoku e sono ripartita dal mio gruppo, con il desiderio che tutte (siamo quattro giovani donne), possiamo trasformare la nostra vita sentimentale. Il Daimoku di questi mesi ha sbloccato una situazione di ben tre anni: non riuscire a prendere la patente! Ho determinato che dovevo iniziare a “guidare la mia vita” e ho vinto.
Nel mio cuore ho mantenuto il Gosho Il raggiungimento della Buddità, dove è scritto: «Se non si percepisce la natura della propria mente, non si può sradicare il cattivo karma» (SND, 4, 4). La mia mente? L’ho osservata per ben cinque anni, anche con due di psicoterapia. Ho vinto gli attacchi di panico per la paura di vivere e ho imparato a prendermi le responsabilità di qualsiasi cosa e so che quando decido di fare un passo in più “i tre ostacoli appariranno” perché “si verifica sempre qualcosa dal passaggio dalla primavera all’estate…” in quel momento mi rallegro perché so che ogni volta faccio un salto di qualità.

«Poiché non c’è cosa più preziosa della vita, se la si dedica a praticare il Buddismo, si ottiene sicuramente la Buddità» (Lettera da Sado, SND, 4, 73)

«Per i pesci l’acqua nella quale vivono è il più grande tesoro, e per gli alberi lo è il terreno su cui crescono. La vita dell’uomo è sostenuta da ciò che mangia e per questo il cibo è il suo tesoro. Tuttavia, il più prezioso di tutti i tesori è la vita stessa. Nemmeno i tesori dell’intero universo possono eguagliare il valore di una singola vita umana. La vita è come una lampada e il cibo come l’olio. Quando l’olio è finito la fiamma si spegne, e senza cibo la vita si interrompe» (L’offerta del riso bianco, SND, 4, 285)

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Marco Schiavetta, Chiavari

QUANDO HO INCONTRATO la pratica, la mia disperazione era arrivata ormai a un punto tale che il dolore che sentivo mi si leggeva in faccia. Decisi di recitare Nam-myoho-renge-kyo e per la prima volta una mattina dopo l’ennesima notte insonne scoppiai a piangere.
La mia vita mi stava franando sotto i piedi. Tutto quello che avevo costruito e desiderato per me non aveva più nessun senso. La fine di una meravigliosa storia d’amore si era portata via anche la mia voglia di vivere. A 34 anni non riuscivo più a credere di poter provare ancora felicità, mi sentivo morto. La mia ultima spiaggia – pensai quella mattina – è provare a recitare quella frase che mi era stato detto avrebbe cambiato la mia vita, anche se razionalmente non ci credevo.
Così davanti al muro della mia camera pronunciai quella frase, per pochi minuti. Quella mattina mi sentii come liberato dal peso che mi opprimeva ormai da lunghissimo tempo e ricordo che non avevo collegato il mio stato vitale a quel poco Daimoku, ma quando rientrai per pranzo provai il desiderio di recitare per qualche altro minuto; da quel giorno non ho più smesso di recitare Nam-myoho-renge-kyo.
E piano piano cominciai a sentire nascere dentro di me un’enorme speranza indipendentemente da ciò che vivevo.
Appena diplomato avevo subito iniziato ad assumermi responsabilità all’interno dell’azienda di famiglia, fino ad arrivare al punto che tutto era gravato sulle mie spalle. Tutto era scandito dagli impegni di lavoro, per anni tutti i miei sogni (università, interessi, vita privata) erano stati subordinati a quelli che sentivo essere miei doveri.
Oggi ho aperto la mia esistenza alla vita, trovandomi ricco di nuovi interessi che voglio coltivare. Ho ripreso a studiare, e questo percorso mi ha portato a voler fare nuove scelte: ho deciso di cambiare lavoro e di trasferirmi in una nuova città.
Per quanto importantissimi i benefici materiali raccolti, non potranno mai superare la gratitudine che provo per la speranza ritrovata e la libertà di cui ora la mia nuova vita può giustamente godere.

«La speranza è senza confini. C’è una cosa per la quale prego il Gohonzon e che desidero di tutto cuore: “Qualunque cosa accada, offri grande speranza agli amici della SGI”. La fede dona speranza senza limiti, così come il fatto di creare valore. Quando si vive con un forte desiderio di migliorare, con una forte fede, con grande impegno allora si prova speranza» (D. Ikeda, NR, maggio 1993, pag. 18)

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Lara Giulia Provenzano, Parma

L’INCERTA ESISTENZA dei miei 32 anni mi ha portata qui, alla soglia di un’esperienza mai fatta e vissuta prima d’ora: scrivere di me, della mia vita, per tentare di donare qualcosa, una sferzata di coraggio, una leggera emozione o un poco di riflessione a chi magari, come me, prima di tutto cerca un coraggio che c’è ma che non vede, una gioia profonda al di là di ogni dolore reale, vivo e quotidiano; tutto ciò che io mai, senza il Buddismo sarei riuscita a capire, trasformare e sconfiggere interiormente.
Ero un ragazza triste, senza un volto da amare, non amando neppure il mio, fortemente ammalata era la mia anima e la facile risoluzione alla mia esistenza era semplicemente arrendermi, fingere di non esistere. Nulla aveva senso, e per anni quella totale disperazione così come il mio fuggire, sono stati sotto gli occhi di tanti. Di certo non mi si poteva completamente biasimare…
Sono nata nel 1973 a Parma da una famiglia distrutta e alquanto distruttrice, una madre psichiatricamente malata grave e un padre aggressivo allora perso dentro al suo drammatico vivere.
I primi quindici anni li ho vissuti per strada, calpestando per la paura ogni sguardo che incrociavo, e per fame sono arrivata anche a rubare. Non ho frequentato la scuola, ma ho girovagato per le vie di quella allora piccola città che non rifletteva il mio grande disagio. Ho subito ogni tipo di violenza, ho conosciuto la rabbia profonda, l’umiliazione, l’impotenza, il terrore, il dolore fisico, le botte prese da uomini, donne e perfino bambini. A sedici anni sono stata “chiusa in gabbia” in collegio, bellissima capanna di cristallo dove la mia libertà d’azione fu tarpata, ma dove trovai rifugio per il cuore, cibo caldo, sguardi e mani migliori. Ho recuperato un paio di anni di scuola arrivando alla terza media.
Ho chiesto e ottenuto di fare psicoterapia; dieci lunghi anni dove ho imparato a sopravvivere, smaltire e cambiare radicalmente molte angosce, vincendo gravi attacchi di ansia e panico. Alla maggiore età ho iniziato a lavorare in fabbrica, ambiente crudo ma che mi ha dato la possibilità di tentare di esistere. Fino al 2002 ho vissuto ligia al lavoro, nel mio vivere triste e solitario accudendo al meglio mia madre e mio padre malato e assistito in un istituto, e con la consapevolezza di vivere un’esistenza che non desideravo e neppure capivo. La psicoterapia aveva salvato la mia integrità mentale, ma la mia anima e quel profondo bisogno di un senso di vita interiore non esistevano. Sono sopravvissuta quasi “piacevolmente” all’adolescenza, annegando sogni e desideri, ma la sofferenza pareva non volere mai abbandonare la mia vita. Ma ecco, nel gennaio del 2002, l’ennesimo sobbalzo doloroso. Persi completamente la voce e fui operata in modo perfetto, ma rimase il mio rantolare; a febbraio scoprirono un tumore al seno di mia madre che voleva solo farsi morire; a marzo mia sorella si ammalò di una grave depressione decidendo di non uscire più di casa e, il 18 giugno, mio padre morì, solo, al Pronto Soccorso. Io stavo ormai crollando, ma anche al bene non c’è mai fine. Avevo un solo legame nel cuore con una persona che viveva a cento chilometri di distanza da me, ma a un centimetro dalla mia anima. Nulla avviene per caso. Quella persona mi disse che c’era la soluzione: Nam- myoho-renge-kyo.
Accolsi la mia disperazione e la mia ricerca di dare un senso alla mia vita. Con voce rantolante iniziai a recitare Daimoku: all’alba, al buio, in bagno, ore, ore, ore e tutto cambiò nel giro di qualche mese.
Mia madre fu operata al seno e, finita la chemioterapia da tre anni le analisi sono perfette; mia sorella superò la grave depressione e io piano piano riacquistai la mia voce, ora squillante! Fu un anno violento, ma da allora è stata una scalata continua verso vittorie interiori ed esterne. Mia sorella ha iniziato lentamente a praticare il Buddismo, i servizi sociali si sono attivati per aiutarmi nella cura di mia madre, tutt’altro che facile. Nel 2004 è arrivato il Gohonzon, realizzando il mio desiderio più grande: la mia vita ha trovato stabilità, con mille e più benefici immensi, visibili e concreti. Ho un volto carino, ho nel cuore amore per vari gruppi di Parma, ho un sorriso quasi difficile da spegnere, ora. Ho una casa del Comune con una stanza enorme per recitare Gongyo e Daimoku insieme agli altri, ho amiche che amo e che acquietano quei rari momenti di sconforto e malinconica tristezza. Ho desideri da costruire con fede e pazienza, tra cui un lavoro adatto alla mia salute ancora un po’ “ballerina”, e meno timori nel rapporto e nel dialogo con l’altro sesso. Credo che l’amore possa migliorare tutto, e che con la fede tutto è lì, a portata di mano. Ho qualche stella nascosta ancora sotto al cuscino, ma adesso ho un ruggito dolce e vero, finalmente il mio battito è forte e sano.
Soprattutto ho in me quel senso di vita che dà significato e passione al mio voler vivere. Quel sentimento di gioia che portavo nascosto dentro di me da sempre e che non si era ancora manifestato, è finalmente sbocciato, come un giglio bianco accanto a una stella sull’erba.

«Soffri per quel che c’è da soffrire e gioisci per quello che c’è da gioire. Considera entrambe, sofferenza e gioia, come fatti della vita e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo qualunque cosa accada. In questo modo sperimenterai una gioia illimitata derivante dalla Legge. Rafforza la tua fede più che mai» (Felicità in questo mondo, SND, 4, 18)

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