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Dal coraggio, la compassione - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:19

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Dal coraggio, la compassione

Per ricercare la Buddità il coraggio è un requisito indispensabile. Il Daishonin incoraggia per questo ad avere un “cuore di leone” per affrontare le difficoltà della vita. Da questa azione nasce anche la compassione che si manifesta nel desiderare non solo la propria felicità, ma anche quella degli altri

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Per ricercare la Buddità il coraggio è un requisito indispensabile. Il Daishonin incoraggia per questo ad avere un “cuore di leone” per affrontare le difficoltà della vita. Da questa azione nasce anche la compassione che si manifesta nel desiderare non solo la propria felicità, ma anche quella degli altri

Durante il corso europeo di studio, tenutosi a Trets nell’agosto scorso, in una sessione di domanda e risposta, Katsuji Saito, responsabile del Dipartimento di studio della SGI, ha affrontato il tema del coraggio. La domanda riguardava il rapporto esistente fra compassione e coraggio e come generare il coraggio in sé e negli altri, soprattutto in coloro che si sentono privi di speranza.
Sulla relazione fra compassione e coraggio, Saito ha risposto che la compassione è una delle diciotto caratteristiche non condivise del Budda (vedi DB, 191). Si tratta di poteri che servono per recare beneficio agli altri, per aiutare e salvare le altre persone. Fra questi, la compassione è la massima virtù del Budda. Non può esistere l’Illuminazione senza la compassione, anzi, la compassione è il risultato dell’Illuminazione di una persona. Quindi, ha aggiunto, cercare di comportarsi in modo compassionevole senza sperimentare un reale sentimento di compassione, dà luogo a forzature, a comportamenti ipocriti.
Il coraggio invece è presente in ogni essere umano, così come la paura. Per manifestarlo occorre semplicemente farlo emergere senza metodi particolari. Il coraggio ha però un potere speciale, messo in luce sia da Josei Toda sia da Daisaku Ikeda: quello di condurre a manifestare la compassione. Sviluppando il coraggio, di cui ogni persona è dotata, si rafforza la compassione, che è una virtù del Budda.
Sul coraggio, Saito ha aggiunto alcuni elementi: che racchiude il cuore e la virtù di una persona e che ci permette di affrontare l’oscurità fondamentale.
Ha poi citato un brano del Gosho Lettera da Sado, nel quale Nichiren Daishonin scrive: «Solo sconfiggendo un potente avversario si può dimostrare il proprio valore. Quando un governante malvagio, per distruggere la vera Legge, si allea con preti eretici e bandisce un uomo saggio, chi ha un cuore di leone otterrà sicuramente la Buddità. Così ha fatto Nichiren. Non dico ciò per arroganza, ma perché sono animato dalla forte volontà di preservare la vera Legge» (SND, 4, 75).
Commentando questo brano, Saito ha affermato che Nichiren Daishonin ha manifestato tutto il suo coraggio per proteggere il vero insegnamento. Analogamente chi crede nella Legge mistica fa emergere il proprio coraggio.

Il coraggio della fede

La risposta di Saito, che ho brevemente e spero fedelmente sintetizzato, condensa una serie di elementi che meritano una riflessione. Innanzitutto il termine coraggio e la figura spesso utilizzata dal Daishonin per trattare questo tema, il leone o il cuore di leone, sono riferiti al mondo della fede.
In una delle frasi più citate sul tema del coraggio, Nichiren afferma: «Una spada sarà inutile nelle mani di qualcuno che non si sforza di lottare. La potente spada del Sutra del loto deve essere brandita da un coraggioso nella fede. Allora egli sarà forte come un demone armato di una mazza di ferro» (Risposta a Kyo’o, NR, 348, 18). Si tratta di un’immagine molto forte, nella quale chi è coraggioso nella fede manifesta una potenza invincibile. Letta al di fuori del contesto in cui è stata scritta, potrebbe anche sembrare una frase che incita all’aggressività, all’uso muscolare della forza. Invece era destinata a Shijo Kingo per spronarlo a credere con tutte le sue forze nella possibilità di guarigione di sua figlia, in fin di vita per una malattia. Nichiren ha scelto questa immagine per ispirare un samurai come Shijo Kingo, a combattere la propria battaglia contro il dubbio, la paura e la rassegnazione. Ma è una battaglia che si svolge nel cuore di Shijo Kingo, che deve trovare il coraggio di credere nel potere di Nam-myoho-renge-kyo nel momento più doloroso della sua vita. Il demone armato di una mazza di ferro è la rappresentazione del potere che può esprimere una persona quando lotta nelle circostanze più avverse contro la propria oscurità, affermando coraggiosamente il proprio credo contro ogni dubbio.
D’altronde il Buddismo ha avuto origine proprio dalla battaglia ingaggiata da Shakyamuni contro la propria oscurità, rappresentata dal demone Mara. L’offensiva di Mara per ostacolare Shakyamuni si è infatti scatenata in due circostanze cruciali: nel momento in cui Shakyamuni ha deciso di conseguire l’Illuminazione e quando ha stabilito di aiutare le altre persone a raggiungere lo stesso risultato. L’oscurità, in sostanza, si attiva in relazione alla decisione di ottenere la Buddità e di mettere gli altri in condizione di fare lo stesso. Per sconfiggere Mara, cioè la propria oscurità, Shakyamuni ha chiamato a raccolta tutto il suo coraggio (vedi DB, 175).
Perciò scrive Nichiren Daishonin: «Il Gran Maestro Dengyo disse: “Shakyamuni affermò che è facile abbracciare il superficiale ma è difficile abbracciare il profondo. Abbandonare il superficiale e ricercare il profondo richiede coraggio”» (Sulla profezia del Budda, SND, 4, 30).
Il coraggio è quindi la componente necessaria per ricercare la Buddità, quella parte di sé e degli altri che non è visibile in superficie. In altre parole, la sola ricerca della Legge mistica, il tentativo di scavare sotto la superficie della vita, richiede coraggio.
La rassegnazione, la superficialità, il ritenere che tutto sia come sembra, possono essere scalfiti solo attraverso un atto di coraggio, che è appunto quello di cercare una dimensione diversa e più profonda. Di conseguenza il fatto stesso di recitare Nam-myoho-renge-kyo è un atto di straordinario coraggio, che è possibile solo se si desidera andare oltre l’apparenza.
In circostanze favorevoli o avverse, poi, la recitazione del Daimoku porta davvero a illuminare la scena, a mostrare in una luce completamente diversa la situazione che si sta affrontando. Un annoso problema, una sofferenza cronica, un obiettivo stagionato diventano improvvisamente leggeri e affrontabili, grazie a una condizione vitale che li mostra per quello che sono, espedienti per scavare più a fondo dentro di sé alla ricerca della Buddità. Emergono allora intuizioni e progetti, percorsi praticabili per produrre un cambiamento.

La validità dell’azione

Ma per trasformare tutto questo in realtà, occorre ancora una volta il coraggio. Il coraggio che è stato necessario per arrivare a quella profondità, è ora necessario per portare in superficie ciò che si è percepito. Il Buddismo spiega questo meccanismo attraverso il principio dei dieci mondi. Quando chiudiamo con tre Daimoku le sessioni di recitazione, torniamo nei nove mondi, nei sentieri abituali della mente, nelle convinzioni radicate e negli automatismi che privano ogni novità di credibilità. Allora è necessario nuovamente il coraggio per agire così come si è percepito illuminando la scena, anche se la superficie dell’ambiente non presenta appigli o segnali incoraggianti.
Per trasferire ciò che si è sperimentato davanti al Gohonzon nella realtà dei nove mondi, occorre l’azione. Ma agire richiede coraggio, perché ci si espone sulla base di qualcosa che si è percepito ma non è visibile. Per fare queste azioni è necessario compiere un salto, una scommessa, che chiamiamo fede e che si nutre del coraggio per manifestarsi. Per verificare l’esistenza della Buddità è necessario agire, cercarla davanti al Gohonzon e nelle altre persone. In sostanza agendo come se si fosse certi dell’esistenza della Buddità, si scopre la sua presenza in sé e negli altri. Per questo il coraggio precede e sviluppa la compassione, perché come comune mortale è indispensabile l’azione per attivare qualcosa che non si ha la certezza che esista. Dopo aver agito, il risultato certifica che il principio ispiratore di quell’azione era valido, ma intanto solo il coraggio sostiene e ispira l’azione. Così il coraggio porta a ricercare la Buddità, poi a manifestarla e la Buddità a sua volta fa emergere la compassione, che è in fondo essere certi della propria e altrui natura di Budda.
Da questo punto di vista l’azione più coraggiosa in assoluto è fare shakubuku, parlare alla Buddità di un altro essere umano partendo dal presupposto che esiste anche se non se ne vede traccia. Credere nell’altrui Buddità nonostante le apparenze e dichiararlo è davvero l’azione più coraggiosa che esista, infatti non c’è azione che dia più gioia.
Perché il coraggio, oltre ad attivare la compassione e a portare a risultati concreti, fa scaturire una profonda gioia, che precede “il beneficio”, l’effetto finale che emerge in superficie. Quando una persona agisce con coraggio, la gioia e la freschezza che ne derivano, sono percepite dagli altri che sono stimolati a fare altrettanto. Incoraggiare gli altri, in definitiva, è possibile solo se il coraggio è attivo nella propria esperienza. Inoltre, Nichiren Daishonin ci ammonisce severamente per quanto riguarda il coraggio: «Non dovresti sentire la minima paura nel cuore. Sebbene una persona possa aver professato la fede nel Sutra del Loto molte volte sin dall’infinito passato, è la mancanza di coraggio che gli impedisce di raggiungere la Buddità» (I tre ostacoli e i quattro demoni, NR, 4, 128).

Un requisito fondamentale

La relazione esistente fra coraggio e Buddità mette in luce un altro aspetto del coraggio, e cioè che non ha nulla a che fare con l’aggressività e la violenza, che sono azioni distruttive. Il coraggio è indispensabile per ricercare la Buddità, per risvegliarsi alla dignità della vita e poi per manifestarle.
Nichiren Daishonin ha agito con “un cuore di leone”, ha espresso la fermezza necessaria per assumersi apertamente la responsabilità delle proprie parole e azioni in circostanze in cui ciò poteva comportare la morte, animato dalla forte volontà di preservare la Legge. Il coraggio di Nichiren Daishonin è quindi legato in maniera indissolubile alla sua missione, e per questo motivo ancora oggi ci ispira e ci motiva. Tuttavia in questo coraggio non c’è traccia di odio né di aggressività. Anche ai suoi discepoli scrive: «Siate coraggiosi come Nichiren quando affrontò Hei no Saemon» (Lettera ai fratelli, SND, 4, 113), riferendosi al momento in cui aveva ribadito – davanti a un influente uomo politico del suo tempo – la necessità di adottare il Sutra del Loto come principio ispiratore della vita del paese e di bandire le dottrine errate, pur sapendo di rischiare la vita. È insomma un coraggio che sostiene l’affermazione di princìpi positivi, non di comportamenti collerici e aggressivi.
Abbiamo, nella storia della Soka Gakkai, molti esempi di questo coraggio. Il coraggio di morire in carcere per proteggere il Buddismo di Nichiren Daishonin; il coraggio di ricominciare da soli, in mezzo alle macerie del dopoguerra; il coraggio di dichiarare “convertirò settecentocinquantamila famiglie”; il coraggio di opporsi agli armamenti nucleari; il coraggio di pubblicare in un volume gli scritti di Nichiren Daishonin per tutti i membri. Poi c’è il coraggio con il quale Daisaku Ikeda ha protetto ognuno di noi in questi anni, perché potessimo recitare davanti al Gohonzon ed ereditare il Buddismo di Nichiren Daishonin nella sua forma corretta. Di questo coraggio noi ci dovremmo nutrire per diventare capaci di trasmettere alle generazioni future ciò che noi stessi abbiamo avuto il privilegio e la fortuna di ricevere.

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