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Un canto alla vita - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:18

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Un canto alla vita

La lettura dei due capitoli del Sutra del Loto che viene fatta durante la cerimonia di Gongyo al mattino e alla sera ha tutte le componenti di un rito, ma è anche la promessa di realizzare la propria rivoluzione umana e kosen-rufu

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La lettura dei due capitoli del Sutra del Loto che viene fatta durante la cerimonia di Gongyo al mattino e alla sera ha tutte le componenti di un rito, ma è anche la promessa di realizzare la propria rivoluzione umana e kosen-rufu

All’inizio della pratica, ci viene consegnato il testo di Gongyo che contiene la preghiera del mattino e della sera, cioè la pratica quotidiana. Questo testo in cinese antico in genere risulta più semplice da imparare di ciò che può sembrare a prima vista, anche grazie all’aiuto di chi ci insegna la pronuncia corretta. Letteralmente, gon vuol dire “sforzarsi con disciplina” e gyo “continuare con costanza”. Dunque è una pratica da seguire con costanza e assiduità, giorno dopo giorno, come un vero e proprio allenamento. Così, insistendo sulla correzione della pronuncia, prestando attenzione al ritmo e lasciandosi trasportare dal suono, Gongyo diventa una parte della giornata e l’iniziale fatica di imparare si trasforma in gioia di cantare alla vita in assoluta libertà. Un po’ come studiare una lingua: all’inizio abbiamo bisogno di imparare le regole da applicare al linguaggio. Può sembrare faticoso, a volte noioso, dover ripetere ogni giorno le stesse parole e le stesse azioni. Ma è come imparare la grammatica della vita che poi ci permette di parlare la stessa lingua dell’universo.

La Cerimonia nell’Aria

«Nella vita non dovremmo mai lasciarci assorbire totalmente dalla realtà immediata, dobbiamo trascenderla attraverso i nostri ideali e la nostra lotta per realizzarli; d’altra parte non dobbiamo nemmeno allontanarci dalla realtà perché non possiamo cambiare nulla se non abbiamo i piedi saldamente piantati a terra» (Saggezza, 1, 74). Daisaku Ikeda con queste parole ricorda il senso profondo della preghiera composta dalla lettura del Sutra del Loto e dalla recitazione ripetuta del titolo del medesimo, cioè il Daimoku che significa appunto “titolo”. Con Gongyo ognuno di noi – che ne sia consapevole o no, che ci creda molto o poco – ripete mattina e sera la Cerimonia nell’Aria, cioè quell’esperienza metaforica in cui Shakyamuni si innalza dal Picco dell’Aquila con l’assemblea dei discepoli, ottiene conferma della correttezza del proprio insegnamento dal Budda Molti Tesori (Taho) e affida ai Bodhisattva della Terra l’onere di propagare l’insegnamento negli ultimi diecimila anni della Legge. Ecco, ciascuno di noi mattina e sera riconferma di essere stato presente a quella cerimonia, riconferma di essere un Bodhisattva della Terra, e conferma nuovamente di voler propagare il Buddismo attraverso la propria vita.
Tutto questo non è per niente teorico, anzi come ci dice Stefania da Manduria (TA), che pratica da sette anni: «Ebbene, ogni mattina con Gongyo è come se augurassi alla mia Buddità di vincere per tutto il giorno, di manifestarsi in tutto ciò che andrò a fare. È come ripartire da zero ogni mattina nel rinnovare il mio voto per kosen-rufu. Da poco tempo faccio Gongyo più lentamente, assaporando ogni carattere, cercando di scandirlo al meglio. Noto un notevole miglioramento nella vita quotidiana: più attenzione nelle mie scelte, nel mio atteggiamento… mi accorgo che percepisco le cose con più chiarezza, riesco a dare il consiglio giusto con più lucidità».

La struttura di Gongyo

La cerimonia di Gongyo è formata dalla lettura del libretto che contiene estratti dai due capitoli del Sutra del Loto – una parte di “Espedienti” (Hoben) e la sezione in versi di “Durata della vita” (Juryo) – seguita dalla recitazione del Daimoku. Questi due capitoli si leggono mattina e sera una sola volta ciascuno, accompagnati dalle preghiere silenziose (rivolte alle forze protettrici dell’universo; al Gohonzon, a Nichiren, ai primi patriarchi Nikko e Nichimoku; alla Soka Gakkai e ai tre presidenti; alla trasformazione del karma e alla realizzazione dei desideri personali; ai defunti e alla pace nel mondo o kosen-rufu). Non c’è un tempo stabilito per la recitazione di Daimoku: ciascuno decide il tempo necessario. La lettura dei due brani del sutra è considerata la pratica di supporto mentre la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo è la pratica essenziale.

Il significato profondo

Ma qual è il significato concreto di “recitare Gongyo”? La cerimonia del mattino aiuta a essere al ritmo con la Legge dell’universo e ha la funzione di “aprire” la nostra vita dal profondo facendo sgorgare i benefici del Daimoku. Gongyo ci permette di dare l’indirizzo giusto alla nostra giornata. Gongyo sera è un momento per riflettere sulla giornata appena trascorsa, apprezzare ciò che si ha e decidere i propri obiettivi in vista della giornata successiva.
Nel febbraio dello scorso anno Daisaku Ikeda ha dedicato un saggio al significato di Gongyo:

«Gongyo, una base fondamentale della nostra pratica, potrebbe essere descritto come la cerimonia in cui facciamo sorgere ogni giorno il sole primordiale della Buddità nel vasto cielo della nostra vita. Nella Raccolta degli insegnamenti orali, il Daishonin cita il seguente brano tratto da un commentario buddista: “Ogni mattina ci alziamo con il Budda e ogni sera ci corichiamo con il Budda. In ogni istante conseguiamo la via, in ogni istante riveliamo la nostra identità originale” (OTT, 83). Mattina e sera recitiamo Gongyo con vigore davanti al Gohonzon. In questo modo viviamo sempre “insieme al Budda”. Questo è l’insegnamento del Buddismo del Daishonin. Inoltre, in ogni momento ci risvegliamo alla grande forza vitale della Buddità che è in noi dal tempo senza inizio, e la manifestiamo nella nostra vita» (NR, 349, 9).
Secondo Adriana, una delle prime praticanti bolognesi, «al Buddismo ci si avvicina per tanti motivi. Quando io iniziai a praticare ventiquattro anni fa andavo davanti al Gohonzon e facevo Gongyo chiedendo: “Voglio questo, voglio quello”. Oggi il mio atteggiamento è cambiato. Nella mia vita è avvenuta quella trasformazione di cui parlava il presidente Toda e ho iniziato a “scartare il superficiale e rivelare il profondo dalla mia esistenza” (NRU, 2, 76). È stato un percorso costante, in tutti questi anni sono stata molto fortunata e non ho mai smesso di praticare regolarmente. Certo i desideri ci sono ancora, e ci mancherebbe, ma oggi davanti al Gohonzon mi pongo proprio con lo spirito della quarta preghiera: “Prego per manifestare la Buddità nella mia vita”». Manifestare l’immensa energia dell’universo che risiede dentro di noi è senz’altro una forte motivazione nel decidere ogni volta, ogni giorno, di sedersi di fronte al Gohonzon.

Pregare con impegno vuol dire vincere

«Ho appena recitato Gongyo, stanca morta e un po’ triste come mi sento oggi – racconta Annalisa di Capoterra (CA), quarantré anni e due di pratica – non ne avevo nessuna voglia. Ma una parte di me, mi ha portato comunque davanti al Gohonzon. Così come sono: stanca, un po’ scoraggiata di dover fronteggiare ancora una volta le mie tendenze arroganti, la mia voglia di fare e di decidere anche per gli altri. Così, con tutti i miei limiti ben messi a fuoco, ho iniziato a recitare, a rinnovare il mio voto di manifestare la Buddità, a decidere anche stasera, nonostante una giornata in cui non mi sono piaciuta molto, di non arrendermi e di continuare la mia rivoluzione umana. Nichiren ci esorta a recitare come se dovessimo “accendere il fuoco con legna bagnata”. Oggi mi sono sentita un legnetto fradicio, impregnato di tutte le mie insicurezze, della mia difficoltà a percepire la mia e l’altrui Buddità mancando, in questo modo, di rispetto a me stessa e a chi mi è vicino. Ma guardare il Gohonzon, quella “mappa” meravigliosa di tutto ciò che contiene la mia vita, mi ha ricordato che dentro di me c’è anche tutta l’energia dell’universo, delle stelle, delle piccole erbe tenaci che amano tanto la vita da riuscire a trovare alimento anche tra le crepe dell’intonaco di un muro. Questo è il mio voto: manifestare la Buddità nel mio ambiente, credere che io e gli altri esseri umani siamo dei meravigliosi Budda. E che anche se a volte sbaglio e cado in trappole “karmiche” e in quei miei comportamenti che non mi piacciono più, continuerò a fare Gongyo ogni giorno, giorno dopo giorno. Nichiren, settecento anni fa, ha affrontato tante difficoltà perché io credessi in questo. Provo tanta gratitudine nei suoi confronti e nei confronti dei tre maestri della SGI e mi fido dei loro insegnamenti. Gongyo è la pratica assidua per lucidare e pulire la mia vita».
Per chi, come Susan di Pula (CA), che pratica da due anni, nella vita deve lottare ogni giorno con una grave malattia, Gongyo è davvero una sorgente di incredibile energia. «Quello che mi viene subito in mente è la gioia che provo quando recito. Però non è solo questo: da quando ho cominciato a recitare la mia vita è cambiata, perché io, poco a poco, sono cambiata. Vedo le cose in un’altra luce e il mio rapporto con la famiglia e con le persone che frequento è migliorato, è più rilassato, più comprensivo dei bisogni degli altri. Ogni giorno recitare mi aiuta a farmi sentire serena e i “problemi” della mia vita si risolvono più facilmente, anche se non sempre subito, oppure cambiano forma e diventano “opportunità”. Soprattutto facendo Gongyo ogni giorno, riesco a rinnovare la mia determinazione, e ho la forza e il coraggio di andare avanti e di lottare contro la mia malattia: la leucemia. Quando la malattia quest’estate mi costringeva a stare a letto e non riuscivo a raggiungere il Gohonzon, mi sembrava che mancasse una parte di me! Ma i compagni di fede mi hanno veramente sostenuta nei momenti difficili».
Per Piero di Roma, che si è avvicinato al Buddismo da soli tre mesi, in questa pratica c’è qualcosa di straordinario: «Io ho iniziato da poco, e confesso di avere ancora delle difficoltà con il ritmo e la pronuncia. Però non riesco a non farlo, davvero! Non so perché, ma sento come una ventata d’aria fresca, ogni volta che lo recito. Mi viene naturale ringraziare per tutto, per ogni aspetto della mia vita! Mi sento bene, e questo, per me che sono alle prime armi, è la cosa più bella e più importante!».

Una promessa è una promessa

«Un Gongyo “combattivo” – scrive Ikeda – è un’inesauribile fonte di vittoria sia nella vita che nella lotta per realizzare kosen-rufu. Il Daishonin, con la dottrina di “tremila regni in un singolo istante di vita”, insegna che un cambiamento nel modo di pensare può determinare un cambiamento in tutti i fenomeni dei tremila regni. Quando cambia il nostro modo di pensare, anche noi cambiamo. E quando cambiamo noi, cambiano anche l’ambiente e il mondo. La fonte di questa trasformazione sta in un radicale approfondimento della preghiera al Gohonzon. Essa è completamente diversa da quella che si trova in una fede dipendente e supplicante; non imploriamo a qualcuno una fiacca elemosina per la nostra salvezza o per ricevere un aiuto. La preghiera nel Buddismo di Nichiren Daishonin, di base, è una promessa. È l’impegno a seguire un certo corso d’azione, a impegnarsi per realizzare un obiettivo preciso. E cosa potrebbe essere più bello della promessa di realizzare la propria rivoluzione umana e far sì che kosen-rufu, con il suo traguardo della pace mondiale, diventino realtà?» (NR, 349, 10).

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