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È possibile essere felici in questo mondo? - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:56

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È possibile essere felici in questo mondo?

Questo è il tema trattato nella lezione su alcuni punti salienti del breve ma intenso scritto di Nichiren, Felicità in questo mondo. La gioia che deriva dalla Legge, promessa dall’insegnamento buddista, permette a ciascuno di godere appieno della vita

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Questo è il tema trattato nella lezione su alcuni punti salienti del breve ma intenso scritto di Nichiren, Felicità in questo mondo. La gioia che deriva dalla Legge, promessa dall’insegnamento buddista, permette a ciascuno di godere appieno della vita

Questo Gosho è uno tra gli scritti più amati di Nichiren per la sua semplicità e al tempo stesso la profondità con cui il Daishonin incoraggia ancora una volta Shijo Kingo, che stava attraversando un momento particolarmente difficile nei suoi rapporti con il suo signore, ad approfondire la sua fede, spronando virtualmente ognuno di noi a fare la stessa cosa.
Tra i punti importanti di Felicità in questo mondo (BS, 118, 8) ha spiegato Gianfranco Donatti, membro del Dipartimento di studio, insieme a Graziella Aiello, ministro di culto, riportando in sintesi la lezione tenuta al corso europeo di Trets da Katsuji Saito, vi è il principio che chiunque, recitando Nam-myoho-renge-kyo, è in grado di ottenere la Buddità. E che «non c’è vera felicità per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-renge-kyo», come afferma la frase iniziale che contiene il tema e la conclusione dell’intero Gosho.
“Gli esseri umani” qui significa proprio tutti gli esseri viventi, senza distinzione di nazionalità, di sesso o condizione sociale.
Ma cosa significa “recitare”? Nella prima lezione sul Gosho Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza (BS, 119, 15-16) il presidente Ikeda spiega che vi sono due aspetti del Daimoku: il Daimoku della fede e il Daimoku della pratica. Il primo riguarda l’aspetto spirituale e consiste nella battaglia che ha luogo nel nostro cuore per contrastare la condizione interiore illusa. Senza questa lotta con se stessi, con i propri limiti, non potrà emergere la condizione vitale della Buddità.
Il secondo aspetto è il Daimoku della pratica, che riguarda l’azione specifica di recitare Nam-myoho-renge-kyo e di insegnarlo agli altri. Chi lotta costantemente per la propria felicità e per quella altrui sta sfidando l’oscurità fondamentale, e si troverà naturalmente a sviluppare uno stato vitale di felicità indistruttibile.
Ma di che tipo di “felicità” si tratta?
La felicità che Nichiren promette in questo Gosho viene espressa con gli ideogrammi yuraku, che stanno a significare “divertirsi e godere”. Naturalmente non si tratta di distrarsi, ma di sviluppare una condizione vitale totalmente libera dalle circostanze e da qualsiasi impedimento, uno stato vitale di completa soddisfazione nel quale si è capaci di godere della vita dal profondo del cuore, qualsiasi cosa accada, “felici e a proprio agio”, come recitiamo due volte al giorno nella pratica di Gongyo.
Questa è l’autentica felicità che si ottiene grazie al potere del Daimoku.
È la “gioia senza limiti che deriva dalla Legge”, spiega più avanti il Daishonin, jiju horaku: dove ji significa “se stesso” e ju “ricevere”, a indicare con chiarezza qualcosa che non si riceve dall’esterno. È una condizione vitale di cui siamo tutti naturalmente dotati, che scaturisce dalla profondità della nostra vita, e che sta a ognuno di noi tirare fuori. Fino a che punto “riceviamo” e “usiamo” la gioia immensa che deriva dalla Legge, dipende esclusivamente dalla nostra fede.
Ciò significa che la mia felicità non dipende dalla realizzazione di questo o quell’obiettivo, commenta Donatti: al contrario, sono già felice e pieno di gratitudine e, proprio per questo, realizzo. Allo stesso modo, la nostra sofferenza non dipende dagli altri: si tratta piuttosto di manifestare il coraggio di sfidare le proprie debolezze. Grazie a questa trasformazione del cuore la nostra vita si apre, e allora l’ambiente cambia.
Il contrario della gioia che deriva dalla Legge è la gioia che deriva dall’appagamento dei desideri. Si tratta di una felicità che non dura, perché appena soddisfatto un desiderio ne sorge subito un altro e poi un altro ancora, in un meccanismo perverso che non ha mai fine. Chi basa la propria vita sugli attaccamenti e sull’appagamento dei desideri è destinato a cadere preda dei tre veleni di Avidità, Collera e Stupidità, in un circolo vizioso che, come spiega il Daishonin, porta come conseguenza estrema alle epidemie, alla carestia e ai conflitti. Inutile dire che l’epoca attuale è caratterizzata proprio dalla ricerca di questo tipo di felicità effimera.
Rivoluzione umana significa stabilire una vita che assegna il valore più alto alla gioia che deriva dalla Legge. Questo cambiamento del nostro punto di vista conduce alla trasformazione del karma dell’intera umanità.
Poiché Nam-myoho-renge-kyo è inerente non soltanto alla nostra vita, ma all’universo intero, la nostra Buddità, risvegliandosi, agisce come una calamita che richiama la Buddità inerente a tutti i fenomeni. La gioia che deriva dalla Legge è tutt’uno con la comprensione di questo aspetto profondamente interconnesso della vita, del fatto che io non sono un’isola separata, e che ogni cosa ha una sua precisa ragione di essere proprio così com’è e là dove si trova. Essere consapevoli della peculiarità e insostituibilità propria e di ogni altro essere vivente è un altro aspetto della gioia derivante dalla Legge.
Il capitolo L’apparizione della torre preziosa del Sutra del Loto descrive l’emergere di una magnifica torre adorna di gioielli. Che questa torre fluttui tra terra e cielo, priva di ancoraggi, sta a indicare che comprendiamo la nostra vera identità solo quando sconfiggiamo l’attaccamento al “piccolo io”. Nam-myoho-renge-kyo è dentro di me, ma anche in tutti gli altri.
Inoltre, è indispensabile continuare: «Quando c’è la sofferenza illuminati rispetto a essa e quando c’è la gioia apriti alla gioia. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge?».
Shijo Kingo si era attirato le calunnie dei suoi colleghi per aver tentato di convertire il suo signore agli insegnamenti del Daishonin. Come in altre lettere, in un momento di estrema difficoltà il Daishonin esorta il suo discepolo dal carattere impulsivo a evitare azioni sconsiderate, a recitare Daimoku e valutare bene le cose alla luce della saggezza. Il brano «recita Nam-myoho-renge-kyo e bevi sakè solo a casa con tua moglie» non è certo un’istigazione al bere.
«Quando c’è la sofferenza illuminati rispetto a essa» significa che, poiché l’oscurità esiste, le sofferenze sono inevitabili. Non dobbiamo quindi arretrare, o sfuggire. Sfidiamo coraggiosamente le situazioni difficili basandoci sul Daimoku.
Altrettanto importante non rilassarsi nella gioia. Proprio quello è, infatti, il momento di approfondire la gratitudine e di sforzarsi ancora di più nel recitare. Certo è più facile fare appello alla fede nei momenti difficili. Tuttavia, dovremmo «considerare allo stesso modo sofferenza e gioia» e ricordarci che la sola cosa importante è continuare a recitare Nam-myoho-renge-kyo.
Più stabiliamo dentro la nostra vita lo stato vitale del Budda, più saremo capaci di vivere senza limiti e godere veramente della vita, ovunque siamo. È ciò che si intende con “felici e a proprio agio” e il Daimoku serve a questo scopo.
Come va a finire la storia? Shijo Kingo mise in pratica i consigli del suo maestro e vinse, ottenendo un feudo ancora più grande del precedente. Prima si diventa felici, e poi si realizza. Questa lettera è indirizzata a ognuno di noi.

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