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La preghiera in pratica - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:29

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    La preghiera in pratica

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    «Il modo in cui si prega nel Buddismo fa tutta la differenza. Che significa pregare come un devoto del Sutra del Loto? Il devoto o il praticante del Sutra del Loto dovrebbe curare in particolare tre aspetti. Non si può avere risposta se non si pratica per gli altri, se non si studia e se non si recita Daimoku al Gohonzon. Ognuno sa se sta facendo del proprio meglio o no da questi tre punti di vista. Se la pratica ha perso il suo potere di produrre benefici, è bene riflettere su questi tre punti e chiedersi: “Mi sto dando da fare al meglio delle mie possibilità nello studio, nella pratica per me stesso e nella pratica per gli altri?”. Per dare una svolta alla propria vita sarebbe meglio preoccuparsene», scriveva Greg Martin in Le regole del gioco (NR, 198, 10).
    In queste poche righe vengono riassunti alcuni aspetti fondamentali della pratica buddista: praticare per se stessi indica la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo (Daimoku) e la lettura del Sutra del Loto (Gongyo); praticare per gli altri è l’incoraggiamento nella fede e il condividere la pratica buddista con le altre persone.
    La preghiera nel Buddismo di Nichiren consiste nel recitare Daimoku e Gongyo davanti al Gohonzon. L’atto di pregare è un privilegio concesso solo agli esseri umani, è un momento intimo nel quale si esprimono i desideri e le speranze più forti. Per questo motivo è l’azione più nobile che possa esistere e merita di essere fatta in pieno rispetto e consapevolezza. La recitazione di Daimoku e la cerimonia di Gongyo scandiscono il ritmo delle nostre giornate. Sono le azioni quotidiane che elevano lo stato vitale rendendo le nostre menti più pure e capaci di affrontare la vita. È una pratica che, attraverso la fede nel Gohonzon, ci permette misticamente di creare una fortissima unione fra il microcosmo della nostra esistenza e la forza vitale dell’intero universo. Si recita Daimoku quando si vuole e quanto se ne vuole, mentre la cerimonia di Gongyo si fa al mattino e alla sera.
    Ha scritto Daisaku Ikeda in proposito: «Stabilire un’esistenza senza limiti e una vera libertà è possibile solo attraverso la pratica di Gongyo. È un atto di riforma, di emancipazione per mezzo del quale potete liberare la vostra creatività interiore. Tramite Gongyo potete scavare nella vostra vita per far sgorgare le sorgenti sotterranee della saggezza e della compassione, la volontà di condividere le sofferenze degli altri e l’ichinen per renderli felici» (Il Buddismo di Nichiren Daishonin, ed. Esperia, 219).
    Nel Gosho Sulle preghiere Nichiren Daishonin ha scritto: «Può accadere che uno miri alla terra e manchi il bersaglio, che qualcuno riesca a legare i cieli, che le maree cessino di fluire e rifluire o che il sole sorga a ovest, ma non accadrà mai che la preghiera di un devoto del Sutra del Loto rimanga senza risposta» (SND, 9, 182-183). Tutte le preghiere dunque ottengono una risposta, ma molte persone non riescono a sperimentarlo. Allora esiste un modo migliore di un altro per pregare?
    Nel Buddismo la preghiera occupa un posto fondamentalmente diverso dal tipo di preghiera trascendentale, quindi, se mentre preghiamo proviamo il senso di colpa, chiediamo perdono e aiuto, oppure deleghiamo il Gohonzon a intercedere per noi, la nostra preghiera non ha niente a che vedere con il Buddismo di Nichiren. La preghiera buddista è autodiretta, l’aiuto che si cerca è quello della natura di Budda che risiede dentro di noi. Poiché il Buddismo ha una visione ottimistica e profonda della vita, le nostre preghiere dovrebbero esprimere senso di responsabilità e apprezzamento.
    «Si dovrebbe pregare come se si volessero raccogliere i fiori di loto che crescono nello stagno a volte fangoso della vita. Si recita Daimoku al Gohonzon per aprire gli occhi e vedere quella fioritura. È molto difficile percepire ciò che si trova al proprio interno. Il Daishonin ha insegnato a pregare per poter aprire gli occhi e rendersi conto del tesoro che si possiede. Se si recita di fronte al Gohonzon e si cerca una forza che dal di fuori venga in aiuto e compia un miracolo, si sta cercando nel posto sbagliato. La natura di Budda si trova nel buio magazzino della propria vita e non è così facile trovarla. Si tende a cercarla nei posti dove è più comodo cercare, però all’interno della vita non ci sono solo le cause della sofferenza, ma anche la soluzione di tutti i problemi. Se si prega cercando all’esterno, le preghiere rimarranno senza risposta. Non succederà nulla. Il Buddismo non insegna che i desideri terreni portano a dei benefici, né che i benefici sono la stessa cosa dell’Illuminazione. Il Buddismo insegna che i desideri terreni portano all’Illuminazione» (Greg Martin, Le regole del gioco, NR, 198, 5).
    La preghiera richiede coraggio e diligenza. Lo stesso significato letterale di Gongyo racchiude la modalità dell’atto di pregare: gon vuol dire “sforzarsi con disciplina” e gyo “continuare con costanza”. La costanza, non va intesa come un obbligo o un comandamento; la pratica di Gongyo, semmai, è assimilabile a un esercizio quotidiano, un allenamento come quello di un atleta che desidera vincere una gara.
    Gli effetti della preghiera poi sono molteplici. Fondamentalmente si avverte una sensazione di benessere per il semplice fatto che la recitazione innalza lo stato vitale. Ma il potere della Legge mistica, che attiviamo con la fede nella preghiera, ci porta dei benefici visibili e invisibili. I primi appaiono in una forma chiara e riconoscibile, sono i risultati concreti. Quelli invisibili si accumulano nel tempo e fioriscono dentro di noi, anche quando le nostre preghiere sembrano non produrre alcun risultato visibile. Non dimentichiamo poi che virtù e azioni invisibili portano ricompense visibili (cfr. SND, 5, 126).
    Per cambiare basterebbe solo un attimo e l’azione di pregare è più semplice di quanto immaginiamo. Se solo risvegliamo la nostra fede come il primo giorno, con la mente e il cuore del principiante e recitiamo Nam-myoho-renge-kyo come se nessuno ci guardasse, allora «nessuna preghiera rimarrà senza risposta, nessuna colpa rimarrà senza perdono, ogni fortuna sarà concessa e ogni giustizia provata» (Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, Daisaku Ikeda, 166).

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    Pratica per sé

    L’atteggiamento nella preghiera

    Una persona decisa a risolvere i propri problemi mostrerà attenzione anche nel modo di pregare, nella postura e nella voce.
    «La voce compie il lavoro del Budda» (Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 109, 41) e riguardo a ciò Daisaku Ikeda spiega più volte che la voce è un aspetto della vita, è inseparabile dal cuore. Secondo il principio di non dualità di corpo e mente (shiki-shin funi), il cuore e la voce sono essenzialmente una cosa sola. È fondamentale, quindi, una voce decisa che rispecchi la direzione del proprio cuore, simile al ruggito di un leone, un ritmo incalzante e una pronuncia chiara e comprensibile.
    C’è chi dopo tanti anni di pratica buddista continua ancora a ricercare sincerità, forza e profondità nella preghiera, oltre ad aver cura dell’atteggiamento fisico. Stare seduti di fronte al Gohonzon come su una sdraio al mare, non aiuta a trovare la concentrazione giusta. Una postura corretta vuole la schiena dritta, le mani unite e lo sguardo dritto al Gohonzon. Niente spalle ricurve e dita rattrappite quindi e tanto meno chiacchiere o letture durante la recitazione.
    Mauro Murru – che pratica da ventidue anni – vede il Gohonzon come una finestra che si spalanca al mattino lasciando entrare il sole nella vita di ognuno. È inevitabile rispondergli con un sorriso e un inchino di profondo rispetto.
    Michele Garbato

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    «Non c’è felicità più grande per gli esseri umani che recitare Nam-myoho-renge-kyo»
    (Felicità in questo mondo, SND, 4, 157)

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    Pratica per sé

    Mettersi in gioco

    «Un brutto incidente, a letto per sei mesi e poi altri due mesi in sedia a rotelle, un complicato intervento chirurgico per salvare il braccio che rischiavo di perdere, i dolori fortissimi».
    Un periodo terribile per Galiana Lai di Villaputzu (Cagliari), venticinque anni d’età e sedici di pratica buddista. Un’esperienza che le ha permesso di mettersi in gioco, di far ripartire la sua vita anche in condizioni estreme.
    «Non avevo altro che il Daimoku per calmare i dolori e ho recitato con tutta la forza che avevo. È stato allora che ho imparato a dare valore a ogni singolo istante di vita e a non arrendermi per nessuna ragione al mondo. Ed eccomi qua, tutta intera».
    Rimettere in moto la propria vita richiede uno sforzo in prima persona. Ed è proprio nei momenti più bui che si sperimenta la forza della propria preghiera e con fede sincera si cercano delle risposte negli scritti di Nichiren Daishonin e nei discorsi di Ikeda. Lo sforzo maggiore è quello di osservare la nostra vita e prendere consapevolezza delle tendenze negative che non ci permettono di avanzare.
    Scrive Richard Causton: «Quando si recita Daimoku affiorano alla coscienza quelle tendenze karmiche che sono la causa della nostra sofferenza: a quel punto la chiave per diventare felici consiste nel decidere profondamente di cambiare queste tendenze» (DU, 51, 17). Una sfida che si può vincere solo richiamando la nostra Buddità innata, una forza che nessuna sofferenza o circostanza potrà mai piegare. Una forza davvero capace di “rimetterci in gioco”.
    M.G.

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    La pratica dell’offerta

    Offro, dunque cresco

    La pratica dell’offerta è un modo per creare valore ed è parte integrante della pratica buddista, come recitare Daimoku e condividere la propria fede con gli altri. Sicuramente è il mezzo più veloce per allentare le catene degli attaccamenti.
    Quando si parla di spirito dell’offerta, il pensiero corre immediatamente agli scritti di Nichiren: in quasi ogni Gosho, egli per prima cosa ringrazia il destinatario della missiva per i doni ricevuti.
    Un po’ di tempo fa, dalle colonne di questo giornale, il vice direttore generale Francesco Geracitano spiegava: «Nichiren dà all’offerta un nuovo significato: non è finalizzata al mantenimento del monaco, ma alla propagazione del Sutra del Loto. In questo senso, considerando che il Budda, il Sutra del Loto e il comune mortale sono la stessa cosa, il Daishonin può affermare che Abutsu-bo sta facendo offerte a se stesso. Al giorno d’oggi il movimento di kosen-rufu è diffuso in tutto il mondo grazie alla Soka Gakkai. È quindi del tutto naturale considerare il sostegno a un gruppo che svolge l’opera del Budda come un’offerta al Budda stesso» (NR, 358, 15).
    Benché si riferisse a una particolare offerta, lo zaimu, si può estendere il concetto a ogni genere d’offerta che alimenti il movimento di kosen-rufu. Da questa pratica non può che scaturire il beneficio, come spiega il presidente Ikeda: «Lo spirito dell’offerta accresce lo stato vitale delle persone che, in virtù di ciò, possono approfondire la propria fede. Questa è una sorta di equazione infallibile che aiuta a consolidare le basi della felicità» (NRU, 4, 85).
    Cristina Sereni

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    «Una spada sarà inutile nelle mani di qualcuno che non si sforza di lottare. La potente spada del Sutra del Loto deve essere brandita da un coraggioso nella fede. […] Raccogli tutta la tua fede e prega questo Gohonzon. Allora, che cosa non può essere realizzato?»
    (Risposta a Kyo’o, NR, 348,18)

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    Pratica per sé e per gli altri

    La riunione di discussione

    Può essere considerata una bella invenzione. Ogni due settimane ci nutriamo delle esperienze altrui, ritrovando o incrementando la forza e l’entusiasmo di vivere. Alle volte portiamo il nostro contributo, così come i nostri dubbi e le nostre perplessità, per cercare di risolverli. Lodandosi reciprocamente come tanti Bodhisattva Fukyo (Bodhisattva Mai Sprezzante), si percepisce che siamo uniti da un legame che va oltre il tempo e lo spazio. Si percepisce che non si è mai soli.
    Ma la riunione può anche essere noiosa. Ci può essere chi monopolizza la serata o può capitare di non sentirsi in una buona sintonia con il resto del gruppo. E finisce che si è più stanchi di quando siamo arrivati, non si sente di condividere l’atteggiamento degli altri e si può arrivare a pensare che forse è meglio praticare da soli.
    Il Buddismo di Nichiren Daishonin afferma invece che chiunque ha la possibilità di influenzare il proprio ambiente e che le relazioni con gli altri, all’interno del nostro gruppo in questo caso, possono essere un’importante occasione per la nostra vita. Quindi, sia che la nostra riunione appartenga al primo o al secondo caso, ricordiamo che il suo unico scopo è far sì che i partecipanti ne escano incoraggiati ad affrontare le tempeste dell’esistenza. Siamo gli unici che possono, attraverso le proprie lotte e vittorie, trasformare la riunione in un incontro fra Budda e nessun altro può farlo per noi.
    Carmen Innocenti

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    Pratica per gli altri

    La strada più rapida

    Parlare e condividere con gli altri il Buddismo di Nichiren è la via più veloce per risolvere i problemi e creare gioia nella nostra vita. Fare shakubuku, spendere una parola verso chi non ha avuto ancora la fortuna di incontrare la Legge, dovrebbe emergere dalle nostre vite come un atto semplice e naturale, una gioia urgente che chiede di venire fuori da dentro di noi, rivolta agli altri.
    Eppure talvolta queste parole non riusciamo a pronunciarle: per timidezza di fronte a familiari e amici che potrebbero deriderci e sminuirci o per semplice imbarazzo, non cogliendo quindi la Buddità della persona che abbiamo di fronte o magari solo perché siamo i primi a non credere nell’universalità della Legge fino in fondo. In questi momenti di difficoltà ricordiamoci quanto sia importante questa azione per la nostra felicità: se manca la voglia di condividere la Legge manca senz’altro la gioia, e la pratica sarà più lenta e pesante. Cerchiamo di iniziare da dove crediamo sia per noi più semplice, magari con un amico o con un collega e gettiamo il primo seme, consapevoli di porre contemporaneamente nella nostra vita e nella vita dell’altro una fondamentale causa positiva.
    Il Buddismo non si trasmette con campagne pubblicitarie eclatanti o attraverso un banale proselitismo, piuttosto si dimostra con l’esempio della propria rivoluzione umana. Ricordiamoci sempre l’universalità di Nam-myoho-renge-kyo, il diritto di tutti di far emergere la propria Buddità e di non limitare la forza del Daimoku con la nostra mente.
    L.G.

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    Disciplina, non formalità

    Intervista a
    Mattia Duni, responsabile nazionale della Divisione giovani uomini.

    Come fai a giudicare se stai praticando correttamente?
    Premettendo che praticare correttamente il Buddismo non è per niente scontato, ci sono alcuni indicatori che ritengo utili: la gioia nel farlo, avere uno stato vitale elevato, la voglia di fare tante azioni e soprattutto la mia pratica quotidiana di shakubuku, che per me rimane la parte della pratica corretta più ostica, ma allo stesso tempo più gioiosa e gratificante.

    Cosa fai per trasmettere il Buddismo agli altri “al meglio delle tue capacità”?
    Chiaramente non c’è una ricetta preconfezionata, per me è fondamentale prima di tutto recitare tanto Daimoku per “illuminare le mie capacità ” per potere arrivare al cuore delle persone. Il primo passo concreto è spiegare nel modo più chiaro possibile, poi però è necessario “fare insieme” per abbattere qualsiasi formalità, per togliere eventuali dubbi che può aver lasciato la spiegazione, e anche per dare in prima persona l’esempio giusto; infine bisogna lasciar fare agli altri in modo da offrire loro la possibilità di sfidarsi, sbagliare e migliorarsi. Penso che fra questi tre anelli di una catena – spiegare, fare insieme e lasciar fare – benché tutti importanti, quello centrale lo sia più degli altri. Infatti è proprio il fare insieme che ci permette di vedere in pratica ciò che abbiamo spiegato teoricamente o studiato; inoltre ci dà la possibilità di confrontarci continuamente con gli altri.

    In che modo la pratica per gli altri giova alla tua vita?
    Di preciso non saprei rispondere, ma sicuramente posso dire che quando ho iniziato a praticare la gioia più grande era la realizzazione dei miei obiettivi; oggi, invece, insegnare la pratica agli altri e vederli felici, ascoltare le esperienze di persone con cui abbiamo lottato e pregato insieme, mi regalano una gioia e una soddisfazione ben più profonda.

    Quanto incide nei risultati essere disciplinati nella pratica?
    Molto! Spesso c’è il rischio di confondere la parola disciplina con severità o peggio formalità, e credo che non ci sia niente di più sbagliato; l’insegnamento di Nichiren ci spinge a sperimentare concretamente la nostra fede ogni giorno e in ogni momento. Per quanto riguarda la mia esperienza di pratica cerco di vivere l’aspetto della disciplina come occasione di miglioramento e rafforzamento del mio carattere e della mia fede.

    Un consiglio per rinnovare la pratica dopo molti anni.
    Personalmente cerco di rinnovarla ogni mattina quando prego davanti al Gohonzon, per me quasi tutto parte da lì; inoltre consiglio vivamente di continuare ogni giorno ad approfondire la fede, la pratica e lo studio buddista senza mai sentirsi arrivati, mettendo da parte quell’arroganza che immancabilmente si presenta e facendo emergere lo spirito di ricerca che contraddistingue un Budda forte, coraggioso e sempre giovane.

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