Non sempre due più due fa quattro. Il Buddismo spiega un concetto semplice e importante: imparare ad apprezzare se stessi insegna anche a apprezzare gli altri. Queste nuove capacità portano un’ulteriore crescita: la somma delle singole individualità non è la somma algebrica ma qualcosa di molto più potente che si ottiene dalla condivisione di un ideale e dal sostegno reciproco. Questa è la forza dell’unità di itai doshin
«In generale, che i discepoli di Nichiren, preti e laici, recitino Nam-myoho-renge-kyo in itai doshin, senza alcuna distinzione fra di loro, uniti come i pesci e l’acqua, questo si chiama eredità della Legge fondamentale della vita. Se è così, anche il grande desiderio di kosen-rufu potrà realizzarsi» (NR, 344, 18). Nel Gosho Eredità della Legge fondamentale della vita Nichiren Daishonin indica essenziale per il raggiungimento dell’importante obiettivo di kosen-rufu la condizione di itai doshin fra i suoi discepoli. Ma qual è il significato dei quattro ideogrammi che compongono itai doshin? I indica diversità, molteplicità; tai vuol dire corpo; do significa stesso, uguale e, infine, shin, quello di shinjin (fede) per intendersi, cuore-mente-spirito, ovvero la parte spirituale. Tradotto: diversi corpi, stessa mente; persone differenti con un obiettivo comune. È il principio secondo il quale, nel Buddismo, dovremmo dare importanza a coltivare e sviluppare uno scopo collettivo nello stesso modo in cui ci si preoccupa di manifestare ciascuno la propria peculiare individualità.
Provare le altre combinazioni degli ideogrammi è quasi un gioco, ma è utile a comprendere meglio la forza di questo principio. Dopo itai doshin, in una seconda possibilità di combinazione degli ideogrammi, si può formare itai ishin. In questo caso si ha il concetto che predilige l’individualismo: diversi corpi e diverse menti, come tanti universi separati gli uni dagli altri.
In una terza variabile possiamo leggere dotai ishin, stessi corpi ma menti differenti. In questo caso si prospetta la ricerca di unità attraverso la forma, ad esempio una divisa o una bandiera sotto cui uniformarsi, ma questo unisce le persone solo in superficie, come ad esempio, i giocatori di una squadra che indossano la maglia, ma che non vanno d’accordo tra loro. Il risultato è la sconfitta.
Infine, la quarta e ultima possibilità è dotai doshin, stessi corpi e stesse menti, di cui l’esempio più eclatante sono i regimi totalitari che vorrebbero plasmare le persone oltre che esteriormente, anche interiormente.
Adesso il famoso brano dell’Eredità della Legge è più chiaro: Nichiren chiede ai discepoli di recitare Nam-myoho-renge-kyo con uno scopo comune, manifestando altresì ciascuno la propria specificità; è questo atteggiamento che permette la trasmissione della Legge fondamentale della vita fra i compagni di fede e il raggiungimento del grande desiderio di kosen-rufu.
Scoprire se stessi
Utilizzando una metafora della letteratura cinese tratta dalla Storia dei tre regni Nichiren paragona itai doshin, diversi corpi stessa mente, all’essere “uniti come i pesci e l’acqua”. Daisaku Ikeda spiega che ciò significa «apprezzarsi l’un l’altro in quanto individui insostituibili, cercando di mettere in evidenza la parte migliore di ciascuno. In questo modo, “molti nel corpo, uno nella mente” significa unirsi nella fede sostenendosi l’un l’altro. […] Stiamo parlando di una relazione in cui, attraverso l’aiuto e il sostegno reciproco, le persone riescono a rivelare il proprio straordinario potenziale» (MDG, 1, 142).
Ma spesso accade che proprio noi siamo i primi a non apprezzarsi e a non saper valorizzare la parte migliore di sé: vorremmo essere come qualcun altro oppure viviamo con insoddisfazione ciò che siamo. La chiave di volta è comprendere che noi, come siamo e come vorremmo essere, con le nostre aspirazioni e con la nostra storia, siamo unici. Insostituibili nella nostra propria unicità. Solo io posso essere quella figlia, madre, sorella, moglie, quel padre, figlio, marito, collega di lavoro, con le caratteristiche utili ad arricchire il contesto in cui vivo.
Il Buddismo spiega che ognuno ha dentro di sé la natura di Budda. Essa è la parte più bella, pulita e pura della propria vita. La fede che sviluppiamo praticando non ha altro scopo che farci manifestare ogni giorno, mattina e sera quella natura e ricordarci che se c’è qualcosa con cui fa rima Buddità, è sicuramente libertà: libertà dal karma, dagli errori del passato anche molto lontano, e libertà di decidere che da ora in poi potrò non ripetere gli errori e vivere le stesse sofferenze di ieri. Giorno dopo giorno lodiamo e ancora lodiamo noi stessi, risvegliando e facendo emergere la Buddità, non solo davanti al Gohonzon ma al lavoro, in casa, con i nostri cari. Ecco, se riconosciamo la nostra speciale individualità e la nostra condizione di Budda, siamo pronti per il passo successivo: riconoscerla anche negli altri.
Apprezzare gli altri
Il presidente della SGI, che ha dedicato al tema dell’unità un intero capitolo del commento agli scritti del Daishonin, sottolinea l’aspetto della decisione individuale per costruire questo tipo di rapporti: «In ogni gruppo di persone ci sarà sempre qualcuno con cui non si va d’accordo e inevitabilmente sorgeranno incompatibilità. Da un lato, provare questi sentimenti è del tutto umano e naturale e quindi non c’è da preoccuparsi. Al tempo stesso, però è stupido farsi sviare dalle simpatie o antipatie personali e trascurare per questo la propria pratica buddista. Fare così significa solo lasciare aperta una breccia alle funzioni demoniache, cadendo così in preda a queste forze negative. Per questo Nichiren ammonisce severamente i suoi seguaci dal parlare male gli uni degli altri, dicendo per esempio: “Per quanto possa non piacerti, devi stringere rapporti amichevoli con loro” (SND, 4, 175); “Anche se i tuoi fratelli sono in parte colpevoli, devi fare finta di nulla” (GZ, 1176); “Devi mantenere buoni rapporti con gli altri credenti senza vedere, sentire o rilevare ciò che può dispiacerti” (SND, 6, 177). Nel Gosho Le quattordici offese si trovano anche alcune indicazioni molto severe riguardo all’offendere i propri compagni di fede. […] Esser mossi dallo stesso ideale e discutere insieme apertamente è fondamentale. In qualsiasi situazione il dialogo è uno sforzo positivo, che crea solidarietà e costruisce unità. Rifiutare gli altri provoca solo ripercussioni negative, invita alla divisione e conduce alla distruzione. Il punto è incontrarsi e parlare. È normale che a volte si abbiano punti di vista diversi, ma il dialogo fa sorgere fiducia, anche tra coloro che non hanno le stesse idee. Anche nella società la comunicazione è il fondamento per la pace, mentre il rifiuto è la strada per la guerra» (MDG, 1, 154-155).
Come ogni viaggio, anche quello che porta all’unità comincia con qualche piccolo, timido passo. Non fermarsi alle impressioni superficiali e ai giudizi reciproci, cercare comunque le qualità altrui, diventano un allenamento e questo esercizio a lodare la vita può trasformarsi in un’abitudine naturale nelle relazioni interpersonali. Questi sono alcuni piccoli passi che ognuno di noi, singolarmente, può compiere ogni giorno.
L’obiettivo comune
È bello e incoraggiante sapere che in gran parte del globo ci sono persone che come noi recitano Nam-myoho-renge-kyo e coltivano nel cuore il sogno di un mondo più felice e più giusto, dove ogni persona possa realmente esprimere il meglio di sé. Nel principio di itai doshin, come si è visto, sono ugualmente fondamentali i concetti dello sviluppo delle qualità individuali e della condivisione di un obiettivo comune.
Il primo risultato che si ottiene all’interno di un gruppo è che ognuno, con la propria diversità, può contribuire in modo unico e speciale allo spirito e agli scopi del gruppo di appartenenza. Chi sta compiendo la propria rivoluzione umana incoraggia gli altri con un effetto a catena, trasmettendo coraggio e speranza e infondendo fiducia. Quando apriamo la nostra vita agli altri sentiamo come un vento gentile, quasi una brezza marina, che spazza via dubbio e pesantezza e ci riempie di gioia. Non siamo soli. Anche il gruppo si rivitalizza manifestando una forza che non è la semplice moltiplicazione delle singole energie, ma molto di più. Proprio come scrive Nichiren: «Perfino una sola persona, se ha scopi contrastanti, finirà sicuramente per fallire. Ma cento o mille persone possono senza dubbio realizzare il loro scopo se hanno lo stesso spirito. Benché numerosi, i giapponesi difficilmente realizzeranno qualunque cosa, poiché sono divisi nello spirito. Al contrario, io credo che, sebbene Nichiren e i suoi discepoli siano pochi di numero, poiché agiscono in itai doshin, realizzeranno la loro grande missione di propagare il Sutra del Loto» (Itai doshin, SND, 4, 268).
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La Testimonianza
Un punto di vista collettivo
Riceviamo e pubblichiamo questo contributo di Angelo Ferrara, che sta cercando di applicare il concetto buddista di unità nel mondo dello sport.
La ricerca dell’unità può richiedere tempi lunghi affinché ognuno possa superare i propri limiti, correggere le tendenze negative, ma crea unità vera e dà grande gioia. L’isolamento può sembrare una condizione di tranquillità, ma non fa crescere. Dopo aver analizzato la situazione di partenza, il secondo passo è dialogare alla ricerca di un piano d’azione condiviso da tutti in cui si indicano scopi e modalità di comportamento: ognuno dovrebbe chiedersi se il suo punto di vista è realmente utile ai fini della realizzazione dell’obiettivo senza intestardirsi con idee che possono portare al fallimento. Se, ad esempio, al momento della verifica, l’evidenza dei fatti dimostra che le idee dei membri di un gruppo di lavoro non portano ai risultati sperati, questi devono accettare che si provi un’altra strada. La verifica non è una condanna delle proprie idee, ma soltanto un momento necessario per trovare la soluzione al problema.
Tre punti importanti da applicare:
- Imparare a dire le cose senza ferire gli altri che la pensano diversamente;
- Assumere una modalità di comportamento calorosa, leale e cooperativa, rispettando tutti i membri di un gruppo;
- Chi guida un gruppo deve valorizzare tutti e nei momenti difficili indicare la strada giusta, chi fa parte di un gruppo deve chiedersi se le sue azioni vanno in direzione dell’unità ed esser consapevole che in un sistema-gruppo le azioni negative creano una serie di effetti a catena danneggiando tutto il sistema.