Il desiderio di giustizia e uguaglianza per tutti gli esseri umani: dall’impegno politico alla parola del Budda nel percorso di una pianista con la musica nel cuore
Redazione: Quando e come ti sei avvicinata al Buddismo?
FAUSTA CIANTI: Il mio approdo al Buddismo, considerando anche l’età in cui è avvenuto, non è stata una folgorazione improvvisa, ma piuttosto l’ultima stazione di un percorso spirituale iniziato, potrei dire, fin dall’infanzia. La mia prima educazione, in famiglia, stava in bilico fra una componente cristiana tradizionale, ma senza alcun tratto di bigottismo, anzi molto “respirata”, umana e compassionevole, che faceva capo a mia madre, e un atteggiamento spirituale, ma laico, ispirato a princìpi umanitari di mio padre. La mia pratica religiosa cristiana non è mai stata particolarmente severa e costante, ma lo studio della musica, iniziato fin da bambina, e l’attività concertistica, se da un lato solleticava la mia ambizione e il desiderio di affermazione del mio io, dall’altra mi induceva a una riflessione sempre più profonda sulla bellezza gratificante del “darsi” attraverso il messaggio musicale. Per me, eseguire un brano al pianoforte significava trasmettere a chi mi ascoltava ciò che di più profondo si agitava nel mio essere: era un gesto, una dichiarazione entusiasmante, con cui si creava una sorta di comunità di affetti e di emozioni fra persone e personalità diversissime, grazie al linguaggio universale della musica. Io credo che questo sia stato, senza che me ne rendessi conto, il mio primo incontro con alcuni princìpi umanitari che avrei più tardi ritrovato nell’abbracciare la fede buddista.
Redazione: C’è una figura che ha avuto, a tuo sentire, un ruolo nel tuo avvicinamento al Buddismo?
FAUSTA: Nel mio cammino verso una diversa e più ampia forma di religiosità, è stato fondamentale anche l’atteggiamento di mio padre, massone convinto: per lui, non esisteva un Dio rivelato, da venerare in questa o quella chiesa, secondo riti consolidati, ma solo un essere superiore, un creatore dell’universo, che ogni uomo può riconoscere secondo i suoi personali princìpi. Ma ancora più forte, nella sua professione di fede, era la gioia di considerare tutti i nostri simili come fratelli di una grande famiglia, e il dovere di render loro aiuto in ogni momento, senza nulla pretendere in cambio, per un semplice atto d’amore. Ecco, forse, davanti ai miei occhi, quegli ideali apparivano “gestiti” in modo un po’ aristocratico e selettivo; e non riuscivo ad accettare che un essere superiore – se davvero esisteva – potesse permettere tutte le sofferenze della terra.
Redazione: Possiamo quindi dire che sei sempre stata alla ricerca di un mondo migliore?
FAUSTA: Essendo stata fin dalla gioventù alla ricerca di strumenti che aspirassero a dare agli uomini uguaglianza e giustizia, ho ritenuto più efficace impegnarmi, insieme alla professione musicale, anche nella vita politica attiva. Nutrivo grandi entusiasmi, tipici dell’età giovanile, speravo che ideali che promettevano considerazione e benessere materiale per i popoli e per ogni essere umano si potessero realizzare con una certa facilità, ma un po’ per volta mi sono accorta che proprio quegli alti ideali professati venivano troppo spesso a scontrarsi con l’egoismo e la sete di potere degli uomini, che li rendevano irrealizzabili. È stato in questo momento di crisi politica, e di personale sofferenza (una grave malattia), che ho incontrato il Gohonzon e la Soka Gakkai e, quando ho sentito per la prima volta parlare di rivoluzione umana in termini profondamente diversi da quelli del linguaggio politico, ho compreso che finalmente avevo trovato ciò che avevo cercato da sempre.
Redazione: Hai riscontrato differenze fra i tuoi ideali politici di allora e i princìpi della religione buddista?
FAUSTA: Cominciavo a capire per quale ragione anche le idee politiche che sembravano partire con grandi scopi umanitari finissero col procurare sempre (o quasi) sofferenze e disastri. Senza dubbio, in ognuno di noi esistono il bene e il male, sono connaturati alla natura umana, ma non basta inquadrarsi in schieramenti politici o sintonizzarsi con la voce di un capo, per quanto autorevole: è soltanto con un continuo autocontrollo individuale che si possono tenere a bada le forze negative, e far prevalere quella saggezza, quella forza spirituale che ci permettono di costruire un mondo migliore e di raggiungere l’Illuminazione.
Redazione: Qual è stata la tua sensazione quando hai ricevuto il Gohonzon?
FAUSTA: Quando, dopo un periodo piuttosto lungo di pratica, ho ricevuto il Gohonzon, ho provato una gioia infinita: era come se tutte le precedenti sofferenze della mia vita avessero trovato uno scopo e una conclusione. Il lutto, la malattia, le difficoltà del vivere quotidiano mi apparivano come un grande tesoro che accresceva il bagaglio della mia persona.
Redazione: La tua relazione con la sofferenza è cambiata in qualche modo? Come?
FAUSTA: L’esperienza della sofferenza non era più qualcosa di doloroso, ma una grande ricchezza che mi permetteva anche di comprendere gli altri, perché grazie al Gohonzon, avevo trovato il mezzo per aiutarli a trasformare le loro vite sfiduciate e angosciate in vite piene di speranza e di serenità. Guardavo i miei compagni, e una grande emozione mi prendeva al pensiero che eravamo tutti Bodhisattva della Terra dall’antico passato, e che ci trovavamo insieme per rinnovare la promessa solenne di propagare il Sutra del Loto. Sapevo che, decidendo di diffondere la Legge, si sarebbero presentati ostacoli e demoni di ogni sorta. In un primo periodo la maggiore difficoltà l’ho trovata nel riuscire a conciliare la mia vita di moglie e di pianista con l’attività religiosa, ma ho sempre cercato di non separare la mia vita quotidiana dal Buddismo e ciò mi ha sempre aiutato ad avere un’esistenza armoniosa e, credo, a sostenere gli altri nel ricercare nella loro stessa vita la risposta a tante domande.
Redazione: Il tuo ingresso nella comunità buddista è stato tutto “rose e fiori”?
FAUSTA: Pur in una fase di crescita e di maturazione nella fede, ogni giorno di più mi accorgevo di quanto fosse difficile stabilire rapporti umani chiari e rispettosi. Al momento in cui mi sono avvicinata all’ambiente della Soka Gakkai, immaginavo il mondo dei fedeli come un’oasi di pace, non rendendomi conto che la nostra associazione è invece una grande palestra nella quale ci si allena, ma non si conquista, purtroppo, immediatamente e per sempre, la compassione, il dialogo, la capacità di mettere da parte i propri pregiudizi e di riconoscere sempre e comunque la Buddità nell’altro. «Nutro per voi un profondo rispetto; non oserei mai trattarvi con disprezzo e arroganza. Perché? Perché voi tutti state praticando la via del bodhisattva e conseguirete certamente la Buddità» (SDL, 355). Queste sono parole del Bodhisattva Mai Sprezzante e questa è l’unica via da percorrere per compiere la nostra rivoluzione umana e di conseguenza portare la pace intorno a noi e nel paese.
Redazione: C’è un aspetto che, secondo te, va sempre ricordato nelle relazioni fra praticanti?
FAUSTA: Nella Soka Gakkai ha accesso ogni tipo di persona: uomini e donne provenienti dalle più varie culture, con caratteri molto differenti e, di conseguenza, con reazioni diverse anche di fronte ai princìpi della nostra dottrina. Quello che sto imparando, anche con grande sforzo, è a non lasciarmi mai prendere dal “pensiero astratto” di cui parla Daisaku Ikeda, presidente della SGI, nel libro Per il bene della pace, in cui spiega che ogni ideale che si distacchi dalla consapevolezza dell’altro rischia sempre di sfociare nell’autoritarismo.
Redazione: Hai mai vissuto difficoltà di relazioni umane nella Soka Gakkai?
FAUSTA: In un certo periodo mi è stato difficile accettare, e mi ha fatto molto soffrire, il ritrovare in alcune persone della nostra organizzazione le stesse tendenze all’autoritarismo e alla scarsa considerazione per gli altri che mi avevano tanto deluso nella vita politica, inducendomi gradualmente al raffreddamento e all’abbandono dell’impegno. Un sentimento di delusione e di amarezza profonda era nato in me. Mi chiedevo dove fossero i princìpi buddisti di compassione e di itai doshin che sono alla base della nostra fede. Certi meccanismi di questa organizzazione mi lasciavano davvero perplessa e insoddisfatta. Quel periodo è stato uno dei più duri della mia vita, ancor più difficile di quando sono stata operata per un tumore al seno.
Redazione: Cosa ti ha fatto continuare nella pratica?
FAUSTA: Nonostante vivessi uno stato di disagio e incertezza, non ho mai smesso di recitare Gongyo e Daimoku, studiare e fare attività per gli altri, cercando di capire che cosa stesse succedendo intorno a me. Mi tornava spesso in mente un brano della Nuova rivoluzione umana e di quando, una volta, il giovane Shin’ichi Yamamoto aveva detto a Toda che l’organizzazione così com’era non gli piaceva. E Toda gli aveva risposto che se così non gli andava bene lui stesso la doveva cambiare. Questo ricordo mi ha fatto capire che non era possibile né giusto sfuggire alla realtà e che qualunque trasformazione poteva dipendere esclusivamente dal mio impegno: «Se la mente degli uomini è impura anche la loro terra è impura, ma se la loro mente è pura, lo è anche la loro terra; non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente» (Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza, SND, 4, 5)
Redazione: Lo studio del Buddismo ti ha aiutata in qualche modo in quella fase?
FAUSTA: Mi sono impegnata a studiare ancor più profondamente il Gosho e gli scritti del presidente Ikeda. Nichiren Daishonin – riflettevo su quelle pagine – aveva affrontato le quattro persecuzioni con spirito indomito: «In mezzo al susseguirsi di enormi persecuzioni, lo spirito del Daishonin continuava a risplendere come il sole, e la sua condizione vitale era immensa e vasta come l’oceano. Anche se la superficie è agitata da onde furiose, nelle sue profondità l’oceano è sempre sereno. Non è possibile turbarlo. Il Daishonin ottenne questa condizione vitale avendo profonda fiducia nella verità che tutte le persone potevano raggiungere la Buddità, nutrendo il grande desiderio dell’Illuminazione per tutte le persone dell’Ultimo giorno, e manifestando il cuore del re leone, assolutamente indomito di fronte a qualsiasi funzione negativa» (MDG, I, 218).
Redazione: Qual è stato il tuo cambiamento interiore e gli effetti che ne sono conseguiti?
FAUSTA: Attraverso questo severo impegno, sono riuscita a capire che io per prima dovevo rafforzarmi e sviluppare compassione e desiderio di unità: così, il mio “rancore” si è trasformato gradualmente in volontà di pace, e tanti rapporti tesi con altri fedeli sono divenuti da ambo le parti desiderio di trasmettere il magnifico insegnamento di myoho a tante altre persone. So bene quale alto potenziale di risentimento e di inimicizia si stava accumulando dentro di me (non posso giudicare di quello che accadeva nell’animo degli altri fedeli). Oggi mi è chiaro che solo attraverso una faticosa riforma di me stessa è stato possibile trasformare relazioni compromesse, che sembravano irrecuperabili, in una nuova amicizia e nell’impegno a costruire insieme un’organizzazione armoniosa.
Redazione: Hai vissuto soltanto tu questo processo di cambiamento?
FAUSTA: No, ho potuto verificare anche in molti miei compagni di fede lo stesso processo attraverso cui sono passata io; per questa ragione credo che l’insegnamento del Sutra del Loto possa oggi sollevare da tante sofferenze questa società impazzita. Come pensare che Israele e la Palestina possano arrivare a un dialogo, i serbi e i kossovari dimenticare gli enormi lutti che si sono procurati reciprocamente, gli iracheni dimenticare i morti e le città distrutte, se non invocando e risvegliando in sé quella legge che ci unisce tutti e che trasforma la sofferenza in gioia?
Redazione: Che ruolo ha, secondo te, la propagazione del Buddismo nella società odierna?
FAUSTA: Il trattato Assicurare la pace al paese conclude una lunga discussione in merito alle deviazioni dottrinali di altre sette con queste parole: «Adesso bisogna prendere immediatamente delle misure contro i calunniatori e portare subito la pace, così che si possa vivere in tranquillità in questa esistenza, e assicurarci buona fortuna nella prossima. Ma non basta che soltanto io abbia fede nelle vostre parole, anche gli altri devono essere avvertiti dei loro errori» (SND, 1, 46). Ritengo che questo pensiero costituisca uno degli insegnamenti fondamentali per noi, discepoli di Nichiren Daishonin. Noi, che abbiamo avuto la fortuna di incontrare il Gohonzon, ci dobbiamo fortemente impegnare a farlo conoscere anche agli altri, nonostante le difficoltà che si possano incontrare, coscienti che per diffondere la Legge è necessario avere sempre presenti e utilizzare le cinque guide per la propagazione (l’insegnamento, la capacità delle persone, il tempo, il paese e l’ordine di propagazione). Come dire che non basta il solo apprendimento della dottrina, ma che ogni popolo, ogni cultura deve trovare i propri strumenti (i tempi, le persone) di propagazione del nostro messaggio.
Redazione: Che ruolo rivestono secondo te i tre presidenti della Soka Gakkai in questo contesto?
FAUSTA: In questa direzione, ci sono stati di guida molti maestri. Makiguchi, Toda e Ikeda hanno subìto persecuzioni, di fronte alle quali la loro fede e il loro coraggio non hanno mai vacillato. Mi sembra di vedere la fiera, nobile figura di Makiguchi che cammina eretto in mezzo ai poliziotti che lo conducono in prigione. Come mi riempie il cuore di tenerezza l’immagine di quell’uomo emaciato, Toda, che esce dal carcere con la testa rasata e un’umile vestaglia estiva, ancora sofferente, ma avendo nel cuore la determinazione che la giustizia doveva prendere il sopravvento su tanta violenza e follia: era giunto il momento di diffondere il Buddismo di Nichiren Daishonin. Così, mentre ricostruiva la sua attività personale, Toda ricominciò a incoraggiare i vecchi praticanti, rovinati e stremati dalla guerra, spiegando come il Gohonzon avrebbe potuto trasformare il veleno in medicina e aprire un mondo di speranza.
Redazione: C’è un aspetto del loro pensiero che ti risulta particolarmente vicino?
FAUSTA: Grazie al suo incoraggiamento il numero dei fedeli cominciò a crescere, e in loro sempre più prendeva forza la consapevolezza che solo attraverso una dottrina corretta si sarebbero potuti evitare altri conflitti e guerre. Invitandoli a trasmettere con forza e convinzione l’insegnamento del sutra a sempre più persone, Toda diceva: «La compassione non è un’austerità buddista. È qualcosa che si dovrebbe esprimere in maniera inconscia e naturale nelle proprie azioni e nelle funzioni del proprio cuore. Il Budda non conosce altra maniera di vivere che farlo con compassione. La “compassione” ha due componenti: dare gioia agli altri e alleviarne le sofferenze. Per un Budda, si tratta di azioni naturali e spontanee. Parlare, tendere una mano agli altri, sono tutti atti di compassione. Chi ottiene questa condizione vitale viene salutato come un Budda e gode del rispetto e della fiducia di tutti. La compassione è natura essenziale del Budda» (MDG, I, 129-130).
Redazione: In che modo tu e i tuoi compagni di fede diffondete il Buddismo?
FAUSTA: La Soka Gakkai non affida la sua diffusione agli strumenti della moderna pubblicità: giorno per giorno, uomini comuni si sono avvicinati ad altre persone, anche non praticanti, ne hanno preso a cuore le sofferenze come fossero proprie, risvegliandoli alla Legge eterna e infondendo in loro fiducia e coraggio. Così, da persona a persona, da cuore a cuore, scrive Nichiren: «Come dice il proverbio, la colomba si è trasformata in falco, il passero in mollusco! Come è gratificante! Vi siete trasformato stando a contatto con me e, come il rovo che cresce nel campo di canapa, avete imparato a stare diritto!». (Assicurare la pace al paese, SND, 1, 42).
Redazione: Trovi che sia il modo adeguato?
FAUSTA: Credo di poter confermare la validità di questa pratica attraverso numerose esperienze personali, nelle quali mi sono sforzata di tener sempre presenti i princìpi fondamentali del Daishonin. Mi riferisco, in particolare, alla mia attività di ministro di culto e alla serie innumerevole di guide che mi sono state richieste: uno degli strumenti più efficaci, a mio vedere, per rafforzare la fede nei credenti e per aprirsi (un dovere primario per me, responsabile) ai problemi di tutti coloro che stanno attraversando una crisi, non importa di quale genere.
Redazione: Ci puoi raccontare un tuo piccolo dubbio personale, e il modo in cui l’hai risolto?
FAUSTA: Spesso mi sono chiesta se la mia fede fosse abbastanza forte e luminosa per servire da guida a chi mi chiedeva consiglio, e ogni volta che mi dovevo confrontare con una persona portatrice di qualche infelicità, ho recitato a lungo Nam-myoho-renge-kyo, perché mi fosse di sostegno nel colloquio. E, con grande mio stupore, ho potuto verificare che lo spirito di compassione di cui mi ero “armata” per affrontare prove umanamente tanto impegnative, aveva sortito l’effetto: la mia compagna di fede usciva dall’incontro rasserenata e rafforzata nei princìpi del Buddismo. Forse, un breve momento di “Illuminazione” si era creato fra noi, aveva acceso in comuni esseri mortali come noi una scintilla di Buddità.
Redazione: Che prospettive vedi per la diffusione di questa filosofia?
FAUSTA: Questa disposizione ad ascoltare gli altri e a evitare ogni pregiudizio nei loro confronti ha fatto sì che anche nella mia vita privata e di lavoro si sia creato intorno a me un clima di armonia e di affetto. Sollecitate dalla serenità che mi viene dalla fede, molte donne e uomini hanno cominciato a praticare, abbandonando altre confessioni, o un diffuso agnosticismo, e a comprendere che il Buddismo è veramente una valida risposta alle eterne domande: chi siamo? dove andiamo? Ogni giorno vedo sempre più e più persone, desiderose di pace, che si avvicinano alla nostra organizzazione perché comprendono che è necessaria una nuova voce per cambiare questo mondo: la voce del Budda che spiega che un’esistenza migliore si può raggiungere soltanto attraverso l’autoriforma di ogni singolo individuo. Chi pratica la nostra fede deve avere il coraggio di lottare per la pace contro l’ingiustizia, spiegando i grandi princìpi buddisti, ma anche portando nella vita di ogni giorno la saggezza che scaturisce dal Gohonzon: parlando di dialogo quando gli altri chiedono la guerra, di eternità della vita quando si parla di morte, di compassione quando si prospetta la vendetta.