Tutto è iniziato una calda sera d’estate, quando il mio amico Matteo mi ha parlato di Nam-myoho-renge-kyo. A quel tempo non riuscivo a liberarmi del passato, da tre anni soffrivo per un rapporto sentimentale durato quindici anni e finito in malo modo. Il viso di Matteo quella sera era luminoso, le sue parole, la sua voce mi toccarono il cuore. Ho deciso di recitare subito Daimoku con lui in quella notte di luna piena sulla spiaggia di Sottomarina.
Dopo i primi minuti di recitazione ho avvertito una gioia profonda sgorgare dalla profondità della mia vita, qualcosa di molto potente che non avevo mai sperimentato prima. Mi sentivo così attivo e speranzoso che per tre giorni ho dormito poche ore, certo di aver trovato la fonte della gioia e della speranza. Così ho ricevuto subito tanti benefici e conferme. Sono riuscito anche a tirar fuori il coraggio necessario per mettere fine a un rapporto sentimentale insoddisfacente.
A Chioggia, intanto, altre persone si sono unite a me e Matteo, iniziando a praticare. Allora mi è stata affidata la responsabilità di gruppo. Non sapevamo che cosa era necessario fare come responsabili e non avevamo nemmeno il Gohonzon, ma sono stato incoraggiato ad accettare questa sfida per trasformare la mia vita e realizzare ogni sogno.
A quel tempo recitavo trenta minuti di Daimoku al giorno e quando è arrivata la prima grande difficoltà, un licenziamento senza un valido motivo, non mi sono abbattuto, com’era tipico del mio carattere, ma ho iniziato immediatamente a impegnarmi in un lavoro pesantissimo, mantenendo la forte decisione di fare il comandante di navi.
Continuavo a recitare Daimoku con questo obiettivo, lottavo, studiavo il Buddismo, partecipavo alle riunioni di discussione e lavoravo duramente.
Dopo due mesi ho ottenuto il posto da ufficiale di navigazione, guadagnando molto di più e con quindici giorni liberi e retribuiti ogni mese. Ero felicissimo. Non riuscivo a credere che tutto questo fosse capitato a me, che ci fossi io all’origine di questo beneficio, di questo cambiamento. Il Daimoku aveva lavorato così in profondità da regalarmi questa gioia.
Nel marzo 2001 ho deciso di ricevere il Gohonzon e dopo questa decisione gli aspetti della mia vita che potevano farmi indietreggiare, come la debolezza interiore e la sofferenza provocata dal ritorno della mia ex fidanzata, si sono manifestati. Ho continuato a lottare conservando nel cuore una frase di Gosho: «Per esempio, il viaggio da Kamakura a Kyoto dura dodici giorni: se viaggi per undici giorni e ti fermi quando ne manca solo uno, come potrai ammirare la luna sulla capitale?» (Lettera a Niike, SND, 4, 245). Così, il 16 dicembre 2001 ho ricevuto il Gohonzon, promettendo a me stesso che avrei fatto della mia vita un giardino meraviglioso e che avrei incoraggiato gli altri a fare lo stesso.
Con il lavoro nuovo e la responsabilità di gruppo la mia vita si stava espandendo, cresceva nella fede e nella nuova professione, incontravo difficoltà che sentivo davvero come grandi occasioni per trasformare il karma e proseguire nella mia rivoluzione umana.
Recitavo Daimoku, preparavo le riunioni, mi sfidavo a parlare a più persone riunite in gruppo, cosa per me difficilissima perché sono emotivo e arrossisco facilmente.
Approfondendo lo studio del Buddismo ho sentito molto forte il desiderio di iscrivermi nuovamente a scuola e diplomarmi, anche se avevo già trentaquattro anni. Razionalmente questo obiettivo mi sembrava irrealizzabile, ma ho agito nonostante “l’opposizione” della mia mente e sono riuscito così a superare l’esame di ammissione e ad accedere al quarto anno di scuola superiore. Alternavo una settimana di lavoro con doppi turni a una settimana di scuola in cui si concentrava il programma che gli altri avevano svolto in due settimane. Il tutto veniva sostenuto da un’ora di Daimoku al giorno. Stavo lottando con tutto il mio essere, sentivo una gioia immensa nel crescere e nell’apprendere. Il mio stato vitale era altissimo e mi ha portato a parlare di Buddismo a più persone, due delle quali hanno poi ricevuto il Gohonzon. Nell’estate del 2003 mi sono diplomato con il punteggio di 73, sufficiente per partecipare a qualsiasi concorso pubblico: mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Sono corso subito a casa di mia madre ad abbracciarla, piangendo dalla commozione: lei e mio padre mi avevano sostenuto sino in fondo in questa impresa. È stato un momento che non dimenticherò mai. Sulle ali del mondo di Estasi ho trascorso un’estate meravigliosa tra vacanze e progetti per il futuro, la mia vita si stava aprendo in ogni direzione.
Due anni dopo però, nel marzo del 2005, a mio padre è stata diagnosticata una neoplasia peritoneale. I medici avevano previsto per lui solo tre mesi di vita. Arrabbiato, attonito, ho cercato per giorni una risposta davanti al Gohonzon. Il dolore era fortissimo: non riuscivo ad accettare che a un buddista che si adopera per la pace nel mondo potesse succedere tutto questo. Il mio responsabile è venuto allora a incoraggiarmi, spiegandomi che la promessa di pace e sicurezza in questa vita si riferisce alla condizione vitale che possiamo sperimentare con il Daimoku, e non alla possibilità di vivere senza incontrare le sofferenze.
Così ho deciso di non avere paura della malattia di mio padre e di trasformare quel dolore in una fonte di crescita spirituale, sostenuto dalle parole di Nichiren: «Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone. Quale malattia può quindi essere un ostacolo?» (Risposta a Kyo’o, SND, 4, 148). Mio padre ha iniziato un primo ciclo di chemioterapia riuscendo a mantenere uno standard di vita normale: il Daimoku lo stava sostenendo nella sua battaglia. Praticavo per trasmettergli forza e mi dedicavo alla crescita del settore, incoraggiando i giovani uomini a vincere nelle loro vite. Come spiega Nichiren, la malattia stimola lo spirito di ricerca. Così sono cambiate tutte le mie priorità e per la prima volta ho sentito che, di fronte a difficoltà insuperabili razionalmente, si attiva una determinazione fortissima. In questo modo il dolore viene trasformato davanti al Gohonzon e diventa coraggio, forza, valore.
Mio padre, dopo un periodo di buona salute durato dieci mesi, è peggiorato gravemente prima di Natale, ma la recitazione di due ore di Daimoku ogni giorno ci ha regalato la sua presenza in famiglia per tutte le festività. Il 13 gennaio è stato ricoverato in ospedale dove, due mesi dopo e con me vicino come avevo desiderato, è deceduto. Al suo funerale aleggiava un’atmosfera di commozione e di profonda serenità. Anch’io ero commosso, ma estremamente calmo e forte dentro.
Ho sperimentato cosa significa vincere anche di fronte alla morte di un genitore, sentire la vita di tuo padre che se ne va, essendo comunque profondamente sereno e fiducioso che la nostra Buddità abbracci sia la vita che la morte.
Ringrazio le persone che in questi cinque anni mi sono state vicine e che mi hanno incoraggiato ad andare avanti in mezzo a mille difficoltà. Desidero esprimere una profonda gratitudine verso il mio maestro Daisaku Ikeda che attraverso i suoi insegnamenti mi incoraggia a lottare ogni giorno e a diventare una persona sempre migliore.
Prometto con tutto me stesso d’impegnarmi nei prossimi cinque anni a realizzare la presenza di tanti nuovi bodhisattva e a diventare un grande campione di umanità.
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