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I bodhisattva vivono danzando - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:15

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I bodhisattva vivono danzando

Praticare seriamente non significa essere “seriosi”, anzi la ricerca costante di vivere ogni momento della giornata con gioia e leggerezza è una prova di fede nella nostra natura di Budda

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Praticare seriamente non significa essere “seriosi”, anzi la ricerca costante di vivere ogni momento della giornata con gioia e leggerezza è una prova di fede nella nostra natura di Budda

«Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro» (Italo Calvino, Lezioni Americane, Milano, 1988, pag. 9).
Quante volte ci sentiamo prigionieri di quella pesantezza del vivere di cui parla Calvino e vorremmo possedere un bel paio di sandali alati per volare via come Perseo?
Ma qual è il modo per cambiare ottica e logica e ritrovare quella leggerezza nel cuore che ci libera dai piombi e ci riporta il sorriso?
«Vivere gioiosamente è importante. Dobbiamo indirizzare con ottimismo la nostra mente in una direzione positiva e aiutare gli altri a fare lo stesso. È necessario sviluppare uno stato vitale in cui proviamo gioia, qualsiasi cosa accada» (Giorno per giorno, Esperia). Così ci incoraggia Ikeda nella “guida del giorno” relativa al 5 novembre, uno dei 365 piccoli-grandi incoraggiamenti che ci regala per iniziare e vivere meglio la giornata, con più consapevolezza, con più gioia. E queste poche frasi parlano proprio di gioia, come elemento indispensabile dell’essere vivi, di gioia come sentire di base nei confronti di un’esistenza quotidiana che spesso tendiamo a vedere come una infinita e dolorosa austerità. E, per inciso, a volte ci viene ostinatamente di pensare che è giusto così, che la nostra vita, in barba a ciò che pazientemente spiega Nichiren Daishonin nel Gosho Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza (SND, 4, 4), “deve” essere una infinita e dolorosa austerità, che praticare significa “soffrire per espiare il proprio karma”, che la “prova” che stiamo praticando seriamente e dedicando la vita a kosen-rufu sta in tutta questa fatica che ci sobbarchiamo per vivere, trascinandoci come bestie da soma e spremendoci come limoni per fare “i bravi buddisti”.
Insomma, quante volte ci accade ancora di confondere l’impegno nella vita o, ancor peggio, la determinazione davanti al Gohonzon con la contrizione e la costrizione? Tranquilli, è uno stato d’animo che deriva dal nostro retaggio culturale e, attraverso la pratica buddista, possiamo, e forse dobbiamo, superare certi tipi di preconcetti che abbiamo nella pelle rispetto alla vita – come per esempio ritenere che fare qualcosa con serietà e con impegno sia di per sé sinonimo di doverlo fare con gravità e cupezza – per i quali soffriamo e che hanno poco a che fare con la felicità assoluta di cui parla Ikeda.
Nella lezione sul Gosho Felicità in questo mondo (Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, ed. Esperia, 161) Ikeda offre spunti concreti per imparare a sviluppare la gioia dentro di noi nonostante le avversità: «Sentirsi felici o infelici dipende solo da noi. Non è possibile provare autentica felicità se non cambiamo il nostro stato vitale; viceversa quando questo cambia tutto il nostro mondo si trasforma. Il mezzo per effettuare il cambiamento è la recitazione del Daimoku» (Ibidem, 163). Troppo spesso invece facciamo dipendere la nostra “felicità” o “infelicità” dal verificarsi o meno di qualche evento, dalle altre persone, dai nostri pregiudizi, in una parola, dal nostro karma. Il Buddismo definisce “oscurità fondamentale” questa tendenza a ricercare la gioia in qualcosa di esterno alla nostra vita e a far dipendere la felicità dalle circostanze contingenti, in definitiva la tendenza a dubitare di possedere quel potenziale interiore inesauribile di saggezza, di coraggio e di gioia che si chiama natura di Budda. E questa “oscurità fondamentale” dispone di un potente esercito di demoni, le tendenze negative interne alla vita, che cercano di ostacolarci quando ci impegniamo a credere nella nostra Buddità e in quella degli altri e a manifestarla concretamente. Questo esercito è bene armato e possiede tattiche e strategie sottili. Non si annuncia con squilli di tromba, ma si insinua suadente e convince la mente che la sua visione della realtà è l’unica, “quella vera”. E così facendo, anche con migliaia di ragionamenti apparentemente logici e incontrovertibili, la nostra oscurità fondamentale ci impedisce di fare emergere da dentro di noi la gioia di vivere, indipendentemente dalla situazione in cui ci troviamo.
Ma qual è il modo per far scaturire davvero questa “gioia di vivere”, senza che siano solo belle parole? Non sarebbe forse il caso, intanto, di chiedere a se stessi: ma io desidero davvero provare questa condizione vitale? In fondo, potremmo semplicemente aver bisogno di desiderarlo, esattamente come davanti al Gohonzon portiamo il desiderio di un lavoro migliore, di un amore più pieno e ogni altro desiderio.
I Budda e bodhisattva che si riuniscono insieme a Shakyamuni durante la Cerimonia nell’aria per confermare che porteranno avanti la propagazione del Sutra del Loto sono gioiosi e danzanti. In un brano del Sutra del Loto si legge che «là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio» (SDL, 16, 303).
Forse dobbiamo chiederci se, nel tempo della nostra pratica, c’è una zona del nostro cuore che crede che quella felicità e quell’agio siano lontani in un remoto futuro, ovvero dopo che il mio uomo mi avrà telefonato, il mio lavoro sarà cambiato, il mio vicinato pure, la suocera svampita rinsavisce…
Parlando e confrontandoci prima di scrivere queste pagine, abbiamo ripensato alla domanda rivolta dal direttore generale Tamotsu Nakajima alle persone che negli anni hanno collaborato alla rivista Duemilauno/Buddismo e Società e che di recente erano riunite a Roma per festeggiarne – con gioia giustappunto – i vent’anni di pubblicazione. Era una domanda cruciale: «Ma voi vi divertite?».
E io, Silvana, come un razzo, ho riattraversato la mia quotidianità, accorgendomi che la mia indole sarebbe quella di gioire, ma quando vengo sopraffatta da preoccupazioni e problemi vari non ho la prontezza di riconoscerli per quello che sono, cioè “demoni”, e quindi non mi rallegro affatto dell’occasione che mi si presenta per approfondire la mia fede e il mio legame con il Gohonzon. Altre volte, quando invece questa prontezza c’è, mi viene in mente e in aiuto la frase del Gosho I tre ostacoli e i quattro demoni: «In quel momento i tre ostacoli e i quattro demoni invariabilmente appariranno: il saggio si rallegrerà mentre lo stupido indietreggerà» (SND, 4, 128).
Preferisco essere saggia o stupida? È vero, è difficile essere “saggi”, soprattutto quando ti arrivano fatture da pagare e il conto in banca è in già in rosso, oppure quando l’uomo che ami esce dalla porta di casa e sparisce per sempre. Ma la capacità di reagire non facendosi annientare dall’oscurità fondamentale della vita è già di per sé vittoria. E questo vorrei serbarlo sempre nel cuore.
E poi, gioire significa anche alzarsi al mattino e provare gratitudine per ciò che siamo, per la giornata nuova che ci attende, con tutti i nostri nuovi propositi e obiettivi da rinnovare ogni giorno.
Con questo spirito i problemi non spariscono, ma il nostro io da piccolo si fa grande, la vita acquista un colore e una luce inaspettata e le difficoltà che incontriamo sul nostro percorso le vediamo davvero come una sfida per migliorarci.
Pur praticando da diverso tempo può accadere di avere chiari in mente alcuni concetti senza riuscire a renderli concreti. Ad esempio, affidarsi al Gohonzon è uno degli insegnamenti che solo recentemente sono riuscita ad afferrare e quando sento che l’oscurità è in arrivo come un’onda anomala pronta a travolgermi, provo gioia e leggerezza pensando che basta andare davanti al Gohonzon il più sinceramente possibile per sentire nuovamente la forza vitale scorrermi nelle vene e la vita aprirmi nuove prospettive. Allora ripenso a sensei che mi incoraggia dicendo: «Se in fondo al cuore, magari in un angolo nascosto, avete deciso che solo voi non riuscirete a essere felici, che solo voi non diventerete mai una persona capace, che solo i vostri problemi non si risolveranno, questo unico fattore mentale, questo ichinen, impedisce il sorgere del beneficio» (Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, ed. Esperia, 167). Tutto dipende da ciò che abbiamo in fondo al nostro cuore, alla nostra mente, il nostro “abile pittore”, come si legge nel Sutra Kegon (vedi L’apertura degli occhi, SND, 1, 78).
Ikeda dipinge a chiari tratti il quadro di una vita vissuta sulla base di una fede sincera nel Gohonzon: «Vivere felici e a proprio agio significa gustare e apprezzare il proprio lavoro e la propria famiglia, essere contenti di impegnarsi per aiutare gli altri attraverso le attività buddiste» (Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, pag. 163).
Possiamo riguardare questi tre aspetti della nostra vita e chiederci se li stiamo vivendo con felicità e ci sentiamo a nostro agio; laddove agio, vale la pena ricordarlo, non significa assenza di problemi e difficoltà, bensì il superare gli ostacoli con un sorriso che nasce dal profondo. In fin dei conti «una vita gioiosa è il desiderio fondamentale dell’uomo, la sua massima aspirazione», come afferma Ikeda, che prosegue citando un brano dalla Raccolta degli insegnamenti orali: «Nichiren Daishonin espone il modo in cui possiamo vivere una vita di gioia. Egli dice che recitare Nam-myoho-renge-kyo al Gohonzon equivale di per sé a vivere una vita di gioia suprema» e «in base al principio secondo cui i desideri terreni sono Illuminazione, possiamo trasformare le nostre sofferenze e i nostri dolori in cause di felicità e assicurarci una vita veramente intensa e gioiosa mediante la fede» (Buddismo oggi, Esperia, 1992, pag. 27).

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