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Prepararsi a ricominciare - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:18

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Prepararsi a ricominciare

Fra i tre ostacoli e i quattro demoni, la morte è il più potente e temuto. Per affrontare l’ultimo istante con gioia, manifestando la condizione vitale della Buddità, occorre esercitarsi a superare ogni ostacolo in ogni momento della vita perché, come spiega Ikeda, potremo cambiare il nostro futuro solo cambiando il nostro presente

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Fra i tre ostacoli e i quattro demoni, la morte è il più potente e temuto. Per affrontare l’ultimo istante con gioia, manifestando la condizione vitale della Buddità, occorre esercitarsi a superare ogni ostacolo in ogni momento della vita perché, come spiega Ikeda, potremo cambiare il nostro futuro solo cambiando il nostro presente

L’ultimo istante di vita non è un argomento cui si pensi con piacere. Tuttavia il problema della morte è la fonte fondamentale della sofferenza umana e negli ultimi anni Daisaku Ikeda ci sta offrendo l’opportunità di riflettere a fondo su questo tema attraverso le lezioni su L’eredità della Legge fondamentale della vita.
Quando ho assistito alla spiegazione sull’ultimo istante di vita tenuta a Trets lo scorso anno da Katsuji Saito, responsabile del Dipartimento di studio della SGI, che riprendeva le lezioni di Daisaku Ikeda, mi sono resa conto di avere avuto, fino a quel momento, una visione molto personale dell’argomento.
L’ultimo istante di vita rappresentava per me un momento di bilancio, una sorta di riepilogo di pensieri, parole e azioni che avrebbe poi determinato la mia futura destinazione in uno dei dieci mondi. Si trattava di un bilancio legato al “curriculum vitae”, una sorta di valutazione di fatti e momenti già accaduti, con dosi di dolore proporzionali ai rimpianti, in una visione esclusivamente retrospettiva. L’unica incognita era rappresentata dal fatto che il bilancio poteva essere richiesto in qualsiasi momento, senza alcun preavviso. Era come se la consegna della pagella scolastica potesse avere luogo in un momento qualsiasi dell’anno: questi sono i risultati, non c’è più tempo. Senza rendermene conto, il momento della morte rappresentava per me il passaggio fra due stati completamente separati, quello di vita e quello di morte. Preparare un buon “curriculum vitae” mi avrebbe consentito così di avere accesso al nuovo stato in una condizione elevata.
Katsuji Saito ha descritto invece l’ultimo istante di vita come un momento di lotta, nel quale il futuro non è determinato da ciò che si è fatto, ma dalla condizione vitale che si è in grado di esprimere in quello stesso istante. Tutta la vita, le esperienze, le vittorie e le sconfitte, sono presenti nell’ultimo istante, ma nella forma di condizione vitale e non di resoconto. Inoltre è necessario, nell’ultimo istante di vita, sconfiggere il demone della morte con una mente ferma e salda. La concezione “passiva” del momento della morte che avevo sempre nutrito è stata così completamente smantellata, con vivo disappunto da parte mia, che confidavo in un finale riposante.
L’esempio più chiaro di uno stato d’animo difficile da descrivere, è rappresentato dal comportamento di Nichiren Daishonin a Tatsunokuchi, nell’istante precedente la sua decapitazione. Nichiren sta affrontando il momento dell’esecuzione e si rivolge a Shijo Kingo, che lo accompagna in lacrime disposto a morire con lui, con le parole: «Tu non capisci! Quale gioia potrebbe essere maggiore? Non ricordi ciò che hai promesso?» (Le azioni del devoto del Sutra del Loto, RSND, 1, 682.)
In questo episodio, la stupefacente condizione vitale espressa da Nichiren rivela una consapevolezza totale, completa e “operativa” della continuità fra vita e morte. Per Nichiren la continuità dell’esistenza lungo il ciclo di vita e morte è una certezza, dunque l’imminenza della morte non lo spaventa, anzi rappresenta un motivo di gioia dato che morirà per propagare il Sutra del Loto. Come scriverà qualche anno dopo a Nanjo Tokimitsu: «Poiché la morte è la stessa in entrambi i casi, dovresti essere disposto a offrire la tua vita per il Sutra del Loto. Pensa a questa offerta come a una goccia di rugiada che si unisce di nuovo al grande mare, o come a un granello di polvere che ritorna alla terra» (La Porta del Drago, RSND, 1, 891).
La morte rappresenta per Nichiren un sereno passaggio all’interno del flusso universale della vita e, come tale, la questione cruciale non è vivere o morire, ma a che cosa si dedica l’esistenza. D’altronde può esprimersi in questi termini proprio perché ha dedicato ogni attimo della sua vita alla propagazione del Sutra del Loto. Nichiren ha scritto trattati e lettere piene di speranza e di coraggio in condizioni spaventose, preoccupandosi di trasmettere la sua stessa convinzione ai propri discepoli; ha convertito tante persone mentre era in esilio, in una situazione di precarietà e instabilità perenne. Il Daishonin esprime una condizione vitale di assoluta libertà e di profonda gioia a prescindere dalle circostanze e la comunica a chi entra in relazione con lui con una forza tale da riuscire a incoraggiare i propri discepoli e a continuare l’opera di propagazione della Legge.
La sua mente è ferma e corretta al momento della morte perché così è stata nei momenti cruciali della vita. Scrive infatti a Sairen-bo, che si era convertito durante l’esilio di Nichiren a Sado: «Sii fermamente deciso a risvegliare il grande potere della fede e recita Nam-myoho-renge-kyo con la preghiera che la tua fede continui a essere ferma e corretta anche nel momento della morte» (L’eredità della Legge fondamentale della vita, RSND,1, 191). In questa frase Nichiren loda implicitamente Sairen-bo, scrivendo che la sua fede deve continuare a essere così com’è. Tuttavia lo esorta a preparare con cura quel momento senza dare per scontato che, poiché ha praticato correttamente, potrà sconfiggere il più temibile degli impedimenti, quello rappresentato dalla morte.
Nichiren evidenzia anche il legame esistente fra l’intensità della preghiera nel presente e la necessità di perseverare nella fede fino all’ultimo istante di vita. Su tale aspetto Daisaku Ikeda precisa: «Coloro che nella vita evitano di confrontarsi con i tre ostacoli e i quattro demoni non saranno assolutamente in grado di sconfiggere l’impedimento della morte, il più temuto fra tutti gli ostacoli» (L’eredità della Legge fondamentale della vita, Milano, Esperia, 2008, pag. 76). Il messaggio è chiarissimo: occorre sconfiggere ogni ostacolo che si presenta nel corso della vita per poter affrontare con gioia anche l’istante della morte.
Quando si soffre, occorre allora cercare con ogni risorsa di sciogliere la sofferenza nel presente, senza rimandare, posticipare, diluire e spalmare nel futuro il momento risolutivo. Ogni frase di Nichiren deve essere verificata fino in fondo nel vivo della sofferenza, per farla diventare vera nel momento presente. Quando si è immersi nel dolore e nelle difficoltà, occorre attingere davanti al Gohonzon al potere della Buddità e vincere ogni volta. Se non si lotta in ogni attimo per affermare la Buddità, si scivola in una pratica in cui i problemi si risolvono per lenta erosione e i benefici si guadagnano per lento accumulo, intanto si trascorre la vita pensando che la felicità verrà domani. In questo modo al presente sono sottratte risorse ed energie, perché si è già stabilito che essere felici adesso non è possibile. Si nega il valore del presente, delle persone che si hanno intorno, in nome di una gioia futura o passata. Ma Nichiren ha spiegato chiaramente che Nam-myoho-renge-kyo permette di essere ora, nell’istante presente, grati e felici, qualunque cosa accada. Se questa promessa non è vera adesso, perché dovrebbe diventarlo in futuro?
Tutte le decisioni importanti sono fissate in un attimo, poi diventano un cambiamento visibile attraverso la perseveranza. La fede assume la forma di quel pensiero tenace che si affaccia nei momenti più difficili, quando si tende a negare ogni possibile soluzione: «Tanto tornerai sempre davanti al Gohonzon a combattere». Tuttavia il combattimento non può essere dilazionato in comode rate, ma va affrontato in ogni attimo perché, come ha precisato Saito, la Buddità e l’oscurità fondamentale non possono coesistere, così come non possono essere presenti contemporaneamente il sole e le tenebre. Nei momenti in cui si pensa al presente come a una fase di purgatorio, di preparazione alla futura felicità, si è già rinunciato a contrastare l’oscurità.
Prepararsi ad affrontare l’ultimo istante di vita con una mente ferma e salda significa in fondo mettere la massima intensità, attribuire il massimo valore a ogni momento. Scrive Daisaku Ikeda: «L’essenza della visione buddista della causalità consiste nel cambiare il nostro presente. Il Daishonin esprime un’incondizionata fiducia nella capacità di trasformare qualunque karma del passato e una speranza illimitata nella certezza di godere di immensa felicità nelle vite future, e tutto questo può essere realizzato come risultato delle azioni che compiamo nel presente per amore della Legge. Il Buddismo di Nichiren ci permette di stabilire un io solido nel presente così che possiamo trasformare le afflizioni e la miseria che abbiamo vissuto nel passato in una inesauribile fonte di speranza per il futuro. Il cuore dell’insegnamento del Daishonin consiste nel fatto che, indipendentemente dalle difficoltà che possiamo affrontare, dovremmo sfidarci seriamente nel presente con tenace ottimismo e con la convinzione che noi possiamo cambiare il futuro» (Ibidem, pag. 85).
Una riflessione seria e personale sull’ultimo istante di vita rappresenta uno stimolo importante per approfondire la fede e vivere con spirito sempre più gioioso. Il Buddismo offre la possibilità di attivare una condizione vitale capace di sconfiggere anche la paura della morte. Anzi, come afferma Daisaku Ikeda: «Non esiste alcuna differenza o distinzione fra noi, il Budda e la Legge, e dubitare minimamente di ciò è una manifestazione dell’illusione che sorge dall’ignoranza innata della verità ultima della vita. Soltanto quando ci rendiamo conto che siamo entità che attraversano nascita e morte nel regno della Buddità si può dire che stiamo praticando veramente il Buddismo di Nichiren» (Ibidem, pag. 64).

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L’Intervista / Prendere la paura per mano

Accompagnare chi ha una malattia terminale e i membri della sua famiglia nell’ultimo viaggio della vita è la professione di Anna Ercoli, che racconta come la pratica buddista la sostenga ad affrontare ogni giorno questa delicata esperienza.

Come definiresti la tua professione?

Mi occupo di formazione e sviluppo delle risorse umane. Avendo una formazione umanistica formo gli operatori sanitari, medici e infermieri ad acquisire quelle competenze professionali per gestire non solo i pazienti terminali, ma anche il carico emotivo delle famiglie che vedono andare via, giorno dopo giorno, le persone a loro care. In altri casi, invece, sono io stessa che accolgo, accompagno sia le famiglie che le persone malate che si avviano verso il processo del morire.

Quale stato d’animo prevale generalmente di fronte alla morte?

Il sentimento dominante, di fronte al pensiero della morte, è la paura. Per tutta la vita si impiegano energie e risorse per migliorare lo status sociale, professionale, familiare ed economico. Arriva poi una malattia importante e si comprende che bisogna lasciare il corpo. A questo punto si deve affrontare il processo di disinvestimento a tutti questi attaccamenti. Tutto ciò è spesso triste e doloroso fin tanto che non ci si ricollega profondamente alla parte più profonda di noi stessi, la nostra essenza. Molti sostengono che la morte ideale sia quella rapida. In realtà questo non è vero. Se hai una malattia, ci si può preparare a elevare il livello di consapevolezza per attraversare in modo sereno l’esperienza della morte. Trattamenti come la chemioterapia o la radioterapia, hanno il potere di risvegliare le parti ombre dentro di noi, si attivano paure e angosce e si entra in contatto con quei mostri interiori ancora non risolti. Oggi, dal cancro, si ha più possibilità di guarire e solitamente chi ci riesce ringrazia questa malattia che gli ha permesso di comprendere il vero valore della vita e di tutto quello che le ruota intorno.

Che cosa intendi per parte ombra?

Esiste in ognuno di noi una parte luce e una parte ombra dato che viviamo nel mondo della dualità. Di conseguenza quando mi trovo davanti una persona che deve lasciare il corpo, cerco di entrare in relazione con la sua parte luce. Non identifico la persona con la malattia, ma la mia attenzione è rivolta in modo particolare all’ascolto attento e profondo delle sue parole, percependo le sue emozioni, comprendendo le sue convinzioni e rimandando risposte che nutrono quella parte luminosa della persona che continuerà a vivere. Recitare Daimoku mi consente di “tenere alta la frequenza”, di polarizzare la parte “luce” così che la persona cominci a lasciare emozioni come paura, tristezza malinconia per acquisire, a poco a poco, sentimenti di serenità e accettazione, entrando in modo consapevole nel movimento eterno della vita. Con lo stato vitale alto, grazie alla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo, si può comprendere, attraverso l’ampliamento di coscienza, che vita e morte sono funzioni di un’unica mente. Il Buddismo spiega che esiste un periodo di latenza, dopo la morte, nel quale si vive, fino a che non si manifesta l’opportunità di fare un’altra esperienza.

Come partecipi a questo passaggio?

Quando le persone accolgono la morte con profonda accettazione e sono andate oltre l’attaccamento e le paure, si avverte la presenza di qualcosa di più grande, che è l’essenza della vita stessa. Davanti a questa presenza di forte intensità ringrazio interiormente tutte queste persone che mi permettono di partecipare a un grande mistero, come quello della nascita. Esiste l’ostetrica per chi nasce, io mi ritengo, insieme ad altri operatori, un’ostetrica per chi lascia questa vita.

Come aiuti le persone che affrontano questo passaggio?

Li ascolto in modo empatico accogliendo le scorie emotive che appesantiscono il loro cuore. Prima di lasciare il corpo è importante scaricare le zavorre del cuore, renderlo leggero come una piuma affinché ci sia qualità nel morire. Il mio aiuto è efficace se l’altro vuole essere aiutato, altrimenti occorre essere umili e rispettare la sua decisione. Inoltre cerco di far sviluppare una comunicazione autentica tra familiari e pazienti in modo che si possano dire tutto quello che sentono prima di lasciarsi reciprocamente. Spesse volte, in questi casi, si respira tanto amore e la morte è vissuta come una partenza gioiosa con la certezza di ritrovarsi insieme.

Che ruolo svolge la pratica del Buddismo nella tua professione?

Sentendomi un testimone consapevole di un grande evento legato alla vita, la pratica, la fede e lo studio del Buddismo mi sostengono in questa professione. Inoltre hanno dato un senso profondo a quello che faccio, o quello che accade dentro e attorno a me, sviluppando un atteggiamento di umiltà e senza giudizio di fronte alle diverse esperienze complesse di cui sono testimone.

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