Rita Svandrlik, in occasione del premio Soka Education Award ricevuto con Raimonda Ugolini, ripercorre in questa intervista i suoi anni di pratica buddista e di docenza universitaria
Ventidue anni di pratica, ventidue anni di attività costante, trascorsi con l’obiettivo di attuare la propria rivoluzione umana ispirandosi alla vita e alla strada percorsa ogni giorno da sensei. Rita Svandrlik, triestina di nascita e austriaca da parte di madre, nel mese di luglio ha ricevuto il Soka Education Award: «Un riconoscimento – dice – che mi spinge a impegnarmi ancora di più nel mio lavoro in un momento in cui, vista la situazione drammatica dell’università italiana, avrei avuto la tentazione di mettermi da parte».
Germanista dell’Università di Firenze, Rita Svandrlik ha studiato in particolare la letteratura austriaca, la costruzione mitica del femminile nella letteratura tedesca e ha dedicato numerosi saggi a Ingeborg Bachmann e Elfriede Jelinek, quest’ultima vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 2004. Per anni è stata impegnata nell’attività del gruppo educatori e ora, fresca del riconoscimento da poco ottenuto, lancia un appello ai compagni di fede che insegnano all’università: «Diamo vigore alle attività del gruppo educatori-universitari. Da parte mia, ho la volontà di realizzare fino in fondo il desiderio del mio maestro».
Che cosa ha voluto dire per te vivere la tua rivoluzione umana?
RITA SVANDRLIK: La mia vita è cambiata giorno dopo giorno, grazie alla pratica buddista, che per me ha voluto dire e significa ancora, lotta contro i miei limiti, trasformazione delle mie sofferenze, cambiamenti interiori molto profondi che si rispecchiano nell’ambiente e nel mio rapporto con esso. Ha voluto dire anche acquisire una maggiore coscienza sociale e le forze e le energie per essere una persona consapevole all’interno di una comunità: mi sono sentita una persona con il desiderio e la capacità di sostenere la vita di tutti quelli che mi circondano. Nello stesso tempo, attraverso questa pratica ho cominciato a volermi davvero bene. Dopo qualche anno ho avuto la sensazione di essere di nuovo quella ragazzina piena di ideali che ero stata e di avere finalmente l’energia e la forza per lottare per questi ideali, per esempio le mie convinzioni femministe, intese come attenzione ai diritti di tutti gli esseri viventi. La cosa più bella, nella mia rivoluzione umana, sono i cambiamenti interiori, il rendermi conto del modo diverso che ho di interagire con le persone. La consapevolezza e la profondità dell’interrelazione con gli altri sono state una grande scoperta e così ho approfondito la teoria dell’educazione creativa di Makiguchi.
Il fatto di aver dedicato i tuoi studi alla letteratura femminile e quindi al mondo interiore, se così possiamo dire, delle donne, ti ha aiutato in qualche modo a capire meglio le compagne di fede nell’attività?
RITA: Ho sempre fatto molto volentieri attività nella Divisione donne e devo dire che uno sguardo al femminile mi ha aiutato a comprendere da dove viene la mancanza di autostima e fiducia in se stesse di molte compagne di fede. Non è un dato individuale ma una situazione legata a secoli di storia che abbiamo alle spalle. Ma riconoscere la Buddità inerente alla nostra vita aiuta a superare qualsiasi ostacolo.
Il presidente Ikeda dice: «Il lavoro è il luogo in cui approfondire e mettere in pratica la fede». Quando hai sentito che questo incoraggiamento ti apparteneva?
RITA: Quando ho cominciato a trasmettere gioia e positività, sostenendo le potenzialità positive di ognuno, dai colleghi agli studenti; quando mi sono accorta che alle riunioni ci andavo e partecipavo con lo spirito di essere a una riunione di discussione; quando ho incominciato a non sentirmi più in ansia e a non lasciarmi più coinvolgere troppo nella competitività che caratterizza molto l’ambiente accademico. Inoltre ho incoraggiato ogni studente, cercando di fargli sentire che poteva tirar fuori le proprie potenzialità e aiutandolo a scoprire, autonomamente, la bellezza e il valore di un testo letterario.
Qual è stata la tua più grande prova concreta?
RITA: Di benefici ne potrei raccontare tantissimi, ma vorrei citare questo: un giorno sulla mia scrivania (era un momento abbastanza delicato all’università a causa dell’applicazione della riforma) ho trovato un bigliettino. Era di una mia collega e diceva: «Ti ringrazio per il tuo sorriso». Ero riuscita davvero a portare il Buddismo nella vita quotidiana!
Tu hai incontrato il presidente Ikeda due volte…
RITA: Sì, la prima volta a Firenze al Centro culturale e poi, nel ’94 a Bologna durante la cerimonia di conferimento dell’anello dottorale da parte dell’Alma Mater. Il presidente Ikeda è uno scrittore meraviglioso, che riesce in ogni suo scritto a collegare la cultura orientale e quella occidentale secondo la filosofia buddista. Per me è stata una grande esperienza leggere la sua spiegazione del Gosho L’eredità della legge fondamentale della vita (D. Ikeda, esperia edizioni). Sento molto forte il legame attraverso i suoi scritti e lo leggo ogni volta che posso.