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La scuola è la mia passione - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:44

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    La scuola è la mia passione

    Il 6 luglio è stato consegnato il Soka Education Award a due educatrici, Raimonda Ugolini e Rita Svandrlik. In questa intervista Ugolini racconta del suo rapporto con gli studenti e di quanto il Buddismo abbia inciso nel suo modo di insegnare

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    Il 6 luglio è stato consegnato il Soka Education Award a due educatrici, Raimonda Ugolini e Rita Svandrlik. In questa intervista Ugolini racconta del suo rapporto con gli studenti e di quanto il Buddismo abbia inciso nel suo modo di insegnare

    Redazione: Cosa rappresenta per te questo premio?

    RAIMONDA UGOLINI: Avevo ricevuto un riconoscimento simile nel 1989 a Londra, durante la visita in Europa del presidente Ikeda. Oggi capisco che la storia del mio lavoro passa attraverso gli incoraggiamenti che ho avuto dal mio maestro. A quel tempo stavo abbandonando l’insegnamento a favore di un’attività di famiglia: pensavo che il mio compito fosse collaborare con mio fratello nel portare avanti un’azienda che stava per compiere cento anni di vita, ma il mio cuore non era in sintonia con la mia mente. Nell’anno scolastico successivo compresi che l’insegnamento e il rapporto con i giovani era il lavoro della mia vita; lasciandolo avrei distrutto la mia identità.
    Il presidente Ikeda mi è stato vicino e mi ha veramente incoraggiato ad andare avanti su questa strada. Subito dopo, nel 1991, mi venne affidato l’incarico di organizzare il dipartimento educatori in Italia. A quel punto, fui stimolata a iscrivermi nuovamente all’Università per conseguire un diploma di laurea, cosa che prima di praticare non ero riuscita a fare. Gli studi universitari sono stati un lungo percorso anche perché contemporaneamente insegnavo, mi occupavo della mia famiglia e dell’attività buddista. A cinquantadue anni, nel 2002, mi sono laureata e nel 2005 ho conseguito l’abilitazione alla SSIS per insegnare filosofia e psicologia.
    Ho sempre insegnato in una scuola superiore che forma operatori e tecnici dei servizi sociali: è una scuola professionale nella quale arrivano anche ragazzi con qualche difficoltà. Amavo questo indirizzo e non volevo lasciarlo, quindi mi sono detta: «O trovo la possibilità di insegnare psicologia nella mia scuola o non ne faccio di niente». Il 6 giugno, un mese prima di ricevere questo riconoscimento, ho avuto il passaggio di cattedra a psicologia, il che significa anche ricominciare a studiare. E questo, a cinquantotto anni! Certo, qualche dubbio l’avevo, e pensavo: «È stata una mia scelta, ma in fondo chi me lo fa fare, sono alla fine della carriera…». Con questo riconoscimento è stato come se il presidente Ikeda mi dicesse: «Non importa l’età, vai avanti così, questa è la tua missione». Il mio percorso nella scuola, quindi, è inscindibile dalla mia relazione col maestro, non posso pensare al mio lavoro senza pensare a Daisaku Ikeda, all’attività svolta in venticinque anni di pratica e alla Soka Gakkai.

    Redazione: Il Buddismo che cosa ha cambiato nel modo di insegnare ai ragazzi?

    RAIMONDA: Ricordo un episodio significativo. All’inizio della mia carriera ero ovviamente inesperta e insegnando una materia tecnico-pratica, senza un programma ben stabilito, andavo per tentativi. Un giorno una studentessa mi disse: «All’inizio questa materia per me era incomprensibile: si iniziavano tante cose e non se ne finiva una, poi qualcosa è cambiato». In altre parole si era accorta che in me era avvenuto un cambiamento grazie alla pratica del Buddismo che avevo iniziato pochi mesi prima. Ma cosa era cambiato? Mettevo al primo posto la relazione con gli allievi, sforzandomi di credere di più in me stessa e nelle loro potenzialità: il mio rapporto con loro era il canale privilegiato per trasmettere la mia materia.

    Redazione: Sappiamo che hai raccolto le biografie di alcuni allievi. Qual era lo scopo e che cosa ti ha insegnato?

    RAIMONDA: Era l’argomento della mia tesi. Mi era stato chiesto di fare un progetto di ricerca sui giovani per il quale ho utilizzato una metodologia autobiografica. Ho proposto questo progetto in una classe partendo da un lavoro di conoscenza reciproca in seguito al quale i ragazzi hanno costruito loro stessi la griglia, cioè le domande a cui avrebbero voluto rispondere. La particolarità di questo lavoro è che, dopo una prima scrittura, gli allievi dovevano individuare nelle loro storie di vita punti di forza e punti di debolezza, condizionamenti positivi e negativi. Per questi ragazzi è stato importante scrivere e riflettere su se stessi: grazie a questo hanno approfondito la loro individualità. In questo periodo, inoltre, sono scomparsi i genitori di due ragazzi che partecipavano al progetto e credo che questo lavoro sia stato un sostegno prezioso e sia oggi per loro un prezioso ricordo.
    Poi è accaduto qualcosa di molto profondo tra me e una allieva affetta da paresi spastica a un braccio. Due anni dopo, prima della tesi, ho incontrato quasi tutti i ragazzi che avevano partecipato alla scrittura e ho chiesto loro se l’autobiografia avesse lasciato qualche traccia nelle loro vite. In quell’occasione quella ragazza mi ha riferito che a seguito del lavoro sui condizionamenti si era accorta di essere di fronte a un bivio dato che il braccio poteva costituire un handicap o un’importante motivazione a reagire e a decidere di vivere una vita “normale” e piena di significato.
    Ho capito allora che, nonostante non credessi coscientemente di discriminarla, in realtà, da qualche parte, nella mia testa, lei era stata classificata come alunna diversamente abile, ma che durante lo svolgersi del lavoro mi ero scordata completamente del problema, che era diventato una particolarità né più né meno come quella di tante altre. È stato un lavoro molto profondo su di me, oltre che su di loro.

    Redazione: Quali principi buddisti pensi di aver trasportato maggiormente nelle tue lezioni e di aver trasmesso ai ragazzi?

    RAIMONDA: La fiducia nelle potenzialità di ciascuno, cosa che insegna costantemente il presidente Ikeda. Io non credo nel buonismo a tutti i costi, anche se non mi ritengo “cattiva”; quando è necessario è importante anche affrontare argomenti che ci possono rendere poco popolari. È importante riprendere un ragazzo/a che non lavora seriamente per la propria vita, se alla base c’è fiducia nelle sue potenzialità di cambiamento. Il rimprovero deve essere finalizzato all’incoraggiamento, non una semplice forma di punizione o repressione: è un’occasione affinché possa decidere di cambiare. Io credo che come insegnanti dobbiamo avere un occhio particolare e offrire tante occasioni diverse, cercando di capire quali sono i punti di forza sui quali possiamo fare leva. Per esempio per lavorare nel sociale è molto importante che ognuno mantenga i propri hobby: danza, calcio ecc. Lavorare nel sociale vuol dire lavorare con le persone, quindi è fondamentale conoscere se stessi sotto tutti i punti di vista, come chi lavora nell’informatica deve conoscere bene il computer. Poi tutte le nostre particolarità vanno messe in gioco, prima di tutto perché si sta meglio con noi stessi, poi perché si trasmettono agli altri contenuti personali e non qualcosa di stereotipato. Fornire agli alunni occasioni per liberare la creatività è un aspetto fondamentale della scuola, come non manca mai di sottolineare Ikeda e come ci insegna Makiguchi nell’Educazione creativa (La Nuova Italia, Firenze, 2000).
    Ikeda nell’Educazione Soka scrive: «Quando venne a sapere ciò che si diceva di lui, Socrate replicò che la razza punge gli altri perché è stata punta a sua volta. Analogamente gli insegnanti devono essere sempre creativi se vogliono risvegliare la creatività nei loro studenti, altrimenti qualsiasi chiacchiera sulla creatività non rimarrà che un vuoto discorso» (esperia, pag. 128). Quindi, se un insegnante è prima di tutto discepolo di un maestro, riesce a sua volta a diventare maestro per gli studenti, se si capisce l’importanza del legame con un maestro – nel mio caso mi riferisco al presidente Ikeda – allora si riesce a trasmettere agli studenti l’importanza di ricercare a loro volta una guida per andare avanti insieme nella vita.
    Io, come insegnante, sono la prima che si deve mettere in gioco. In risposta, gli studenti conoscendo la mia storia e il fatto di aver ripreso gli studi da “grande”, mi hanno sempre incoraggiata quando dovevo sostenere gli esami.

    Redazione: Quali sono le sfide, in questo momento della scuola italiana?

    RAIMONDA: Credo che gli insegnanti debbano avere passione per il loro lavoro perché i ragazzi prima di ogni altra cosa colgono questo aspetto: la società e la scuola tendono a togliere le motivazioni, le gratificazioni, a far diventare tutto piatto e omologato. Per questo trovo che il Buddismo sia fondamentale. Un vicepresidente della Soka Gakkai che ho incontrato nel 1984 al mio primo corso estivo disse che più che ricordare cosa ci è stato insegnato nella vita si ricorda come ci è stato insegnato e la personalità degli insegnanti che abbiamo avuto.

    Redazione: Qual è la tua prossima sfida personale, visto che a cinquantotto anni ti rimetti in gioco completamente?

    RAIMONDA: Il mio prossimo obiettivo? Andare in pensione sentendo che sono stata davvero un’insegnante!

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