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Il cambiamento voluto - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:03

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Il cambiamento voluto

Assunta Darino, Parma

Anche se, apparentemente, il rapporto con mio marito non migliorava, grazie alla recitazione del Daimoku, all’intensa attività con e per gli altri e allo studio del Buddismo, qualcosa stava cambiando in me: non attribuivo più a lui la causa della mia sofferenza

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Anche se, apparentemente, il rapporto con mio marito non migliorava, grazie alla recitazione del Daimoku, all’intensa attività con e per gli altri e allo studio del Buddismo, qualcosa stava cambiando in me: non attribuivo più a lui la causa della mia sofferenza

Intorno ai sedici anni, mio padre, unico punto di riferimento che avevo, abbandonò la famiglia. Questo generò in me una forte insicurezza e reagii a quel dolore diventando una persona con un forte senso del dovere e decidendo, da quel momento, di contare solo su me stessa.
In quel periodo conobbi un ragazzo, diciassettenne, che da subito mi dimostrò un amore incondizionato, sentimento nel quale mi rifugiai, ma quest’affetto riusciva solo in parte a colmare il senso di vuoto e di infelicità che avevo dentro. Ci sposammo molto giovani e costruimmo una famiglia perfetta all’apparenza.
Nel 1986, mio fratello ci parlò di Buddismo. Mi rifiutai di ascoltare: il tutto era assurdo, e poi ero convinta di non averne alcun bisogno. Passarono due anni durante i quali l’unica sensazione concreta che avvertivo era quella di aver vissuto una vita che non era la mia e per me fu facile individuare i colpevoli: mio padre, ormai morto, mia madre, ma soprattutto… mio marito!
L’unica soluzione era la separazione. Per tutti ero impazzita, ma per me era impossibile tornare indietro su questa decisione.
In quel periodo un’amica mi parlò nuovamente del Buddismo di Nichiren Daishonin e, questa volta, decisi di sperimentarlo. Era il 1988. Cominciai da subito a recitare molto Daimoku e a studiare il Buddismo. Contemporaneamente iniziò a praticare anche mio marito, deciso a provare il tutto per tutto pur di salvare la nostra relazione e la nostra famiglia. Aprimmo subito la casa alle riunioni. Parlavo del Buddismo a parenti, amici e a chiunque avesse bisogno di aiuto. Le persone partecipavano alle riunioni a casa nostra anche se non avevamo ancora ricevuto il Gohonzon.
Diventammo membri della Soka Gakkai il 3 novembre del 1990: per me fu un giorno fondamentale, sentivo che, con il Gohonzon, riprendevo possesso della mia vita.
Anche se, apparentemente, il rapporto con mio marito non migliorava, grazie alla recitazione del Daimoku, all’intensa attività con e per gli altri e allo studio del Buddismo, qualcosa stava cambiando in me: non attribuivo più a lui la causa della mia sofferenza. Mi assunsi la responsabilità di quella situazione, decidendo di affidarmi completamente al Gohonzon. La risposta non si fece attendere. Maturai la decisione di restare con mio marito e di ripartire dalle cose che già avevo. Per la prima volta non decidevo per la felicità degli altri ma per la mia.
Nel 1992 è nata Martina, la nostra terza figlia. Nel giro di pochi mesi le fu diagnosticato un ritardo psicomotorio. Le frasi del Gosho Risposta a Kyo’o mi davano forza e coraggio nei momenti difficili: «Credi profondamente in questo mandala. Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone. Quale malattia può essere un ostacolo? […]. Ovunque tua figlia possa saltare e giocare, non le accadrà niente di male; potrà andare in giro senza paura come il re leone» (NR, 348, 18). Le difficoltà sono state tante e abbiamo intrapreso tutte le azioni possibili per aiutare nostra figlia. Oggi ha sedici anni e, anche se ha ancora tante difficoltà di relazione, ha parecchie possibilità di miglioramento. Questa è la manifestazione concreta di «non le accadrà niente di male».
Negli anni ho trasformato anche la difficile relazione con mia madre. Di tanto in tanto recitavo Daimoku per questa sofferenza, ma senza molta convinzione. Non mi andava di pensarci troppo e invece, con mia grande sorpresa, dopo tredici anni di pratica buddista, ho scoperto che avevo sciolto quel nodo. Il suo modo di fare che suscitava in me rabbia e risentimento adesso mi faceva sorridere, tanto che lei stessa, accorgendosene, ne rimaneva sorpresa.
Il Daimoku aveva funzionato al di là di ogni mia intenzione.
Nel frattempo avevano iniziato a praticare anche i miei due figli maggiori. Grazie agli obiettivi raggiunti col Gohonzon, allo studio e all’attività per gli altri, mi sentivo più forte e più sicura.
Nel luglio del 2003 la figlia più grande ha intrapreso una relazione sentimentale che, fin da subito, ho sentito terribilmente minacciosa. Sono iniziati profondi litigi tra noi.
Ero stordita, frastornata, arrabbiata, ma soprattutto mi sentivo “tradita”. Avevo perso ogni fiducia in me stessa e nel valore della vita, agivo proprio come afferma il presidente Ikeda a proposito del mondo d’Inferno: «Un rancore vuoto, sordo, che fa sì che si venga totalmente consumati da un senso d’impotenza e frustazione, intrappolati in emozioni che non trovano modo di esprimersi. Non riuscendo a sviluppare il coraggio di assumersi la responsabilità della propria infelicità, non si ha la forza di reagire per risolvere la situazione» (BS, 103, 58). Le incomprensioni e i contrasti in famiglia indussero in mia figlia la decisione precipitosa di andarsene via di casa e di interrompere ogni relazione con me e mio marito. Anche mio figlio si alleò con la sorella. A questo punto mi divenne chiaro che non ero stata la madre di cui loro avevano bisogno. Questa consapevolezza mi provocò una profonda sofferenza e non vedevo vie d’uscita. Grazie alla profonda recitazione di Nam-myoho-renge-kyo e agli incoraggiamenti del presidente Ikeda ho potuto comprendere che lo scopo della vita è quello di mostrarci la via per ottenere una piena e autentica realizzazione di se stessi e uno stato di completa felicità.
Decisi così di partecipare a un corso al Centro culturale europeo a Trets. Sentivo il bisogno di fare chiarezza, di imparare dalla vita tutto quello che aveva da insegnarmi e di trovare la forza per vincere la paura e l’angoscia: «Toda voleva sottolineare l’importanza di combattere ed eliminare il male fondamentale che si nasconde nella profondità degli esseri umani. In termini buddisti questo male corrisponde all’impulso di manipolare e di sfruttare gli altri a proprio vantaggio», scrive il presidente Ikeda nella Proposta di pace 2004 (BS, 103, 19). Così ho deciso, ho vinto la paura del cambiamento fino a provare il desiderio di trasformare questo aspetto della mia vita: recitando Nam-myoho-renge-kyo, che è l’essenza dell’esistenza, la mia famiglia sarebbe diventata il luogo dove ognuno di noi si sarebbe sentito “felice e a proprio agio”, libero di esprimere e manifestare se stesso in modo sincero, autentico e senza paura.
Dopo circa otto mesi di lontananza mia figlia è tornata a casa. Ho sentito che grazie alla mia pratica buddista stavo avendo un’altra possibilità. La nascita della sua bambina, poi, è stato il dono più bello perché ha riunito tutta la famiglia.
Dal giugno del 2007 ci siamo trasferiti a Parma per motivi di lavoro di mio marito; la nostra condizione economica è migliorata, Martina ha usufruito di cure più adeguate e possiamo frequentare e sostenere maggiormente nostro figlio, che da molti anni lavora al Nord.
Sento un’infinita gratitudine verso il Gohonzon, che mi ha “costretta” ad aprire gli occhi su un aspetto così importante di me e non cambierei quello che ho vissuto con niente al mondo. «La gioia che sgorga dalla profondità della vita può essere sperimentata solo quando resistiamo all’impulso di allontanarci dalla sofferenza degli altri e invece l’affrontiamo come se fosse la nostra» (BS, 103, 24), ci incoraggia Ikeda. Non importa il tempo che ci vuole per fare la nostra rivoluzione umana, non è importante quante volte cadiamo, “l’importante è rialzarsi”. Continuando a recitare Daimoku e studiando il Gosho, sicuramente riusciremo a vincere sulla negatività che ci impedisce di essere felici.

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