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«Io non dimentico!» - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:01

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«Io non dimentico!»

Questa frase esprimeva la ferma volontà di Simon Wiesenthal di non permettere che il dramma storico e umano dell’Olocausto venga dimenticato. Con la stessa fermezza, Toda si oppose alle armi nucleari. Da entrambi un grido rivolto all’umanità, che troppo spesso si addormenta cullata da banali certezze

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Questa frase esprimeva la ferma volontà di Simon Wiesenthal di non permettere che il dramma storico e umano dell’Olocausto venga dimenticato. Con la stessa fermezza, Toda si oppose alle armi nucleari. Da entrambi un grido rivolto all’umanità, che troppo spesso si addormenta cullata da banali certezze

Per quattro mesi, a partire dal 12 settembre [2001, n.d.r.], presso il Toda Peace Memorial Hall della Soka Gakkai di Yokohama, si terrà la mostra “Sono il carceriere di mio fratello: la vita e l’epoca di Simon Wiesenthal”. Il Toda Peace Memorial Hall, che confina con il nostro Centro culturale di Kanagawa, è stato una struttura di supporto della Soka Gakkai per più di un ventennio. Famoso edificio storico della città, ha ospitato negli anni parecchie attività per la pace, la cultura e l’educazione. Yokohama è anche il punto di partenza del movimento per la pace della Soka Gakkai. Qui, infatti, il secondo presidente Josei Toda l’8 settembre 1957 – solo sei mesi prima della sua morte – rilasciò la sua epocale “Dichiarazione per l’abolizione delle armi nucleari”. La mostra su Simon Wiesenthal, presentata per la prima volta in Giappone, celebra il quarantaquattresimo anniversario di quell’evento.

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Wiesenthal ha oggi [2001] novantadue anni [è morto nel 2005, n.d.r.]. Sopravvisse miracolosamente al disumano Olocausto, dedicando la sua vita a ricercare coloro che avevano perpetrato quel crimine atroce. E se le persone coscienziose in tutto il mondo lo hanno celebrato come un vero combattente per i diritti umani, gli ex nazisti e i loro collaboratori gli hanno attribuito con timore la definizione di “cacciatore di nazisti”. Egli ha indagato su più di seimila criminali di guerra nazisti e assicurato alla giustizia oltre mille dichiarazioni di colpevolezza. La sua implacabile crociata è anche stata una lotta contro la dimenticanza, affinché l’Olocausto non fosse abbandonato all’oblio storico. Il suo proposito è fermo: «Io non dimentico!». La sua determinazione è tenere viva la memoria di quella strage brutale – le lacrime amare e le grida piene di angoscia dei suoi compagni uccisi, le innumerevoli vite bruscamente recise. Il poeta ebreo Yitzhak Katzenelson (1886-1944), che perse la vita nell’Olocausto, dichiarò: «Non dobbiamo tentare di rimarginare quelle cicatrici eterne con l’oblio».

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Le nobili convinzioni di Wiesenthal si mostrano nelle sue azioni. Dopo la guerra, per molti anni, gruppi di giovani ebrei ed ex combattenti della resistenza segreta andavano da lui per avere informazioni sui profughi nazisti. Ma Wiesenthal si è sempre rifiutato in maniera decisa di fornire qualunque indicazione poiché era chiaro che essi, alla ricerca della vendetta personale, avrebbero ucciso quegli individui. Wiesenthal credeva che i criminali di guerra nazisti dovessero essere giudicati da un tribunale pubblico ed equo. Infatti, rispondendo con lo spirito di “occhio per occhio” non si fa che accrescere il circolo vizioso del male e non si riesce in nessun caso a ristabilire la giustizia. Non ho ancora incontrato Wiesenthal, ma ho parlato diverse volte con il rabbino Abraham Cooper, decano associato del centro Simon Wiesenthal (vedi NR, 284,12). In un’intervista, il rabbino Cooper disse che Wiesenthal era convinto che, dopo l’Olocausto, il compito di fronte all’umanità non fosse di cercare vendetta ma ristabilire la fiducia tra le persone. In nome di questa convinzione, Wiesenthal ci esorta a trascendere l’inimicizia personale e ristabilire la giustizia nella nostra società. Questo grido straziante che emerge dal profondo di questo grande paladino dei diritti umani risuona come un messaggio solenne per tutti noi.

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La giustizia risplende solo se noi sfidiamo e trionfiamo sul male. Questo vale anche per il Buddismo: non si sottolineerà mai abbastanza che la vendetta cruenta e colma d’odio gli è assolutamente estranea. In un brano del Dhammapada, uno dei primi testi buddisti, si legge: «L’odio non cesserà mai di esistere in questo mondo se non si cesserà di odiare; questa è una verità eterna». Nichiren Daishonin, nonostante fosse bersaglio delle più dure persecuzioni, dimostrò uno spirito di tolleranza e compassione vasto quanto l’oceano quando disse: «Prego prima di ogni altra cosa di poter guidare verso la verità il sovrano e gli altri che mi hanno perseguitato» (Sulla profezia del Budda, RSND, 1, 357). Ciò tuttavia non significa attenuare la distinzione tra il bene e il male o condonare il male. Come primo presidente della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi, che si oppose in maniera decisa all’oppressione delle autorità militari giapponesi e per le sue convinzioni morì in prigione, disse: «Se non hai il coraggio di schierarti contro il male, non puoi essere amico del bene». Il bene non può essere raggiunto senza una battaglia contro il male. Ignorare e sottovalutare il male ha come conseguenza la codardia e la mancanza di compassione, e alla fine equivale a fare del male a se stessi. Kosen-rufu e rivoluzione umana incarnano proprio questa grande lotta per trionfare sulle forze pervasive del re demone del sesto cielo, così come sulle tendenze distruttive dentro le nostre vite.

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Wiesenthal ha rivolto ai giovani un avvertimento: «La cultura e la civilizzazione rappresentano soltanto un sottilissimo strato sotto il quale la bestia che è in noi continua ad aggirarsi furtivamente» (Giustizia non vendetta, Mondadori, Milano, 1989). Quarantaquattro anni fa, dopo un tifone, sotto un cielo azzurro e lambito da una brezza gradevole, il presidente Toda in piedi davanti a cinquantamila membri pronunciò uno dei suoi ultimi appelli, la “Dichiarazione per l’abolizione delle armi nucleari”, affidando ai giovani la missione di diffondere il suo messaggio in tutto il mondo. Il punto cruciale della sua dichiarazione risiede nell’esporre chiaramente e rimarcare la necessità di recidere gli “artigli nascosti nelle profondità” di una società che ammette l’uso delle armi nucleari – in altre parole Toda incoraggia a vincere le insidiose tendenze demoniache inerenti alla vita, e che Wiesenthal definiva “la bestia che è in noi”.
Nella sua dichiarazione Toda affermava: «Noi tutti, cittadini del mondo, abbiamo l’inviolabile diritto alla vita. Chiunque attenti a questo sacrosanto diritto è una incarnazione del demone, un mostro. Propongo che l’umanità applichi la pena di morte contro tutti coloro che si rendano responsabili dell’uso degli ordigni nucleari, anche se dovessero appartenere al paese vincitore di un conflitto» (RU, 12, 95). La prima e più importante convinzione del presidente Toda, in quanto buddista, era la sacralità della vita. Egli era assolutamente contrario alla pena capitale, tuttavia faceva appello alla pena di morte per chiunque fosse responsabile dell’uso delle armi nucleari. Ciò nasceva dal desiderio di arrestare per sempre quelle funzioni demoniache inerenti alla vita umana che spingono a possedere e usare gli ordigni nucleari. Egli voleva instaurare profondamente nelle menti di tutti gli esseri umani un modo di pensare che denunciava le armi nucleari come male assoluto – un modo di pensare che funzionasse come un freno interno volto a «prevenire l’errore e a fermare il male» (GZ, 744). Per difendere la vita il maestro Toda usava la parola “morte”, il suo esatto opposto, nel tentativo di distruggere le attività demoniache del male. Era un atto di condanna diretto verso il bene assoluto e mosso dal desiderio di proteggere rigorosamente la vita.

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A quel tempo la gente non prestò molta attenzione alla dichiarazione pioneristica di Toda. Tuttavia, il suo splendore con il passare del tempo non ha fatto che aumentare, per diventare un grande bagliore che comincia a illuminare intensamente il mondo del nuovo secolo. David Krieger, presidente della Nuclear Age Peace Foundation (vedi NR, 385, 17) ha dichiarato: «Credo che la dichiarazione di Josei Toda contro le armi nucleari conservi oggi tutta la sua importanza». La scorsa estate ho pubblicato insieme con Krieger un libro che raccoglie i nostri dialoghi dal titolo La scelta necessaria (esperia, 2003). Qui il leader americano del movimento contro le armi nucleari dichiara: «I giovani sono il futuro. Essi hanno un ruolo importante nella risoluzione della minaccia nucleare e devono prendere parte attiva nel mondo che erediteranno». Giovani, invocate sempre di più e sempre più forte la giustizia. Giovani della SGI del nuovo secolo, estendete in maniera risoluta nel mondo e verso il futuro i nostri sforzi comuni per una pace duratura.

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