Sono nata nel 1962 in una famiglia molto povera, in cui lavorava solo mio padre come camionista, mentre la mamma soffriva di disturbi psichici che richiedevano frequenti ricoveri in ospedale. Durante questi periodi io e mia sorella venivamo separate. Io andavo dai nonni dai quali mi sentivo molto amata, per cui la morte del nonno per infarto scatenò in me una grossa sofferenza. Mia madre, durante la degenza in clinica psichiatrica, aveva instaurato una relazione extraconiugale e quando mio padre se ne accorse iniziò in famiglia un periodo di violenza fisica e verbale che richiese perfino l’intervento della polizia. Durante l’infanzia ho vissuto in un clima di violenza familiare subendo anche abusi sessuali da parte di una parente trentenne; ero paralizzata dalla paura e chiusa nel mio dolore.
A diciotto anni prendevo già psicofarmaci; tentai anche il suicidio ingerendo tantissime pillole. A mio padre fu diagnosticato un tumore ai polmoni con metastasi avanzate. Morì nell’aprile 1989, lasciandomi in un totale sconforto. Trascinavo questo immenso dolore di letto in letto, cercando mio padre in ogni uomo. Con questi uomini stabilivo brevi relazioni che mi lasciavano sempre più vuota dentro.
Un giorno Elena, una mia collega russa, mi invitò a una riunione di discussione alla quale partecipai, ma dissi a tutti che erano pazzi e scappai via. A quel tempo lavoravo part-time e, per arrotondare lo stipendio, iniziai una seconda occupazione presso Vera, amica di Elena, anche lei praticante, la quale, con molto tatto e pazienza, mi avvicinò al Buddismo e mi insegnò a praticare. Era un giorno in cui mi sentivo completamente vuota per una relazione appena conclusa, per la lontananza da mia sorella che viveva a Modena, per le continue liti con mia madre, e la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo riempì di energia il mio vuoto esistenziale.
Nel ’90, dopo sei mesi di pratica corretta e una settimana prima di ricevere il Gohonzon, scoprii di essere sieropositiva a causa delle mie relazioni sessuali non protette. Ricevetti il Gohonzon, chiesi un consiglio sulla fede, iniziai a recitare molto Daimoku e a svolgere ogni tipo di attività buddista: protezione al Centro culturale bolognese, redazione, segreteria, statistica ecc. Quella persona mi ha sempre incoraggiato, con le buone maniere o con severità, ad andare davanti al Gohonzon con grande determinazione e mentre la paura di morire piano piano svaniva, emergevano i primi obiettivi, tra i quali trovare l’uomo della mia vita. In quel periodo, grazie anche al sostegno dei miei compagni di fede sono anche guarita da un tumore all’utero. Mi ripetevo spesso: «Più la notte è oscura, più vicina è l’alba» (RU, 1, 24). Decisi di curare la sieropositività con la medicina alternativa invece che con farmaci allopatici molto pesanti che i medici mi avevano proposto. In seguito, la mia amica Luisa si offrì di accompagnarmi, pagandomi tutte le spese, all’ospedale parigino Pasteur, dove per la prima volta al mondo Mointagner aveva isolato il virus dell’HIV e scoperto l’AZT. I medici francesi dissero che i miei esami andavano bene, che non necessitavo di cure così forti come quelle che mi proponevano i medici in Italia e vollero anche un parere di un famoso immunologo di Roma, che fu della stessa opinione dei medici francesi. Continuai a recitare Daimoku e a portare avanti la mia attività per gli altri, sostenuta da costanti incoraggiamenti. Nel frattempo, considerato che la medicina alternativa non aveva prodotto molti risultati, decisi di iniziare quella ufficiale, anche se ne temevo gli effetti collaterali che però non si manifestarono affatto, suscitando stupore negli stessi medici.
Conobbi un uomo del quale mi innamorai perdutamente e in seguito ci sposammo. Pensavo fosse l’uomo della mia vita, dato che avevo pregato tanto per quell’obiettivo. Nel corso del matrimonio però si rivelò violento, alcolizzato e contrario alla pratica buddista. Stavano emergendo, di nuovo, i nodi karmici nei quali mi ero imbattuta da bambina. Provai a restargli accanto ma quando fui consapevole che oltretutto aveva paura della mia malattia decisi di separarmi. Determinai di restare sola e di sciogliere profondamente il dolore della separazione e della violenza. Non avevo più bisogno di avere un uomo accanto per sentirmi viva. Proprio allora incontrai Maurizio, ci conoscemmo piano piano e quando ne ebbi il coraggio gli parlai della sieropositività, certa che sarebbe scappato. Invece lui mi amò da subito per quello che ero. Mi posi l’obiettivo di recitare un milione di Daimoku e, alla fine, lui mi chiese di sposarlo e iniziò anche a praticare. Appena ottenuto il divorzio ci sposammo, anche con il rito buddista, e sentii finalmente di aver trovato l’uomo della mia vita. Lui è stato capace di interpretare i miei silenzi, le mie solitudini, sostenendomi con un amore immenso. Purtroppo nel 2005 si è ammalato di cirrosi epatica e l’11 agosto 2007 è morto. Ho perso una battaglia, non la guerra. Ciò che mi consola è il fatto che lui è là, sul Picco dell’Aquila, assieme a Nichiren e prega affinché io continui a combattere a testa alta.
Facendo un resoconto dell’anno trascorso posso dire di aver ricevuto immensi benefici: il primo è che sono ancora sieropositiva asintomatica, e cioè che non ho nessun sintomo della malattia e non sono mai entrata in ospedale per questa sindrome, i miei esami sono sempre perfetti e da tempo non mi sento più “malata”; il secondo è l’avere cambiato il rapporto con mia madre essendomi assunta davanti al Gohonzon, e in prima persona, la responsabilità della sua felicità, riuscendo a sciogliere il rancore che provavo verso di lei. Grazie alla sieropositività ho cambiato la mia vita. Ho ancora tanta strada da fare, ma sono orgogliosa di me stessa, di tutte le volte che sono caduta e mi sono rialzata, di tutte le volte che ho pianto per poi sorridere, di tutte le volte che mi sono detta che non ce l’avrei mai fatta mentre invece ho vinto. Mi aspettano ancora molte sfide ma con Maurizio nel cuore, con il Gohonzon che mi sostiene e i membri della Soka Gakkai vicini, ce la farò. Nel Gosho è scritto: «Se preghi con tutto il tuo cuore […] come possono le tue preghiere rimanere senza risposta?» (Sulle preghiere, SND, 9, 184).
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