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Progetti di pace - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:56

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Progetti di pace

Un percorso attraverso le proposte di pace prospettate dal presidente della SGI Daisaku Ikeda alla comunità internazionale negli ultimi venticinque anni. Suggerimenti e analisi di volta in volta estremamente lucidi e concreti per risvegliare le coscienze dei singoli. Nelle pagine che seguono pubblichiamo anche due riflessioni vissute su temi tratti dalla Proposta di questo anno

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Un percorso attraverso le proposte di pace prospettate dal presidente della SGI Daisaku Ikeda alla comunità internazionale negli ultimi venticinque anni. Suggerimenti e analisi di volta in volta estremamente lucidi e concreti per risvegliare le coscienze dei singoli. Nelle pagine che seguono pubblichiamo anche due riflessioni vissute su temi tratti dalla Proposta di questo anno

A partire dal 1983 Daisaku Ikeda, come presidente di un’organizzazione non governativa riconosciuta dalle Nazioni Unite, presenta ogni anno una Proposta di Pace. Ikeda non si limita a indirizzare il documento ai “grandi” della terra, ma parla ai suoi abitanti, affinché ognuno diventi attore consapevole di una trasformazione. Come praticanti buddisti a volte affrontiamo con una certa difficoltà questi scritti, magari pensando che noi, piccoli puntini nell’universo, non potremo mai far cambiare rotta a questo mondo sempre più disumano e violento, chiudendoci nella “semplice” risoluzione dei problemi che attanagliano il nostro quotidiano. Qui sta il punto di svolta: nell’indicazione della strada per diventare protagonisti attivi della storia, sia che essa inizi con la lettera minuscola che maiuscola.
Nelle proposte di pace redatte in questi venticinque anni, Ikeda utilizza il metodo deduttivo spostandosi dal generale al particolare: indica quale via percorrere per diventare cittadini attivi, spiegando che i problemi mondiali non sono differenti dai nostri problemi quotidiani, che l’oscurità del mondo ci riguarda e che la realizzazione di un mondo di pace passa attraverso il diventare protagonisti consapevoli di questo cambiamento. Egli scrive: «Cambiando il nostro modo di pensare, acquisiremo l’energia per compiere quel tenace e costante sforzo richiesto per superare queste difficoltà. […] Una nuova configurazione del nostro modo di pensare consentirà un approccio misurato e attento alle due opzioni del dialogo e della forza» (BS, 122, 23-24).
Le proposte di pace che Ikeda pubblica sono legate da una struttura comune; prima di tutto focalizza cause e conseguenze dei problemi nel nostro pianeta ponendosi poi nell’ottica delle azioni individuali, chiedendosi quali tendenze si stanno manifestando nella società a partire appunto dai singoli. Le risposte, formulate sotto forma di proposte, sono sempre puntuali e concrete. Vediamone alcuni esempi.

I temi più caldi

Nelle proposte del 1992 e 1993 riesaminando la Rivoluzione francese e russa, critica la chiusura mentale le cui radici affondano nella storia dell’umanità (vedi La pace attraverso il dialogo, esperia, 2002, vol. 1, pag. 243). Nella proposta del 1999, parlando di globalizzazione economica selvaggia, denuncia il pericolo della discriminazione che si concretizza in dissidi etnici e conflitti fra nazioni (Ibidem, vol. 2, pag. 447). Nel 2002 e 2003, Ikeda denuncia con maggiore chiarezza la “patologia dell’assenza dell’altro” e il rischio di esclusione dei “perdenti” in una struttura sociale in cui prevale la disuguaglianza.
Egli non si limita ad analizzare i problemi globali e degli individui, ma avanza sempre una proposta di soluzione, una strada che ogni persona può percorrere per divenire protagonista attivo nella costruzione della pace mondiale: l’umanesimo della Via di mezzo. Daisaku Ikeda lo delinea nei suoi tratti essenziali come «la capacità di tener conto della relatività e della mutevolezza di tutte le cose […] relatività e mutevolezza si ritrovano anche nell’ambito del binomio bene e male, felicità e infelicità e persino guerra e pace […] in mezzo agli orrori della guerra è possibile scoprire i semi della pace» (BS, 93, 25). Un secondo aspetto è l’autocontrollo, che si basa sull’importanza di «costruire una padronanza di sé basata sulla comprensione del vero aspetto delle cose […] alla luce del quale sia possibile sperimentare senza maschere la vera natura di tutti gli eventi» (ibidem). Altro punto fondamentale il dialogo basato sull’accettazione di tutto ciò che è umano «senza discriminazioni, rifiutando di circoscrivere le persone o stigmatizzarle sulla base dell’ideologia, della nazionalità o dell’etnia. Bisogna decidere di ricercare attivamente ogni possibile occasione di dialogo e non permettere mai che le strade in questa direzione vengano interrotte» (BS, 110, 10).
Flessibilità, autocontrollo, dialogo. Tre concetti per la costruzione di una individualità più salda e di una società sempre più inclusiva, espressione dell’umanesimo della Via di mezzo.

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La spiritualità viene prima
di Marina Marrazzi

Quando Erica mi ha proposto di scrivere un breve commento su un punto che mi ha particolarmente colpito della Proposta di Pace di quest’anno non ho avuto dubbi. Il punto che mi ha impressionato più di tutti è quello in cui si dice che l’ambito della spiritualità umana è “più grande” della religione. Dove si dice cioè che la profondità di un essere umano è più vasta di qualunque credo, e infatti viene prima e lo può contenere, e non viceversa. Ma Erica ha aggiunto subito dopo: scrivi qualcosa di concreto, non restare sulla teoria. Mica facile. Paradossalmente, mi stava esattamente chiedendo di “umanizzare la religione”, che è il tema centrale intorno al quale ruota tutta la Proposta di Pace di quest’anno.
Dunque, proverò a dire nel modo più concreto possibile perché questo punto mi ha colpito, parlando di cose che hanno a che fare col mio quotidiano, con ciò che mi fa stare bene o no, con ciò che mi torna o no.
Daisaku Ikeda cita le parole dello storico francese dell’Ottocento Jules Michelet: «La religione rientra nell’ambito delle attività spirituali, mentre le attività spirituali non sono contenute all’interno della religione». E commenta: «Con questa affermazione lo storico compie l’operazione chiara e inequivocabile di umanizzare la religione, negandone tutti gli elementi che potrebbero trascendere o sovrastare l’essere umano. […] Sebbene il concetto a cui si richiama Michelet differisca in molti aspetti dal Dharma – la legge che secondo il Buddismo è inerente alla vita – il suo approccio presenta notevoli somiglianze con l’esortazione finale del Budda ai suoi seguaci: “Siate per voi stessi come un’isola, siate il vostro stesso rifugio, non prendete alcun altro come rifugio; che il Dhamma [Dharma o Legge] sia la vostra isola, che il Dhamma e nient’altro sia il vostro rifugio”. Per chiunque desideri essere veramente umano e protagonista nel dramma della vita, questo tipo di ricerca indipendente e centrata sul sé è tanto essenziale oggi quanto lo è stata nel passato» (BS, 128, 34-36).
Queste sono le parole del mio maestro.
Prima riflessione: per me, e sono certa per tanti e tante come me, fondamentale nella decisione di abbracciare il Buddismo è stato non dover fare salti per raggiungere un’entità esterna a me e più grande, verso la quale tendere perfezionandomi, ma camminare passo passo sulle mie gambe, andando a cercare le risposte dentro di me sempre più a fondo, scoprendo la mia natura e quindi la natura degli altri e della vita stessa. E ciò era possibile perché questa religione riconosceva apertamente di essere nata da un essere umano, di essere “frutto” della sua attività spirituale, creata per essere usata da altri esseri umani alla ricerca di risposte fondamentali.
Seconda riflessione: tutte le volte che mi sento sbagliata, che metto il mio sentire un gradino al di sotto di altri, più ufficiali e accreditati, sto facendomi un male inutile. Le mie capacità umane, che la mia pratica buddista mi consente di mettere a nudo e a frutto in massimo grado, sono tutto ciò che mi serve per vivere a fondo, e a pieno titolo. Del resto non c’è regalo migliore che io possa fare a chi mi sta vicino che dare qualcosa di veramente mio, distillato dal Daimoku e dal desiderio di creare valore insieme. Molto più che se cercassi di forzare le mie forme dentro un vestito già cucito.
Terza riflessione: tutte le volte che sento gli altri sbagliati, perché in generale non si comportano come mi sembra ovvio e giusto, è inutile che vada a cercare la formula azzeccata per farglielo capire o la teoria che conferma il mio punto di vista. La loro pulsione spirituale è sicuramente più grande di qualsiasi formula astratta. Non mi resta che entrare prima di tutto in comunicazione con quella. Se è difficile e fa male, questa volta mi tocca sì fare un salto – a volte difficilissimo – ma solo per passare dalla parte illusa alla parte illuminata dentro di me, per diventare così veramente umana, come dice Ikeda, da non sentirmi più minacciata dall’incomprensione e dalla lontananza, e capire come fare io il primo passo, e quale, verso quell’altra umanità.

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Un’alternativa al fondamentalismo esiste
di Giovanna Le Rose

Nella Proposta di Pace per il 2008 Daisaku Ikeda fa osservare fra le altre cose: «Come buddista sono molto preoccupato per il tipo di mentalità che sta prendendo piede nell’attuale quadro della nostra società: mi riferisco al fenomeno che potremmo definire come deriva verso il fondamentalismo. Questo fenomeno non riguarda soltanto il fondamentalismo religioso, di cui si è tanto dibattuto, ma include l’etnocentrismo, lo sciovinismo, il razzismo e l’adesione dogmatica alle ideologie, comprese quelle del mercato» (BS, 128, 29).
Ikeda fa notare che questo modo di pensare e agire, che si concretizza in una forma di attaccamento esasperato a un unico valore o punto di vista, invade qualunque ambito, non solo quello religioso. Ogni fondamentalismo produce una visione distorta della realtà, diventa territorio fertile per la violenza, tende ad aggravare le situazioni di caos sociale. Il presidente Ikeda si dice molto preoccupato, perché la deriva fondamentalista produce una sorta di “perdita del sé”, ossia uno smarrimento del valore di quella umanità che è invece il nucleo fondamentale della persona. Ma da dove proviene tutto ciò? «Queste forme di fondamentalismo si sviluppano in situazioni di caos e disordine e ciò che le accomuna è la tendenza a dare priorità ai princìpi astratti a scapito degli esseri umani, i quali finiscono per diventare schiavi di questi princìpi. In questa sede non è mia intenzione tentare un’analisi approfondita, ma ritengo che Albert Einstein (1879-1955) abbia colto il nocciolo della questione quando afferma che “i princìpi sono fatti per le persone e non il contrario”» (ibidem).
Per questo occorre creare un valido movimento umanista, capace di promuovere il dialogo. Il presidente Ikeda propone al mondo un modello di vita alternativo a quello fondamentalista: il modello dell’”umanesimo combattivo”. Tale umanesimo richiede la forza interiore, il coraggio e la determinazine necessari a portare avanti un modo di vivere corretto, indipendentemente dagli schemi prevalenti nella società. Ma «sostenere e mettere in pratica con coerenza la visione del mondo evocata da Einstein non è semplice. Le persone tendono facilmente a fare ricorso a regole prestabilite che offrono loro risposte già confezionate a interrogativi e dubbi. Per usare una metafora di Simone Weil (1909-43), le persone e la società sono trascinate senza sosta verso il basso dalla forza di gravità (la pesanteur), una forza apparentemente intrinseca negli esseri umani che li porta a degradarsi. La natura fondamentale di questa forza consiste nel provocare lo smarrimento del senso di sé, che dovrebbe invece costituire il nucleo della nostra umanità» (ibidem).
Occorre dunque ricercare sia il dialogo interiore (con il proprio sé più alto), sia il dialogo con l’altro, ed entrambi vanno portati fino in fondo.
Il dialogo richiede l’esercizio delle nostre qualità più elevate: la bontà, la forza e la saggezza. Liberando e sforzandoci di utilizzare queste qualità nella nostra vita saremo in grado di riconoscerle e apprezzarle anche negli altri. Tale processo educativo va riportato anche nelle religioni – incluso il Buddismo – rispetto alle quali dovremmo porci queste domande: «È una religione che rende le persone più forti, o più deboli? Incoraggia ciò che c’è di buono, o ciò che c’è di negativo? Rende le persone migliori e più sagge?». Sono domande cruciali, perché lo scopo della religione dovrebbe essere quello di rappresentare lo strumento in grado di individuare ed esprimere le qualità migliori di un essere umano; altrimenti si viene a determinare, appunto, un approccio alla religione di tipo fondamentalista, una visione del mondo e degli esseri umani che non è in grado di “rompere i cicli di odio e vendetta e dunque non è in grado di estirpare le radici della violenza”.
«Sono convinto che il nostro tempo abbia bisogno di un umanesimo capace di affrontare e bloccare questa deriva fondamentalista. Il compito dell’umanesimo è quello di restituire alla gente e all’umanità il loro ruolo di protagonisti centrali; in definitiva si può compiere questa impresa soltanto attraverso un costante impegno spirituale che consiste nell’allenare e temprare se stessi» (Ibidem).

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