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Vincere sulla sfiducia - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:36

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Vincere sulla sfiducia

Letizia Becagli, Roma

Da alcuni anni facevo parte di un gruppo i cui membri, pur avendo enormi potenzialità, non riuscivano a manifestarle, e dentro di me incolpavo di questo i miei responsabili. Al ritorno dall’estate, con lo spirito del corso nel cuore, capii che dovevo assumermi la mia parte di responsabilità

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Da alcuni anni facevo parte di un gruppo i cui membri, pur avendo enormi potenzialità, non riuscivano a manifestarle, e dentro di me incolpavo di questo i miei responsabili. Al ritorno dall’estate, con lo spirito del corso nel cuore, capii che dovevo assumermi la mia parte di responsabilità

Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia di genitori praticanti. Ho avuto sempre fede nel potere del Gohonzon, ma praticavo solo nei momenti di difficoltà. Quando mio padre andò via di casa, decisi che il Gohonzon non mi sarebbe servito solo per alleviare la sofferenza momentanea, ma che la mia vita da quel momento si sarebbe basata interamente sulla pratica. Nei mesi successivi recitai Daimoku per migliorare la mia prima relazione importante che durava da due anni. Quella storia mi aveva sempre provocato molta sofferenza, una forte sensazione di inadeguatezza e grandi sensi di colpa, ma non ero mai riuscita a chiuderla definitivamente. Il Daimoku di quei giorni iniziò a lavorare indipendentemente e più profondamente del mio desiderio. Fu un evento spiacevole ad aiutarmi a troncare, senza rimpianti, quella relazione. Poco dopo incontrai Marco. Con lui ho costruito un rapporto che dura da più di due anni, fondato sul rispetto profondo e sulla stima dell’altro e non più sui sensi di colpa. Desiderando fin da subito la sua felicità gli parlai della pratica buddista.
Soffrivo ancora a causa di mio padre. Io e mia sorella avevamo bruscamente tagliato ogni rapporto con lui. Provavo moltissima rabbia, avrei desiderato un altro padre ed ero eccessivamente critica nei suoi confronti. Tutto ciò mi impediva, naturalmente, di avvicinarmi a lui. Nel maggio 2006, un anno dopo essere diventata membro dell’Istituto Buddista, ebbi l’opportunità di partecipare a un corso di Buddismo al Centro culturale europeo di Trets. Partii con il desiderio profondo di cambiare. In quell’occasione ricevetti dei consigli sulla fede, in cui mi venne spiegato che, da un punto di vista buddista, le difficoltà che stavo affrontando mi sarebbero servite a comprendere meglio le sofferenze degli altri, che non mi serviva provare rancore per mio padre, che giudicarlo era controproducente e che avrei dovuto sforzarmi di provare gratitudine verso di lui, coltivando il desiderio profondo che mia sorella iniziasse a praticare. Tornai dal corso con la sensazione di aver iniziato una nuova vita. Il mio Daimoku cambiò radicalmente, e capii cosa voleva dire combattere veramente. Dopo una settimana mia sorella tornò davanti al Gohonzon e io iniziai a lottare per sconfiggere la rabbia per mio padre. Recitavo moltissimo. Nel cuore avevo le parole di Nichiren: «L’inferno è nel cuore di chi interiormente disprezza suo padre e trascura sua madre» (Gosho di Capodanno, NR, 350, 18). Ci vollero alcuni mesi, ma quella rabbia si sciolse lasciando posto alla gratitudine.
Da alcuni anni facevo parte di un gruppo i cui membri, pur avendo enormi potenzialità, non riuscivano a manifestarle e dentro di me incolpavo di questo i miei responsabili. Al ritorno dall’estate, con lo spirito del corso nel cuore, capii che dovevo assumermi la mia parte di responsabilità. Ne parlammo tutti insieme e ognuno di noi determinò di vincere. Realizzammo pienamente l’obiettivo di consegnare due Gohonzon entro l’anno e, con mia grande gioia, anche Marco, il mio ragazzo, lo ricevette. Mentre il gruppo cresceva, il mio Daimoku seguiva ancora una volta le parole di Nichiren: «Ora voi due fratelli siete come l’eremita e il suo discepolo, se uno dei due manca, entrambi non riuscirete a ottenere la Buddità. Siete come le due ali di un uccello o come i due occhi di un uomo» (Lettera ai fratelli, SND, 4, 120). Anche mia sorella, infatti, decise di diventare membro dell’Istituto.
Intanto si avvicinava il mio esame di maturità. Non ero mai stata una brava studentessa. Mi ero iscritta al liceo artistico convinta di non poter fare altro, e ogni anno avevo rischiato la non promozione. Il terzo anno mi trasferii nella succursale del mio liceo dove, fortunatamente, trovai una classe migliore e una professoressa di immenso valore grazie alla quale imparai ad amare lo studio e l’arte, migliorando il mio rendimento. A maggio, a due anni dalla decisione di ricevere il Gohonzon, mi si presentò nuovamente l’opportunità di partecipare a un corso nazionale per studenti. Partii come studentessa liceale, benché pensassi di abbandonare gli studi dopo il liceo e di cercarmi un lavoro. Durante quel corso percepii chiaramente quanto il nostro maestro desiderasse più di tutto che noi giovani studiassimo con passione. Mi colpì, in particolare, una frase del presidente Ikeda: «Il genio è frutto dello studio». In una raccolta di dialoghi con i giovani, Ikeda scrive: «La cosa più importante sarà possedere la forza interiore e il buon senso per sviluppare quattro qualità fondamentali: 1) imparare sempre, fin da oggi e dovunque siate, tutto il possibile da ogni situazione; 2) diventare capaci di guadagnarsi da vivere; 3) guardare alla sostanza delle cose piuttosto che alla superficie; 4) esplorare a fondo il proprio potenziale». E ancora: «Makiguchi insegnava che il valore è caratterizzato da tre elementi: bellezza, guadagno e bene. Riferendosi all’ambito professionale, il valore della bellezza consiste nel trovare un lavoro che vi piace; il valore del guadagno nel trovare un lavoro che vi dà da vivere come sognate, mentre quello del bene consiste nel fare un lavoro utile agli altri e alla società» (D. Ikeda, I protagonisti del XXI secolo, esperia, 2000, pagg. 76-78).
Decisi, seguendo le parole e l’incoraggiamento del mio maestro, che avrei proseguito gli studi, e che avrei concesso a me stessa una vita di valore. Intravidi nel restauro la possibilità di conciliare il lavoro con la mia passione per l’arte e decisi quindi di sostenere le prove di ammissione per la Venaria Reale di Torino, una scuola di alta formazione, molto selettiva, che ogni anno ammette soltanto quattro studenti. L’obiettivo sembrava impossibile, e in molti cercarono di dissuadermi da questo tipo di scelta.
Mi si prospettava un periodo di lotta molto dura: l’esame di maturità e un’estate di studio intenso per le tre prove di ingresso alla scuola, ma decisi di vincere con il Gohonzon. Recitavo per diplomarmi con ottantacinque (il massimo punteggio che sembrava potessi ottenere), e mi diplomai con novantadue. Erano, questi, i primi frutti del Daimoku. Lentamente mi scoprivo più coraggiosa. Il giorno dopo la maturità iniziai a prepararmi per l’esame di ammissione. Disegnavo sei ore al giorno senza interruzione, e cercavo di recitare almeno un’ora di Daimoku.
All’inizio di settembre prima delle prove d’esame, sentii profondamente di aver già vinto. Soprattutto, avevo vinto la sfiducia verso le mie potenzialità. Anche questa volta ad aiutarmi fu uno scritto del maestro. Capii, leggendo Il mondo del Gosho, che l’obiettivo è solo ottima benzina per il nostro Daimoku, ma che non rappresenta, di per sé, la vittoria. Sensei scrive: «Il Buddismo è una lotta in cui si vince o si perde. Anche la vita è così. Non è eccessivo affermare che il Buddismo fu esposto per consentire a ognuno di trionfare nella battaglia fondamentale che avviene nella vita, quella fra il Budda e le funzioni demoniache. Sconfiggeremo i demoni e otterremo l’Illuminazione o cederemo a essi e condurremo una vita triste, vittime dell’oscurità e dell’illusione? Lo scopo fondamentale della pratica buddista è vincere questa battaglia primaria» (D. Ikeda, Il mondo del Gosho, vol. 2, pag. 284).
Vinta la sfiducia, con una gioia immensa sostenni la prima prova classificandomi al secondo posto, risultai quinta nella seconda prova e, infine, l’ultima prova, mi valse un secondo posto nella graduatoria finale. Mettendo in pratica l’insegnamento del mio maestro avevo vinto una sfida impossibile agli occhi di tutti e, soprattutto, ai miei.
Ho legato questa vittoria personale al desiderio che il gruppo, nel frattempo diviso, continuasse a crescere, e che un principiante decidesse di riceve il Gohonzon prima della mia partenza. Il gruppo è cresciuto davvero e, con lo sforzo di tutti, nell’ultimo anno, ha accolto ben quattro nuovi membri.

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