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La "prima volta" della Divisione giovani - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:01

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    La “prima volta” della Divisione giovani

    Domenica 18 marzo 1984, al Palazzo dei Congressi di Firenze, si tenne la prima riunione generale della Divisione giovani italiana. Vi parteciparono 1550 persone, provenienti da oltre cinquanta province italiane

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    Domenica 18 marzo 1984, al Palazzo dei Congressi di Firenze, si tenne la prima riunione generale della Divisione giovani italiana. Vi parteciparono 1550 persone, provenienti da oltre cinquanta province italiane

    Anche se chi abitava nelle grandi città aveva magari avuto occasione di prendere parte a riunioni molto partecipate, il fatto di ritrovarsi insieme a così tanti “compagni di fede” era per tutti un’esperienza nuova.
    La sensazione di essere di fronte a un evento di grande portata era palpabile, tanto che quando verso le 11 il presentatore si avvicinò al microfono e disse: «Tra pochi minuti inizierà la riunione», in sala si creò un silenzio irreale, rotto soltanto da sporadici colpi di tosse.
    Nel corso della giornata parlarono i responsabili della Divisione giovani, parlò l’allora direttore generale europeo Eiichi Yamazaki, parlarono i membri con i loro racconti di vita vissuta e parlò l’imponente coro di 130 elementi, attraverso il linguaggio della musica, capace di emozionare e unire.
    E la giornata iniziata sotto un cielo cupo si trasformò presto in una bella giornata di primavera, con il sole che faceva breccia tra le nuvole cariche di pioggia. Quasi una metafora meteorologica di quello che stava accadendo nelle vite dei tanti giovani presenti.

    Giovani (molto), carini (così e così) e disoccupati (diciamo “studenti”)

    Eravamo tanti. Eravamo giovani. Venivamo da tutta Italia.
    Fra i soka-han e le byakuren (staff protezione) impegnati nella preparazione, l’evento era familiarmente chiamato “il mostro”. Così tante persone, tutte insieme, non si erano mai viste.
    Quel giorno, prima della partenza del pullman, noi soka-han di Grosseto ci ritrovammo a fare Gongyo a casa di un responsabile per il cui stile di recitazione avevamo coniato la definizione di “Gongyo motosega”, che ben descriveva quel mormorio monovibrazionale solitamente recitato a velocità più vicine a quelle della luce che a quelle del suono. Tale stile di recitazione – accettabile a un volume medio-alto, dove c’era almeno modo di distinguere qualche shari-hotsu e qualche nyo ze so – si rivelava invece letale a basso volume. E quella mattina, visto che erano le 6, per non disturbare i vicini il volume venne tenuto bassissimo. Quasi non feci in tempo a capire che mi ero perso fra le pagine del libretto, che Gongyo era già finito: «Cominciamo bene», pensai. E continuammo ancora meglio: il nostro pullman, in ritardo, fu tra gli ultimi ad arrivare. Quando entrai nel Palazzo dei Congressi, la mole di informazioni preparatorie che avevo accumulato – arrivo degli autobus, parcheggio, come far entrare le persone, dove farle sedere – si rivelò di colpo inutile: i membri erano già tutti arrivati e seduti, e io mi ritrovai nello scomodo ruolo di soka-han disoccupato. Trascorsi l’intera mattina senza saper bene cosa fare: passeggiavo per i corridoi laterali gettando occhiate distratte ai televisori a circuito chiuso, che rimandavano le immagini della riunione.
    Poi cominciai a recitare Daimoku dentro di me e quando venne il momento della pausa pranzo decisi che nel pomeriggio le cose sarebbero cambiate. Così, quando un referente dello staff disse: «Serve qualcuno che…», io avevo già la mano alzata.
    Quello che serviva era qualcuno che stesse sotto il palco nel caso i responsabili avessero avuto bisogno di qualcosa. In realtà i responsabili non avevano bisogno di niente, ma una di loro iniziò a tirarmi dei bigliettini dove c’era scritto ad esempio: «Ci sono tre persone sedute sulle scale e delle sedie libere in terza fila».
    Andò avanti così per tutto il pomeriggio: lei mi tirava i bigliettini, io mettevo in opera i suoi suggerimenti trasformando in questo modo una giornata iniziata male in una finita bene. Così bene che non l’ho ancora dimenticata.
    Alberto Forni, Milano

    Mi ricordo benissimo quel giorno: la partenza con il pullman da Roma all’alba, noi che eravamo giovanissimi, di fede ma anche di età, l’arrivo a Firenze in quella grande sala, il coro così emozionante, le esperienze bellissime… Io ero molto felice perché avevo realizzato il mio obiettivo: infatti quel giorno, insieme a me, parteciparono la mia migliore amica e altri due cari amici; tutti e tre sono poi diventati membri della Soka Gakkai. La gioia più grande fu proprio aver contribuito al successo di quella riunione impegnandomi nello shakubuku.
    Anna Conti, Roma

    Il Palazzo dei Congressi era gremitissimo e quasi non ci credevo che ci fossero tanti buddisti giovani come me. Il dottor Eiichi Yamazaki ci spiegò un passo de L’apertura degli occhi e fu bellissimo perché la spiegazione di questo difficile trattato fu veramente alla portata di noi giovani, trasmettendoci una grande convinzione negli insegnamenti del Daishonin insieme alla gioia di praticare.
    Manola Fiorini, Firenze

    Praticavo da poco più di un anno e quella sarebbe stata la mia prima esperienza di soka-han in una grande riunione che inizialmente si sarebbe dovuta tenere il 16 marzo. Però mi si presentò un imprevisto: la convocazione per l’esame di un concorso pubblico proprio in quella data. Iniziai a recitare per fare la scelta giusta e alla fine decisi che non avrei dovuto perdere nessuna delle due occasioni. Anche se razionalmente la cosa era impossibile. Poi la riunione venne spostata dal 16 al 18 marzo. Così potei sostenere la prova d’esame e il giorno dopo partire per Firenze. Anche se al momento non capii bene l’esperienza che stavo facendo, e anche se sono trascorsi molti anni, il ricordo di quella giornata è ancora impresso nel mio cuore. Per la cronaca, quel concorso l’ho vinto, e riguardava il mio lavoro di bibliotecario che svolgo ancora adesso.
    Antonio Insinga, Palermo

    Mi incaricarono di fare il vice presentatore (sic!), dovevo dire poche parole, e per far questo arrivai a Firenze la sera prima. Preparavamo ogni cosa con molta attenzione: recitai Daimoku di notte per quei pochi secondi di presentazione. Anche se allora eravamo quasi tutti giovani, da parte degli adulti c’era un’atmosfera di grande euforia e sostegno. Alla fine di tutto, sul palco, mentre il coro faceva la sua performance finale, ci siamo stretti l’uno con l’altro iniziando una specie di ballo spontaneo e vivendo così un momento di grande unità.
    Roberto Minganti, Roma

    Praticavo da sei anni e il giorno dopo ne avrei compiuti trentuno. Avrei dovuto raccontare l’esperienza di come avevo trovato il mio primo lavoro ed ero molto, molto emozionato. Prima di “entrare in scena”, mi fu detto che l’orgoglio per il Gohonzon andava bene. Capii quindi che non si trattava di raccontare quanto fossi stato bravo – cosa che tutto sommato mi imbarazzava – ma quanto fosse grande il Gohonzon. Ho dimenticato quasi tutte le grandi riunioni cui ho partecipato. Quella, no.
    Paolo Muzzolon, Milano

    Questo appuntamento generò un grande entusiasmo: eravamo coinvolti per la prima volta in un evento di portata nazionale. Avevamo il compito di fare oltre mille fazzoletti-ricordo per i partecipanti; li realizzammo in modo artigianale con tanto di stampa dello slogan. Quello che ricordo con maggior soddisfazione e tenerezza è il periodo della preparazione, che all’epoca convergeva tutta in una casa. Lì ci vedevamo per recitare Daimoku, incoraggiarci e discutere quasi a ciclo continuo. Ci siamo molto divertiti e mi è rimasta impressa l’esperienza di dedicarsi a kosen-rufu utilizzando le risorse sia fisiche sia mentali, che soprattutto nei giovani non aspettano altro che essere stimolate a venir fuori.
    Marta Bonomo, Roma

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