Attraverso alcune frasi di Gosho poco conosciute si affronta il tema del rapporto con i genitori. Una relazione che può migliorare solo ricordandosi che nessun cambiamento avverrà fuori di noi prima che sia avvenuto anche dentro di noi
La maggior parte delle storie di vita che arrivano in questa redazione tocca, in maniera più o meno marcata, l’aspetto del rapporto conflittuale con i propri genitori. Tutti siamo figli, molti sono o diverranno genitori, perciò questo tipo di relazione umana è della massima importanza nella vita. Nello scritto Conversazione tra un saggio e un uomo non illuminato, Nichiren Daishonin illustra la profondità e la difficoltà delle relazioni fra genitori e figli: «Persino tra coloro che sono stati padre e figlio, i genitori, una volta rinati, non sanno di essere stati genitori o i figli di essere stati figli; e marito e moglie si incontrano nuovamente, ma non sanno di essersi già incontrati. Ci smarriamo come se avessimo gli occhi di una pecora, siamo ignoranti come se avessimo gli occhi di un lupo. Ignoriamo la nostra relazione passata con la madre che ci ha dato la vita e non sappiamo quando noi stessi dovremo soccombere alla morte» (SND, 7, 30). In questa immagine bellissima, la forza e la debolezza di un legame speciale: secondo il Buddismo genitori e figli sono destinati a incontrarsi più volte nell’eternità dell’esistenza, ma incapaci di riconoscersi.
Parlando delle motivazioni di Nichiren nel percorso della sua ricerca, Daisaku Ikeda nel Mondo del Gosho ricorda che egli espresse il voto di salvare i propri genitori, promettendo di ripagare proprio quel debito di gratitudine che deriva dall’essere stati messi al mondo come esseri umani. Per quanti problemi di relazione si possano avere con i propri genitori, siamo nati grazie a loro. La vita è un’occasione enorme, anche se a volte la disprezziamo perché si è totalmente travolti dalle difficoltà. E questa vita la dobbiamo a loro. Ma quando i genitori hanno lasciato ferite che sembrano impresse a fuoco nell’anima, può essere difficile fare proprio questo concetto di gratitudine. Anzi, ogni occasione diventa buona per rinfacciare a quei genitori il male che ci hanno fatto e farli sentire in colpa.
Approfondire questo argomento porta a far luce su tanti punti oscuri portando a sviluppare, dapprima in fondo al cuore, poi negli atteggiamenti concreti e quindi nelle azioni quotidiane, ciò che afferma Ikeda: «Non importa quanto siano gradevoli i vostri genitori, quel che conta è che essi sono i vostri genitori. Siete nati in una particolare famiglia, in un dato luogo su questo pianeta e in questo determinato periodo. Non siete nati altrove e tale fatto racchiude il significato di tutto» (In cammino con i giovani, esperia, pag. 5). Ovvero qualcosa da cui non si può prescindere. Non si può fuggire, far finta di non avere origini o semplicemente cercare di dimenticare. I genitori sono il legame col mondo e, di fatto, si tratta di una relazione tanto complessa quanto importante per la vita e l’equilibrio emotivo di ciascuno. E nel caso in cui questa relazione sia conflittuale, vale più che mai la lettura buddista delle relazioni umane, che non prevede la contrapposizione fra vittime e carnefici. L’ottica proposta dalla filosofia buddista è quella della responsabilità individuale e della possibilità di incidere attivamente nella propria sfera, ricordando che nessun cambiamento avverrà fuori di noi prima che sia avvenuto anche dentro di noi. Anche per questo il secondo presidente Josei Toda nel 1951 affermava : «Oggi ci sono molti giovani che non amano nemmeno i loro genitori, tanto meno gli altri, noi lottiamo per compiere la nostra rivoluzione umana – per superare la nostra insensibilità e sviluppare in noi stessi il compassionevole stato di vita del Budda». Ikeda commenta: «Questo è vero oggi proprio come lo era ai tempi del signor Toda. La vera fede, la vera rivoluzione umana, significa conseguire uno stato di vita così vasto e amorevole da permetterci di abbracciare con benevolenza non solo i nostri familiari ma tutta l’umanità» (Il Gosho e la vita quotidiana, esperia, pag. 73).
Questa relazione è così importante da portare Nichiren Daishonin a scrivere a un discepolo: «Tra gli esseri viventi dei sei sentieri e delle quattro forme di nascita vi sono uomini e donne. In qualche punto delle nostre passate esistenze, tutti questi uomini e donne sono stati nostri genitori e non possiamo ottenere la Buddità fino a che soltanto uno di essi ne rimane escluso. I due veicoli sono definiti come persone che non sanno ripagare i debiti di gratitudine e che non potranno mai ottenere la Buddità perché il loro senso di devozione filiale non è universale. Il Budda si illuminò al Sutra del Loto e la sua persona fu dotata dei benefici derivanti dalla pietà filiale per le madri e i padri dei sei sentieri e delle quattro forme di nascita» (Lettera a Horen, SND, 9, 63). Ecco, immaginare di avere il compito di condurre all’Illuminazione anche tutti coloro che sono stati nostri genitori nelle passate esistenze ci può dare il coraggio e la forza di rafforzare e di chiarire il legame con i genitori che abbiamo in questa vita, a comprendere profondamente che loro sono esseri umani, come lo siamo tutti, con pregi e difetti.
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La testimonianza / E il nodo si è sciolto
I miei si sono separati quando avevo due anni e questo mi ha sempre condizionato fortemente, sono cresciuta credendo che mio padre fosse morto, così i miei genitori erano mia mamma e mio zio. A dodici anni la notizia: «Tuo padre è vivo e ti vuole vedere. Ti abbiamo mentito solo per il tuo bene». Ricordo ancora le emozioni di conflitto, dolore e senso di colpa per dover scegliere tra due uomini che amavo. Disperata urlai che non lo volevo vedere ma ormai la mia vita era stata scossa e sentii il bisogno di confrontarmi con lui, di conoscere le mie origini e soprattutto di trovare risposta alla mia sofferenza più grande: «Perché non mi ha voluto e non ha lottato per me?». Avevo diciassette anni quando iniziammo a frequentarci e in tutti questi anni ho sperato invano che mi dimostrasse quanto fossi importante per lui, volevo che diventasse il padre che mi meritavo. Per tutta la vita ho lottato tra la rabbia verso mia mamma che mi aveva mentito e tramesso l’odio verso di lui e la rabbia per un uomo che non era capace di fare il padre. Tra noi erano liti furiose alternate a rapporti interrotti per anni e, alla base, un’incomprensione totale. Appena ho iniziato a recitare Daimoku, ho sentito il desiderio di curare questo rapporto doloroso e vivere in una famiglia unita, anche se al momento si odiavano tutti. Daisaku Ikeda scrive: «Alzarsi da sole”: questo è il principio basilare del rinascimento della Legge mistica a cui mirate. Il rinascimento è lo splendore della forza spirituale, che non soccombe a nessuna restrizione esterna, e avviene assieme al profondo cambiamento della vita di “ogni singola persona” che trasforma la famiglia, il quartiere, la società, perfino il destino dell’umanità» (Il giardino dei grandi fiori per il Rinascimento, NR, 239, inserto).
Ci sono voluti sei anni. A volte era come scheggiare una lastra d’acciaio, rimanevo sempre in superficie e lui non cambiava! Ovviamente anche fuori dalla famiglia avevo la stessa paura di non essere accettata, con gli uomini rivivevo il rapporto paterno. Il presidente Ikeda mi ha insegnato che bisogna avere il coraggio di essere sinceri: «agiamo e parliamo con la nostra personalità così, come siamo» e che la cosa importante non è che tutto vada come vogliamo noi ma il valore che si costruisce con ogni persona e in ogni situazione. Così mi sono detta: «Come posso aiutare gli altri se non sono capace di essere me stessa e affermare la verità?». Ho deciso di usare il Daimoku, l’attività per gli altri e lo studio del Buddismo per cambiare me stessa prima di tutto, e diventare una persona forte. Dialogare per me significa relazionarmi senza paura di essere giudicata o abbandonata. Ho iniziato ad aprire il mio cuore fidandomi del Gohonzon. Facendo così ho sempre avuto risposta alle mie preghiere. Qualche anno fa ho cominciato a soffrire di forti attacchi di panico e di conseguenza avevo paura di perdere il lavoro. Mi sono sforzata di essere sincera e sia il titolare che i colleghi mi hanno sostenuto tantissimo. La persona che più di tutti mi ha aiutata e capita è stata proprio la collega con cui avevo più problemi, e abbiamo trasformato il disprezzo reciproco in rispetto e comprensione. Ho deciso di risolvere profondamente la causa dei miei problemi iniziando a guardarli in faccia e mi sono affidata alla cura di uno psichiatra. Per la prima volta ho affrontato tutto da sola, sostenuta dal Daimoku e dallo studio. Per un anno e mezzo ho lottato con forza ogni istante contro la tendenza a scappare e distruggere; intanto apparentemente il rapporto con mio padre non si risolveva. Un giorno esasperata sono andata davanti al Gohonzon e mi sono detta: «Le ho provate veramente tutte, cosa devo fare ancora?». Ho recitato Daimoku con tutta me stessa e a un certo punto è cambiato qualcosa nel mio cuore: il rancore si è trasformato in amore e perdono, finalmente ho perdonato me stessa e mio papà. Si è sciolto un nodo dentro di me. Ho sentito che ormai non mi importava più che lui cambiasse, ero pronta ad accettarlo così com’era, e in quel momento ho capito che avevo risolto veramente. Ho preso coraggio e gli ho telefonato pronta a tutto e come risposta ho avuto una vera sorpresa. Il Daimoku ha veramente il potere enorme di trasformare non solo il nostro cuore ma di arrivare al cuore degli altri. Oltre ogni ragionevole aspettativa trovai un uomo completamente diverso! Sono trascorsi due anni da quella giornata e il nostro rapporto è bellissimo. È diventato un papà comprensivo, presente e mi incoraggia molto. Mi dice sempre di non escluderlo dalla mia vita e parliamo di qualunque cosa; è la persona che mi capisce più di chiunque altro. Grazie a questo ho imparato a relazionarmi con gli uomini in modo diverso perché più cresce il rispetto per me stessa più lo comunico agli altri. Ma non è finita qui. Il mio scopo era che tutta la mia famiglia fosse unita, così quest’anno ho deciso di andare da mio papà con i miei zii per il mio compleanno. La mattina appena alzata mi sono immaginata cosa sarebbe successo: sarebbe stata una giornata tremenda, con la moglie di mio padre che mi avrebbe giudicato e tutti che, come al solito, avrebbero litigato tra loro. Ma subito dopo Gongyo ho avuto un pensiero felice: «Questa è la mia famiglia e la accetto così com’è!». Che giornata splendida è stata! Ridevamo tutti, felici di stare insieme, e poi la “ciliegina sulla torta” del mio trentasettesimo compleanno: a tavola mio papà ha iniziato a parlarmi di lui e della mamma, dicendomi che l’ha amata tanto e che ha sofferto moltissimo, ma non aveva la forza di affrontare la situazione. Per la prima volta ho visto i miei genitori come un uomo e una donna che hanno visto i loro sogni svanire. La mia felicità la dedico a loro.
Sara B.