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Non dualità di corpo e mente - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:54

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Non dualità di corpo e mente

Il Buddismo non pone l’accento sul fatto di essere sani o malati. Piuttosto si concentra sulla condizione di benessere, di rispetto o di fiducia per la propria vita

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Il Buddismo non pone l’accento sul fatto di essere sani o malati. Piuttosto si concentra sulla condizione di benessere, di rispetto o di fiducia per la propria vita

Il principio

Il preambolo della carta dell’Organizzazione mondiale della sanità dichiara: «La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità».
Siamo tutti esseri umani, fatti di carne e ossa. È un fatto innegabile che nessuno può evitare di ammalarsi, prima o poi. Ma le radici della malattia giacciono nelle profondità del nostro essere. Dal punto di vista del Buddismo, la malattia non può distruggere la nostra serenità (a meno che non le permettiamo di farlo) e, dato che la causa della malattia è dentro di noi, anche il rimedio fondamentale per guarire dalla malattia è dentro di noi. È importante ricordarsene.
Mantenersi in buona salute o superare una malattia inizia dalla nostra comprensione della vera natura dell’io. La malattia può essere un’opportunità per costruire una base ancora più solida della nostra felicità, stimolandoci a cambiamenti di vita significativi, benché spesso difficili. Come Nichiren ha scritto nel Gosho La buona medicina per tutti i mali: «La malattia stimola lo spirito di ricerca della via» (RSND, 1, 833).
Ci sono crescenti prove scientifiche di un’intima e inscindibile relazione tra il funzionamento della mente e quello del corpo. In realtà l’espressione giapponese di “non dualità di corpo e mente” è shiki-shin funi, dove funi significa “due ma non due”, nel senso che per quanto la mente e il corpo appaiano superficialmente come due fenomeni distinti, a un livello più profondo sono una sola cosa. Shiki si riferisce a tutto ciò che riguarda i fenomeni fisici, incluso il corpo umano, mentre shin è tutto ciò che appartiene ai fenomeni spirituali e invisibili, incluse razionalità, emozione e volizione.
Da una prospettiva buddista la buona salute, quindi, inizia con la comprensione della vera natura della relazione mente-corpo. La malattia non è solamente un fenomeno fisico, essa può anche riflettere uno squilibrio spirituale nella nostra vita. Come ha spiegato il maestro cinese T’ien-t’ai, esistono cinque componenti che rendono unico ognuno di noi: 1) la forma, cioè il corpo, la materia di cui siamo fatti e che ospita le altre quattro componenti; 2) la percezione, che è la capacità di percepire oggetti ed eventi intorno a noi; 3) la concezione, vale a dire la capacità attraverso la quale, una volta percepiti con i nostri cinque sensi oggetti o fatti della vita, ci formiamo un’idea al riguardo; 4) la volizione, cioè la capacità di prendere decisioni in base all’idea che ci siamo fatti di una determinata situazione; 5) la coscienza, cioè la nostra consapevolezza complessiva del mondo che ci circonda. Ognuno di noi ha una forma unica. Ognuno di noi vede le cose soggettivamente, traendo conclusioni che talvolta sono diversissime da quelle delle altre persone che sperimentano gli stessi fenomeni. Sulla base delle conclusioni che abbiamo tratto, compiamo delle azioni. Questo processo è profondamente influenzato dal nostro grado di consapevolezza della realtà.
Dal momento che le idee, le aspettative e le convinzioni hanno un potente effetto sul funzionamento del corpo, il pensiero distorto (l’illusione) avrà un forte impatto sulla salute e sulla capacità di superare una malattia. Perciò, oltre alle cure mediche è necessario anche un cambiamento di pensiero. Non basta identificare i nostri pensieri distorti: bisogna trasformare il nostro modo di pensare cambiando radicalmente i nostri punti di vista. È la pratica buddista che ci permette di compiere questa trasformazione.
Nel Buddismo cerchiamo di sostituire la visione distorta della vita con la saggezza. Come ha scritto Daisaku Ikeda ne I misteri di nascita e morte: «Risvegliare la natura di Budda permette di neutralizzare gli effetti patologici e di armonizzare gli elementi costitutivi della vita, mantenendo così la stabilità interna. Perciò la natura buddica può essere considerata la forza vitale pura che regola e mantiene l’equilibrio omeostatico della vita individuale e della vita in genere. Quando attingiamo a questa forza vitale […] possiamo accordare il ritmo della nostra vita individuale con quello dell’universo e accrescere così la nostra vitalità e la nostra forza. Questo è l’ideale buddista di buona salute» (Daisaku Ikeda, I misteri di nascita e morte, Esperia, 2004, pag. 64).
Racchiusi nella nostra vita esistono i grandi tesori della natura buddica: la saggezza, la compassione e il coraggio. In termini medici, ogni essere umano è sia uno stabilimento farmaceutico – in grado di produrre le medicine necessarie per evitare o superare le malattie – sia una riserva di tutte le emozioni umane positive che possono influenzare la capacità di combattere la malattia.
La chiave per attingere a questa riserva è recitare Nam-myoho-renge-kyo.

Per approfondire
D. Ikeda, Il bene più prezioso, Esperia
D. Ikeda, La vita mistero prezioso, Esperia, pagg. 13-29
K. Fuji, J. Kemble, L’energia risanatrice, NR, 272, 22
M. Barilari, Un prezioso scrigno, NR, 289, 22

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La fonte della salute

testimonianza di Emiliana Accardo, Ferrara

Ho iniziato a praticare nel 1996 e due anni dopo ho ricevuto il Gohonzon. Fu per me una grande fortuna. Nonostante non avvertissi nessun sintomo scoprii di avere un tumore esteso all’addome; decisi di sfidare la mia paura di vivere e della malattia. Ero sempre stata una persona chiusa che non voleva vedere i propri limiti ma, recitando Daimoku, tirai fuori la forza e la determinazione di voler vincere. Capii che per guarire dovevo sviluppare una fede sincera e percepii che non dovevo più recitare per difendermi dalla malattia, ma dovevo affrontarla e superarla. Iniziai ad apprezzare di più la vita; sentivo come se Nam-myoho-renge-kyo attraversasse il mio corpo ed ero sempre più rigenerata. Superai due interventi ravvicinati con successo e poco dopo mi affidarono la responsabilità di un gruppo. Questa sfida mi aiutò a fare ulteriori passi avanti: mi laureai col massimo dei voti, cominciai a lavorare, a guidare la macchina e feci uno stage all’estero.
Nel 2001 un’altra sfida: la responsabilità di capitolo. Poco dopo conobbi Alberto, il mio attuale marito, che iniziò subito a praticare. Nel 2006 abbiamo realizzato un grande sogno: la nascita di Leonardo. Con gioia dopo due anni scoprii di aspettare un altro figlio, ma insieme si è ripresentata anche la stessa malattia. Ho iniziato una lotta estenuante: una parte del mio corpo si era ammalata ma nel contempo mi stava facendo anche un regalo. Non potrò mai dimenticare tutte le persone che mi hanno sostenuta e incoraggiata quando a stento riuscivo a recitare Daimoku mentalmente. Ho superato un delicato intervento chirurgico al terzo mese di gravidanza con la certezza che avrei visto mio figlio nascere, e il 17 gennaio Emiliano ha visto la luce. Fin dall’inizio sono stata incoraggiata da una frase di sensei: «Un corpo sano non può far molto per migliorare la salute dello spirito mentre uno spirito sano può migliorare la salute del corpo. I mezzi per avere e conservare uno spirito sano sono la convinzione e la pratica buddista, poiché regolarizzano il ritmo della vita. Bisogna dunque preoccuparsi di purificare la nostra vita, fonte della salute dello spirito» (DU, 13, 62). Grazie a ciò ho deciso che al centro della mia vita ci sarà sempre il Gohonzon.

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