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Un sogno di settecento anni e più - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:44

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Un sogno di settecento anni e più

Il 26 gennaio 1975, nel Pacifico, non venne fondata solo la Soka Gakkai Internazionale: prendevano vita anche la visione di Nichiren Daishonin, l’ideale di Tsunesaburo Makiguchi e il sogno di Josei Toda

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«Nam-myoho-renge-kyo si diffonderà per diecimila anni e più, per tutta l’eternità» (Ripagare i debiti di gratitudine, RSND, 1, 658). Questa era la certezza di Nichiren Daishonin nel 1276, frutto del desiderio che gli esseri umani potessero sperimentare il grande insegnamento di Nam-myoho-renge-kyo. Nichiren Daishonin era altresì cosciente che per raggiungere questo obiettivo sarebbe stato necessario attendere l’epoca appropriata e le persone pronte a mettersi in gioco per la propagazione.
Settecento anni dopo, Tsunesaburo Makiguchi, primo presidente della Soka Gakkai, ha piantato i semi per la nascita di un movimento che si sarebbe diffuso nel pianeta. Makiguchi in seguito pagò con la prigionia e la morte questo ideale. Josei Toda, seguì le orme del suo maestro, innaffiando i semi e coltivando quel sogno negli anni difficili del dopoguerra. Il 26 gennaio 1975 la visione di Nichiren, l’ideale di Makiguchi e il sogno di Toda prendono forma nell’opera del terzo presidente Daisaku Ikeda. Quel giorno a Guam, su un’isola nel Pacifico occidentale, venne fondata la Soka Gakkai Internazionale (SGI), organismo costituito dalle organizzazioni dei membri di tutto il globo e Daisaku Ikeda venne eletto presidente.
Da allora, in ogni nazione si è andata costituendo un’organizzazione autonoma che aderisce alla SGI e che contribuisce allo sviluppo delle comunità nel pieno rispetto delle esigenze e della cultura di ogni popolo. In alcuni paesi, la mancanza di una compiuta democrazia sconsiglia una eco pubblica delle attività buddiste e, per la salvaguardia dei fedeli, la SGI preferisce non rendere nota la lista completa dei paesi in cui è presente.
La conferenza di Guam vede riuniti per la prima volta i rappresentanti di chi abbraccia il Buddismo di Nichiren Daishonin nel mondo. Fu il primo passo. L’incontro fu possibile grazie all’impegno dei pionieri e di Daisaku Ikeda che, dal primo anno della sua presidenza (1960), intraprese viaggi per incoraggiare i rari membri sparsi nei vari paesi e incontrò decine di personalità diplomatiche avviando dialoghi ovunque. Grazie al suo impegno e alla capacità di coniugare lo spirito dei suoi maestri, nell’arco di quindici anni il Buddismo di Nichiren Daishonin si è diffuso in tutti e cinque i continenti. Questa lunga fase preparatoria fece sì che quel giorno sull’isola di Guam la SGI nascesse alla presenza di 51 paesi e 158 delegati (a rappresentare l’Italia, Amalia Miglionico e Mitsuhiro Kaneda) che firmarono una Dichiarazione di pace, in cui si affermava: «Poiché la felicità degli esseri umani è necessaria per una pace stabile, ci impegneremo al massimo per contribuire alla gioia di vivere, al fine di assicurare la sopravvivenza dell’umanità.
E faremo della compassione tra le persone di tutto il mondo il credo della nostra epoca» [NR, 320, 22; dall’inizio del 2009 Il Nuovo Rinascimento ha iniziato a pubblicare le nuove puntate del romanzo La nuova rivoluzione umana che narra della nascita della SGI; n.d.r.].

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La carta della SGI

La sfida attuale ai problemi globali passa dallo sviluppo di qualità come la tolleranza e il rispetto dei diritti umani, alla diffusione della libertà di espressione religiosa. La SGI ha stilato una carta dei princìpi comuni a ogni organizzazione locale

Premessa

Noi, organizzazioni costituenti e membri della Soka Gakkai Internazionale, abbracciamo lo scopo fondamentale e la missione di contribuire alla pace, alla cultura e all’educazione sulla base della filosofia e degli ideali dell’insegnamento buddista di Nichiren Daishonin.

Riconosciamo che, in nessun’altra epoca della storia, l’umanità ha sperimentato una giustapposizione così intensa tra guerra e pace, discriminazione e uguaglianza, povertà e abbondanza, come nel ventesimo secolo; che lo sviluppo di tecnologie militari sempre più sofisticate, basti l’esempio delle armi nucleari, ha creato una situazione nella quale è in forse la stessa sopravvivenza della specie umana; che la realtà di violente discriminazioni etniche e religiose produce un ciclo senza fine di conflitto; che l’egoismo e l’intemperanza dell’umanità hanno generato problemi globali, come il degrado dell’ambiente naturale e l’abisso di disparità economica che si va allargando tra le nazioni sviluppate e quelle in via di sviluppo, con serie ripercussioni sul futuro collettivo del genere umano.

Crediamo che il Buddismo di Nichiren Daishonin, una filosofia umanistica caratterizzata da infinito rispetto per la sacralità della vita e da una compassione universale, metta gli individui in grado di coltivare e sviluppare la loro intrinseca saggezza e, nutrendo la creatività dello spirito umano, li renda capaci di superare le difficoltà e le crisi cui l’umanità si trova di fronte, e di realizzare una società di pacifica e prospera coesistenza.

Per questo noi, organizzazioni costituenti e membri della SGI, determinati a levare in alto la bandiera della cittadinanza del mondo, dello spirito di tolleranza e del rispetto dei diritti umani basato sui princìpi umanistici del Buddismo, e a sfidare i problemi globali cui l’umanità si trova di fronte attraverso il dialogo e gli sforzi concreti basati su un costante impegno di nonviolenza, adottiamo questa carta, affermando i seguenti scopi e princìpi:

Scopi e princìpi

  • La SGI contribuisce alla pace, alla cultura e all’educazione per la felicità e il benessere di tutta l’umanità, basandosi sull’assoluto rispetto del Buddismo nei confronti della vita.
  • La SGI, fondata sull’ideale di cittadinanza mondiale, difende i diritti fondamentali dell’essere umano e combatte le discriminazioni.
  • La SGI rispetta e protegge la libertà di religione e di espressione religiosa.
  • La SGI promuove la comprensione del Buddismo di Nichiren Daishonin attraverso gli scambi umani, contribuendo così alla felicità individuale.
  • La SGI, attraverso le organizzazioni che la compongono, incoraggia i propri membri a contribuire alla prosperità dei rispettivi paesi, da buoni cittadini.
  • La SGI rispetta l’indipendenza e l’autonomia delle singole organizzazioni che la compongono, in accordo con le leggi e i costumi di ogni paese.
  • La SGI, in accordo con lo spirito di tolleranza del Buddismo, rispetta le altre religioni, dialoga e collabora con loro alla soluzione dei problemi fondamentali dell’umanità.
  • La SGI rispetta le diversità e si fa promotrice di scambi culturali, per contribuire allo sviluppo di una società internazionale basata sulla mutua comprensione e l’armonia tra i popoli.
  • La SGI, in ossequio all’ideale buddista di simbiosi, sostiene la protezione della natura e dell’ambiente.
  • La SGI contribuisce all’educazione e allo sviluppo della ricerca, al fine di permettere a ogni individuo di sviluppare la propria personalità e godere di una vita realizzata e felice.

24 novembre 1995

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«Prenditi cura di ogni persona»

Sono molte le persone che negli anni Sessanta hanno deciso di lasciare il Giappone per dare il proprio contributo alla diffusione del Buddismo nel mondo. Miyoko Hertrich vive in Europa dal 1970, e attualmente è la responsabile della Divisione donne in Baviera. Koichi ha contribuito allo sviluppo del Buddismo in Germania negli anni Sessanta facendo proprie le parole di sensei: «Prenditi cura di ogni singola persona» che ancor oggi usa come base per sostenere i membri

Miyoko Hertrich (Germania)

Miyoko, nata e cresciuta a Pechino durante la Seconda guerra mondiale, fin da bambina si tormentava con domande esistenziali del tipo: «Cosa succede quando si muore? Dove andiamo?». Al rientro con la famiglia in Giappone, all’età di quattordici anni, iniziò a praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin nel quale trovò la risposta alle sue domande sulla vita e sulla morte e iniziò a nutrire la speranza di vedere felice sua madre che stava lottando per risolvere problemi economici e coniugali. «Anche se ero molto giovane ho partecipato ad alcune lezioni sul Gosho tenute dal presidente Toda. Ho ancora ben presente la sua voce e la sua convinzione. Il suo motto era: “Maketara akan!” cioé, “Non arrendersi mai!”. Quando udì il presidente Ikeda parlare ai giovani incoraggiandoli a imparare le lingue e a costruire delle amicizie in tutto il mondo «per me fu chiaro – racconta Miyoko – che avrei fatto kosen-rufu con lui; avrei studiato lingua e letteratura inglese. Partii per l’Inghilterra, dove conobbi mio marito, svizzero, che poco tempo dopo fu trasferito in un paesino sperduto della Germania. Avevo sempre pensato che con il matrimonio sarebbe iniziato un periodo felice, invece fu una grande sofferenza. Ci trasferimmo a novembre: era freddo e buio, e io non sapevo una parola di tedesco. Abituata a vivere in una grande famiglia, mi sentivo sola. Avevamo pochi soldi e io dipendevo economicamente da mio marito. Lui non è mai stato di molte parole e a me sembrava che parlasse di più con i suoi amici che con me. Consideravo il mio matrimonio un fallimento, e questa situazione non cambiò nemmeno con la nascita dei nostri due figli».
Tuttavia, il parto segnò per Miyoko un cambiamento importante: a causa di un’emorragia si ritrovò tra la vita e la morte. Al suo risveglio dal coma, provò un’immensa gioia di vivere. «Da quando ero arrivata in Germania mi lamentavo di tutto, ma avendo ricevuto molte trasfusioni di sangue iniziai a sentire un forte legame con questo paese, fino a quel momento per me ostile».
Poco dopo il presidente Ikeda visitò Parigi (1974) e lei decise, seppur debole e con due figli piccoli, di partecipare all’incontro. Durante il concerto in onore di sensei, accadde una cosa particolare: la piccola di un anno e mezzo iniziò a piangere e Miyoko fu costretta a lasciare la sala. Quando rientrò, si accorse con disperazione di non riuscire a trovare il figlio di poco più grande. Quando lo scorse, lui, che non si faceva mai avvicinare da nessuno, era in braccio a sensei, che le disse: «Conosco le tue preoccupazioni e continuerò a recitare Daimoku per te!». Anche il giorno seguente, Ikeda, riconoscendola in mezzo a tanta gente si diresse verso di lei esortandola con queste parole: «Continua, continua così!». Miyoko afferma oggi: «Senza quell’incoraggiamento non ce l’avrei mai fatta. Le sue parole mi hanno permesso di cambiare, decidendo di lavorare ancora più intensamente per kosen-rufu, per diventare un’eccellente discepola. Quando abbiamo un maestro possiamo superare qualsiasi problema anche nelle circostanze più difficili. Il legame con Ikeda per me era solo teorico finché non l’ho sperimentato in prima persona. Avevo recitato molto Daimoku per l’occasione e coltivato il mio spirito di ricerca, ma dovevo arrivare a capire questo punto con la vita. Sensei ha diffuso il Buddismo nel mondo: ora sta a noi farlo conoscere al maggior numero di persone utilizzando ognuno la cultura del proprio paese».

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Koichi Sato (Giappone)

Nato nell’isola di Rishiri, nel nord del Giappone, a sette anni Koichi perde il padre e a diciotto anche la madre; è anche cagionevole di salute. Nella sua famiglia le persone muoiono spesso in giovane età e quando gli parlano del Buddismo di Nichiren Daishonin e della possibilità di trasformare il proprio destino, decide subito di entrare a far parte della Soka Gakkai. È il 1957. Quest’anno festeggia cinquantadue anni di pratica buddista.
Nonostante la sua fragile costituzione, ha la fortuna di recarsi anche in Europa come pioniere di kosen-rufu.
«Sono grato al presidente Ikeda dal profondo del cuore perché mi ha sostenuto e guidato, e oggi posso dire che è grazie a lui se sono riuscito a vivere ogni giorno un’esistenza meravigliosa. Poco prima della mia partenza per la Germania riuscii a incontrarlo e in quell’occasione mi offrì alcuni consigli: “Quando sarete dieci famiglie fondate un settore, quando sarete trenta famiglie fondate un capitolo”. E continuò: “Non avere fretta. La cosa importante è prendersi cura di ogni singola persona. Per questo avrai bisogno di coraggio e sincerità. Ma se ti impegnerai così, sicuramente si aprirà sempre una strada davanti a te!”. Mi domandai perché il presidente Ikeda affidava proprio a me l’obiettivo di realizzare trenta famiglie di praticanti: non avevo titoli di studio e non mi riconoscevo grandi capacità. Ma percepii che il mio maestro voleva trasmettermi l’importanza della preghiera: lui era riuscito ad aprire tutte le strade grazie alla preghiera e anch’io, basandomi sulla relazione di non dualità di maestro e discepolo, sarei sicuramente riuscito a realizzare i miei obiettivi. Sensei mi aveva trasmesso speranza e fiducia in me stesso».
Le parole «prenditi cura di ogni singola persona» diventano il suo punto di riferimento e a distanza di tanti anni Koichi continua a coltivare questo spirito nel cuore.
In Germania lavora come minatore a mille metri di profondità, dove le condizioni di vita sono insopportabili. «Stavo così male che a volte pensavo: “Ora muoio!”. La mente umana è davvero terribile; ma tutte le volte che avevo questo tipo di pensiero mi tornava in mente il viso del mio maestro, e allora mi riprendevo dicendo fra me e me: “Non morirò qui sotto!”».
Nel lavoro in miniera ci sono vari ruoli e il suo è sempre in prima linea. Lo fa sia per guadagnare anche solo un marco in più da utilizzare per le attività buddiste, sia per conquistarsi la fiducia dei colleghi tedeschi.
«All’epoca Gongyo era molto più lungo di adesso e lo sforzo di svegliarsi all’alba era immane. La mattina mi svegliavo alle quattro e la sera rientravo a casa dopo le attività verso le undici-mezzanotte. Riuscivo a dormire quattro o cinque ore per notte. Uno dei ricordi più belli è che appena riuscivo a mettere da parte dieci o venti marchi per la benzina, pensavo subito chi potevo andare a incoraggiare».
Il fine settimana lo dedica interamente a visitare i membri che abitano nelle varie città, arrivando anche a percorrere circa duemila chilometri. Il lunedì mattina, spesso con poco riposo alle spalle, torna in miniera serbando nel cuore il suo maestro.
«Sono riuscito a fare tutto questo grazie alla promessa fatta a sensei di fondare un capitolo in Germania. Sono sempre stato convinto che dovessero emergere i Bodhisattva della Terra con la missione di realizzare kosen-rufu in Germania. Perciò in qualsiasi luogo andassi recitavo sempre Daimoku. Poi conobbi Peter Kühn [oggi vice responsabile europeo e consigliere della Soka Gakkai dell’Europa dell’Est, n.d.r.]. Fu un incontro memorabile. Da quando egli entrò a far parte della Soka Gakkai, lo sviluppo di kosen-rufu progredì rapidamente».

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Agire per la pace, l’ambiente, i diritti umani

Come ONG riconosciuta dall’ONU dal 1981, la Soka Gakkai opera nel sociale in vari campi, dall’educazione al soccorso umanitario, all’organizzazione di eventi. Tutto nello spirito di accrescere la consapevolezza e la partecipazione su temi che toccano l’individuo a ogni latitudine

Dal 1981 la Soka Gakkai è anche una ONG, vale a dire un’Organizzazione non governativa (vedi riquadro). È in questa veste che porta avanti l’impegno sociale in varie parti del mondo con una serie di attività per promuovere la pace, la cultura e l’educazione e che opera nell’ambito dei diritti umani e dell’assistenza umanitaria. Come ONG riconosciuta dalle Nazioni Unite (ONU), la Soka Gakkai ha uffici a New York, Ginevra e Vienna, città sedi dell’ONU. Riveste una funzione consultiva presso l’ECOSOC, Consiglio economico e sociale (uno dei principali organi dell’ONU), che agisce da coordinamento dell’attività economica e sociale delle Nazioni Unite e delle varie organizzazioni collegate. La Soka Gakkai è inoltre registrata come ONG presso le seguenti agenzie dell’ONU: l’UNESCO, Organizzazione per l’educazione, la scienza e la cultura; l’ACNUR o UNHCR, Alto commissariato per i rifugiati e l’UNDPI, Dipartimento di pubblica informazione. Nell’ambito delle iniziative dell’ONU, la SGI partecipa ai programmi per il “Decennio di una cultura di pace e non violenza per i bambini del mondo” e gioca un ruolo attivo nella realizzazione del “Programma per i diritti umani nel campo dell’educazione” e nell’ambito del “Decennio per lo sviluppo sostenibile”. Infine, la SGI partecipa ad alcuni network, come la Commissione delle ONG religiose, la Commissione sul disarmo, la pace e la sicurezza e il Gruppo di lavoro su diritti umani, educazione e apprendimento.
Ma vediamo più da vicino quali sono state negli ultimi anni le attività della SGI come ONG, così come risultano dall’ultimo report pubblicato nel 2008 e consultabile al sito www.sgi.org nella sezione “what we do”.

Pace e disarmo

L’impegno della SGI contro gli armamenti nucleari iniziò nel 1957 quando il secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda, fece una pubblica e storica dichiarazione per la messa al bando di tali armamenti. Da allora la SGI ha continuato a battersi per il raggiungimento di questo risultato e per la creazione di una cultura di pace.
Tra le iniziative in proposito ricordiamo due petizioni con raccolta firme in Giappone, nel 1973 e nel 1998. I giovani e le donne della Soka Gakkai giapponese hanno lavorato negli anni alla raccolta di testimonianze di guerra che sono state riunite in due lavori; uno di ottanta, l’altro di venti volumi. Inoltre, è stato realizzato un filmato di donne sopravvissute alla guerra. Sull’argomento sono stati organizzati numerosi eventi, da mostre itineranti, a forum e workshop. Tra questi citiamo: “Le donne e la guerra nel Pacifico”, “Armi nucleari: minaccia per l’umanità”, “Linus Pauling e il ventesimo secolo”, “Da una cultura della violenza a una cultura di pace: trasformare lo spirito umano”. Vanno nell’ottica delle azioni per promuovere una cultura della pace anche la partecipazione della SGI a Manifesto 2000, una campagna appoggiata dai premi Nobel per la pace e dall’UNESCO e la campagna lanciata nel 1999 dalla SGI-USA “Vittoria sulla violenza”. Anche in questo ambito sono state realizzate mostre in tutto il mondo e incontri miranti a elevare la consapevolezza sui temi in questione. Nel 2005, per commemorare il sessantesimo anniversario del lancio degli ordigni atomici su Hiroshima e Nagasaki, le giovani donne della Commissione per la pace hanno realizzato un’indagine sulle attitudini alla pace e alla guerra in Giappone, un modo per comprendere la percezione sul tema della gente comune e per far nascere riflessioni e domande.

Diritti umani

Moltissime sono state le attività della SGI in supporto del “Decennio delle Nazioni Unite per l’educazione ai diritti umani” (1995-2004). Tra queste ricordiamo le mostre contro l’Apartheid, in collaborazione con il Centro contro l’Apartheid dell’ONU e l’African National Congress; quella contro l’Olocausto, “Il coraggio di ricordare” del ’94, ospitata da oltre sessanta città del mondo; “Tesori del futuro: diritti e realtà dei bambini” del ’96, per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’UNICEF; “La città dei diritti umani” realizzata dalla Soka Gakkai italiana nel 2001 sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica e l’Alto commissariato per i diritti umani.
Anche su questa delicata tematica la SGI partecipa agli incontri degli organismi dell’ONU, a gruppi di lavoro e a commissioni speciali con idee e iniziative.
La SGI Canada, in collaborazione con altri gruppi religiosi locali, il 30 marzo 2008 ha organizzato un particolare evento per ricordare il giorno internazionale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, nel quale fu inclusa anche la mostra “Gandhi, King, Ikeda: un’eredità per la costruzione della pace”.
Uno degli eventi più significativi organizzato invece dalla Soka Gakkai Italia tra il ’99 e il 2000 è stata la raccolta di firme, coordinata dalla comunità Sant’Egidio, per la moratoria sulla pena di morte. Le cinquecentomila firme raccolte furono poi consegnate al Senato della Repubblica.

Sviluppo sostenibile

Basandosi sul concetto della non dualità di vita e ambiente, la SGI promuove attività collegate allo sviluppo sostenibile e alla protezione dell’ambiente. Moltissime le mostre su questi argomenti portate in diverse città del mondo. Tra queste: “L’Amazzonia – Il suo ambiente e il suo sviluppo” che ha toccato Rio de Janeiro nel ’92 e, in seguito, cinque altri paesi del Sud America; “I semi del cambiamento: la Carta della Terra e il potenziale umano” esibita per la prima volta a Johannesburg nel 2002 nel corso del Summit mondiale per lo sviluppo sostenibile. Moltissime anche le conferenze e i seminari e alcuni contributi realizzati e tuttora utilizzati a fini educativi. Tra questi il film-documentario “Una rivoluzione silenziosa”, prodotto dal Consiglio della Terra in collaborazione con gli organismi ONU, UNEP (Programma per l’ambiente) e UNDP (Programma per lo sviluppo economico). Infine, una serie di iniziative concrete hanno visto membri della SGI piantare migliaia di alberi nella Repubblica Domenicana, Canada, Filippine, Venezuela, Australia, Thailandia, Nuova Zelanda.

Soccorso umanitario

In questo ambito rientrano un insieme di attività, dalla raccolta di fondi alla fornitura di medicinali, cibo o equipaggiamenti medici in situazioni di emergenza. Attività in questo senso sono state svolte nei campi rifugiati del Nepal, Tanzania e Kosovo. Raccolte di fondi tra i membri della Soka Gakkai sono state fatte a favore dell’Alto commissariato per i rifugiati, a favore dei rifugiati del Rwanda, dei profughi della ex Yugoslavia e per i bambini vittime di conflitti armati. Le raccolte non hanno riguardato solo denaro ma anche libri e computer donati a scuole dell’Africa, a bambini orfani nella ex Yugoslavia o a bambini di zone e isole remote del Giappone. Nel ’93, inoltre, 300.000 radio di seconda mano sono state donate a cittadini della Cambogia che hanno così potuto seguire le prime elezioni democratiche tenutesi nel paese.
In occasione di disastri naturali la SGI-ONG è intervenuta inviando mezzi di sostentamento e volontari. Citiamo, in ordine di tempo, il terremoto del ’95 a Kobe in Giappone, i terremoti del 2001 a El Salvador e in India, lo tsunami del 2004 nel Sud-est asiatico, l’uragano Katrina del 2005 a New Orleans, i terremoti del 2005 in Pakistan e del 2006 in Indonesia, l’alluvione del 2006 nel sud-ovest della Malesia, il tremendo incendio nel 2007 nel sud della California, l’alluvione del 2007 nello stato di Tabasco in Messico, il terremoto del 2008 nel Sichuan, in Cina. Ancora, nel campo dell’intervento umanitario la Soka Gakkai ha sponsorizzato in Giappone, dal 1982, una serie di allestimenti riguardanti il problema dei rifugiati, per far conoscere la questione e stimolare la riflessione. La Conferenza di pace dei giovani della Soka Gakkai del Giappone ha inoltre condotto quattordici missioni per investigare sulle condizioni di vita in quindici campi di rifugiati tra cui Cambogia, Palestina, Somalia, Nepal e Kosovo.

Donne, bambini e giovani

In questo ambito sono state rea­lizzate moltissime mostre, seminari e conferenze anche sponsorizzate dall’UNICEF. Tra gli argomenti trattati i diritti delle donne e dell’infanzia, la condizione dei bambini in aree specifiche del mondo, la cura di malattie e infezioni curabili nel mondo occidentale ma che ancora provocano la morte nei paesi in via di sviluppo. Moltissimi i workshop e gli incontri, spesso in collaborazione con altre ONG e commissioni dell’ONU, sul ruolo delle donne per costruire un futuro di pace. Tra i paesi ospitanti gli incontri, gli USA, dodici paesi dell’America Latina, l’Australia, la Thailandia, Singapore. Nella sfera delle attività per i giovani ricordiamo l’Assemblea generale dei giovani sul modello dell’ONU ospitata regolarmente nel Centro culturale di Taplow Court in Inghilterra, dove per un giorno i giovani delle scuole superiori interpretano il ruolo dei rappresentanti dei governi delle Nazioni Unite.

Dialogo interreligioso

La SGI partecipa in molti paesi ad attività per sviluppare il dialogo tra le diverse religioni nell’ottica della pace e della non violenza. Tra le numerose conferenze ricordiamo quella del 2001 in California, dal tema “Dialogo sulla pace – La prospettiva islamica e buddista”, organizzata insieme ai fedeli musulmani, quella dello stesso anno organizzata dalla SGI Messico, cui hanno partecipato esponenti delle fedi cristiana, ebraica, islamica e buddista, dal titolo: “Unità religiosa attraverso una cultura di pace”. Oltre agli incontri aventi lo scopo di discutere delle modalità attraverso cui le religioni possono contribuire a creare una cultura di comprensione, altri si sono concentrati sui rapporti tra dialogo interreligioso e problemi ambientali e dei diritti umani, come nel caso di quello ospitato all’Accademia delle scienze e delle arti di Salisburgo dal titolo: “La concezione dell’uomo” nel 2003. Altro importante evento è stato nel 2004 il Forum universale delle culture ospitato a Barcellona e organizzato dal parlamento delle religioni mondiali. Infine, nel contesto di queste attività la SGI è membro della Commissione delle ONG religiose alle Nazioni Unite, che è composta da rappresentanti di ONG a carattere religioso, spirituale o etico, e da una serie di forum che lavorano su questo tema specifico.

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Le Organizzazioni non governative: cosa sono, cosa fanno

ONG sta per Organizzazione non governativa, vale a dire indipendente dai governi. Possono essere divise in tre categorie, quelle impegnate in campagne socio-politiche, quelle di soccorso o intervento umanitario e quelle che operano nel campo della cooperazione allo sviluppo. Possono anche essere suddivise per aree tematiche: diritti umani, ambiente, sviluppo (realizzazione di scuole, ospedali, opere strutturali ecc.), scopi umanitari, pace. Può accadere che una ONG operi sia a livello di sensibilizzazione su determinati temi, sia a livello di intervento umanitario o di cooperazione. Quando si parla di campagne socio-politiche ci si imbatte nel termine advocacy, che significa appunto crea­re una rete di informazione e sensibilizzazione nella società civile su questioni riguardanti i diritti umani. L’obiettivo è fare pressione sui governi al fine di raggiungere determinati risultati (vedi ad esempio la campagna di Amnesty International e di altre organizzazioni sull’abolizione della pena di morte). Le prime ONG cominciarono a operare nei paesi in via di sviluppo sulla strada della decolonizzazione, con una valenza soprattutto di tipo solidaristico e religioso. Oggi le ONG si trovano spesso a fare i conti con emergenze umanitarie provocate non solo da disastri naturali ma indotte anche dai numerosi conflitti armati. Un numero sempre maggiore di ONG italiane e internazionali ha fra i propri obiettivi non quello di soccorrere le popolazioni, ma di costituire appunto forza di opinione e di pressione sui governi e di peacebuilding o risoluzione dei conflitti. Molte hanno la propria sede principale a Washington, New York, Bruxelles e Ginevra per avvantaggiarsi della vicinanza a sedi istituzionali europee o all’ONU, per meglio sviluppare la propria funzione di advocacy e fare da ponte con la società civile. Il grande ruolo svolto da alcune organizzazioni in questo senso è dimostrato dalla decisione del Comitato del premio Nobel di conferire per tre volte il riconoscimento per la Pace alla Croce Rossa (1917, 1944, 1963) e ad Amnesty International (1977).

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Nazioni da unire

L’ONU è un grande progetto politico ma troppo spesso ha disatteso le aspettative. Tra i contributi degli esperti su una riforma ormai necessaria delle Nazioni Unite, anche quello di Daisaku Ikeda

Le Nazioni Unite sono state definite uno dei progetti politici più ambiziosi nella storia della nostra epoca (Le Nazioni Unite, Andrea de Guttry, Fabrizio Pagani, ed. Il Mulino). Nascevano infatti all’indomani della Seconda guerra mondiale in un mondo ancora sconvolto dalla barbarie del conflitto e in un secolo che aveva vissuto due guerre globali. L’obiettivo era quello di risparmiare esperienze analoghe alle generazioni future. Il 24 ottobre 1945, data della ratifica dello Statuto da parte degli stati che ne entravano a far parte, nasce ufficialmente l’organismo internazionale che prese il nome di Nazioni Unite dietro suggerimento dell’allora presidente statunitense, Franklin Delano Roosevelt. Quel giorno di ottobre del ’45 i paesi aderenti alle Nazioni Unite erano 50, oggi se ne contano 192. La sede principale è a New York, nel celebre Palazzo di Vetro, altri uffici sono a Ginevra, Vienna, L’Aja e altre città. Questi i suoi organi principali: il segretariato, con funzioni amministrative; il segretario – l’attuale è il sudcoreano Ban Ki-Moon – che svolge una funzione di diplomazia tra gli stati membri e può portare all’attenzione del Consiglio di sicurezza qualsiasi disputa tra stati che mini la pace e la sicurezza; l’Assemblea generale, sorta di parlamento internazionale, formata dai rappresentanti di tutti gli stati aderenti all’ONU; il Consiglio di sicurezza che è l’organo dei poteri decisionali ed è composto da quindici stati membri a rotazione e cinque membri permanenti che esercitano diritto di veto sulle decisioni: Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito, Russia. Una composizione che riflette tuttora gli assetti politici e gli accordi raggiunti dagli stati al termine del conflitto mondiale nella Conferenza di Yalta (4-11 febbraio 1945). Gli altri organismi sono: la Corte internazionale di giustizia con sede all’Aja, che esercita una funzione giurisdizionale sull’applicazione e interpretazione del diritto internazionale ed è costituita da quindici giudici; il Consiglio economico e sociale, composto da 54 membri nominati per tre anni. È questo l’organo principale incaricato della cooperazione economica e del coordinamento dei settori dello sviluppo e dei diritti dell’uomo. Vi sono poi “Agenzie specializzate” come l’UNESCO (Organizzazione per l’educazione, la scienza e la cultura) e l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) e cosiddetti “Organi secondari” che agiscono con fondi e in base a programmi istituiti per compiti specifici. Tra questi citiamo l’UNICEF, il Consiglio dei diritti umani, l’UNHCR (Alto commissariato per i rifugiati), l’UNEP (Programma per l’ambiente).

La SGI “messaggera di pace”

Dal 1981 La Soka Gakkai è entrata a far parte del sistema delle Nazioni Unite come ONG (Organizzazione non governativa). In tale veste ha una funzione consultiva presso il Consiglio economico e sociale (ECOSOC). Lavora, inoltre, a stretto contatto con l’UNESCO, l’UNHCR e l’UNDPI (Dipartimento di pubblica informazione). La condivisione dei princìpi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite ha segnato gli interventi e le azioni della Soka Gakkai in questi anni. Dal 1983, in occasione del 26 gennaio, giorno della fondazione della SGI, il presidente Ikeda invia ogni anno all’ONU un proposta di pace. Disarmo nucleare, dialogo, superamento delle differenze, povertà, questioni ambientali sono tra i temi trattati nel documento annuale. Non senza fornire un’attenta analisi dei problemi in questione e le loro possibili soluzioni. Proprio nel 1983 Ikeda ha ricevuto dall’ONU il Peace Award e nell’87, anno internazionale per la pace, l’intera organizzazione ha avuto la menzione di “messaggera di pace”. Ma la pace nel mondo è davvero difficile da garantire. Non solo per le responsabilità di singoli governanti o gruppi terroristici o fazioni in guerra perenne o avidi mercanti d’armi, ma anche a causa dell’incapacità spesso dimostrata dalle stesse Nazioni Unite di operare con unità d’intenti per un medesimo scopo. Per comprendere il grande obiettivo e il compito che ci si aspettava dall’ONU bisogna leggerne la Carta. Questi in sintesi gli scopi dichiarati nel documento dai suoi firmatari: mantenere la pace e la sicurezza internazionale; risolvere pacificamente le situazioni che potrebbero portare a una rottura della pace; sviluppare relazioni amichevoli tra le nazioni sulla base del rispetto del principio di uguaglianza tra gli Stati e l’autodeterminazione dei popoli; promuovere la cooperazione economica e sociale, il rispetto dei diritti umani, il disarmo e la disciplina degli armamenti. All’entusiasmo degli esordi hanno però fatto seguito spesso delusioni e crisi affrontate in maniera fallimentare. Situazioni che hanno indotto esperti delle relazioni internazionali a parlare di inadeguatezza del ruolo delle Nazioni Unite a risolvere certe questioni. Il genocidio in Rwanda del ’94, il massacro di Srebrenica del ’95, la crisi irachena tanto per citare alcuni casi hanno fatto mettere sotto accusa l’ONU e la sua capacità operativa.
Per queste e molte altre ragioni da molto tempo si parla della necessità di riforma dell’ONU e numerose ipotesi sono state presentate da vari paesi ed esperti.

Le proposte di Ikeda per la riforma delle Nazioni Unite

Ikeda è tra coloro che hanno fornito più volte un contributo in questo senso. Seppure nel preambolo della Carta delle Nazioni Unite si legga: «Noi, i popoli delle Nazioni Unite e i nostri rispettivi governi» esse, sottolinea Ikeda «hanno sempre funzionato come un’organizzazione di governi e […] i popoli sono stati relegati dietro le quinte. Credo che le Nazioni Unite debbano valorizzare il ruolo dei popoli all’interno della propria organizzazione e delle proprie funzioni». Ikeda crede nel ruolo di un organismo come l’ONU «forum di discussione anche nei casi in cui le opinioni sono nettamente contrastanti», ma ribadisce l’assoluta necessità di «porre restrizioni a ciò che era un tempo l’esercizio incondizionato della sovranità nazionale». Quando Ikeda parla di un «rafforzamento delle Nazioni Unite» non si riferisce dunque al potere di singoli stati o governi ma a una vera azione per la pace che «trascenda gli interessi nazionali» per interessarsi davvero di solidarietà umana. L’umanesimo e l’empowerment (vale a dire permettere al singolo di agire, decidere, esprimersi) delle persone, spiega Ikeda, sono la strada che può portare alla pace. Il contributo della Soka Gakkai per ampliare una sensibilità in questa direzione va dalle Università Soka al lavoro di centri di ricerca come il Toda Institute e il Boston Research Center entrambi impegnati negli studi sulla pace. Così come è intensa l’attività di promozione e organizzazione di mostre sui diritti umani, sulla pace, sui problemi legati allo sviluppo e all’ambiente in collaborazione con vari dipartimenti dell’ONU. Anche le attività culturali proposte dall’Associazione Concertistica Min-On e il Museo d’Arte Fuji vanno considerate come un mezzo per diffondere la visione di un’umanità multiforme capace di esprimersi con modalità diverse ma tutte ricche di valore.

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Centri per la pace, la cultura e l’educazione

La SGI è presente oggi in 192 paesi e 82 organizzazioni nazionali e conta oltre 12 milioni di membri in tutto il mondo. È attraverso le scuole e le università Soka, oltre ai numerosi Centri culturali e di ricerca che contribuisce a creare gli strumenti per stabilire una pace duratura

Università Soka – Tokyo
Università Soka americana – Aliso Viejo, California

Nel rispetto della pedagogia di Makiguchi che promuove un’educazione creativa e permanente, nel 1971 Daisaku Ikeda fonda l’Università Soka a Tokyo e nel 2001 quella americana (SUA), in California. Nella prospettiva buddista, l’educazione è un processo integrativo in cui gli studenti acquisiscono consapevolezza dell’interdipendenza tra loro, gli altri e l’ambiente. Saggezza, coraggio e compassione emergono in persone che comprendono l’importanza del sostegno agli altri, alla natura che li circonda e alla causa di pace e libertà. In queste due università gli obiettivi educativi vengono raggiunti attraverso il dialogo aperto e la valorizzazione delle caratteristiche individuali. Le università Soka intrattengono scambi culturali con molti atenei in tutto il mondo, per favorire la costruzione di legami d’amicizia senza confini.

Centro di ricerca ecologica in Amazzonia (CEPEAM)

Dal 1992, anno del Summit della Terra in Brasile a Rio de Janeiro, i membri della SGI sono attivi in tema di salvaguardia ambientale. L’anno successivo è stato inaugurato il Centro di ricerca ecologica in Amazzonia, vicino a Manaus, lungo il corso del Rio delle Amazzoni. Tra le sue attività ci sono la riforestazione, l’educazione al rispetto dell’ambiente e la salvaguardia di specie a rischio. Nel Centro, inoltre, si trova una banca che raccoglie e conserva le sementi delle piante amazzoniche. Ogni anno il Centro riceve circa 1800 visite di cui la maggior parte studenti e ricercatori.

Istituto di filosofia orientale (IOP)

Fu fondato nel 1962, quando il Buddismo di Nichiren Daishonin comincia a diffondersi nel mondo, con l’obiettivo di colmare la distanza tra il pensiero orientale e quello occidentale. Studia il Buddismo in relazione ai vari aspetti della vita e si esprime su problemi sociali e politici quali pace, salvaguardia ambientale, educazione ed etica. La sede principale è ospitata nel campus dell’Università Soka a Tokyo, ma ci sono uffici anche in Francia, Inghilterra e India.

Ikeda Center for Peace, Learning, and Dialogue

Fino al 3 luglio si chiamava Boston Research Center for the XXI Century. È Cambridge (USA), nei pressi dell’Università di Harvard. Fondato nel 1993, opera sulla base del concetto di soka o “creazione di valore”, collabora con università e associazioni civili di tutto il mondo nella ricerca di idee e soluzioni che sostengano l’evoluzione pacifica dell’umanità. Organizza dibattiti pubblici e seminari di ricerca per offrire vari punti di vista su questioni cardine riguardanti l’etica globale. (www.ikedacenter.org)

Istituto Toda di studi politici per la pace

Nasce nel 1996 per realizzare l’obiettivo del secondo presidente Toda di avere un pianeta libero dalle armi nucleari. L’Istituto conduce ricerche di politica internazionale fondate sul potere del dialogo di trasformare e prevenire i conflitti e per trovare nuove strade verso una pace stabile. Organizza conferenze internazionali, pubblica testi per proporre soluzioni globali su temi come il disarmo nucleare, la riforma delle Nazioni Unite, l’etica ambientale, i diritti umani.

Maison Littéraire Victor Hugo

Lo scrittore francese Victor Hugo soleva ritirarsi nel castello Roches, a Bièvres, assieme alla famiglia. In questo castello, dal 1991 è ospitata la Maison Littéraire Victor Hugo. Qui, dove sono state ispirate molte poesie, sono ora raccolte e organizzate in mostra permanente centinaia di opere originali, manoscritti e documenti riguardanti la gioventù, gli amori, gli anni dell’esilio, l’evoluzione politica dello scrittore. La Maison promuove ricerche sull’opera di Hugo in collegamento con specialisti della materia, organizza conferenze e mostre di opere d’arte.

Musei Fuji

«Un museo crea ponti in tutto il mondo», per questo Ikeda ne ha fondati due. Il primo Museo Fuji, inaugurato alle pendici del monte Fuji nel 1973, raccoglie dipinti giapponesi, ceramiche e oggetti in lacca. Le collezioni del Museo Fuji di Tokyo, inaugurato nel 1983 comprendono dipinti e ceramiche occidentali, dipinti a olio giapponesi e sculture. Inoltre, nel 1990 questa galleria ha ricevuto un riconoscimento ufficiale da parte del ministro giapponese degli affari esteri. Questi musei sono molto attivi nel promuovere attività culturali di carattere internazionale.

Min-On

Se al mondo esiste un linguaggio universale, questo è la musica. Dal 1963 l’Associazione concertistica Min-On si prodiga per promuovere una cultura musicale in tutto il mondo e tra persone di ogni età, con un particolare riguardo per i giovani. Promuove concorsi, festival di musica contemporanea, dona CD alle scuole, organizza concerti e scambi culturali. Ha anche aperto biblioteche e scuole musicali. La sede di Tokyo, tra le altre cose, ospita strumenti musicali provenienti da tutto il mondo, una collezione di pianoforti e una biblioteca audio-video.

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Io, studente e fondatore

Simon Hoffding racconta la sua esperienza come studente all’Università Soka in California dove ha potuto respirare e fare propri i cardini dell’educazione Soka: dialogo, apprendimento e rispetto reciproco. Sostegno, amicizia e apertura sono ora parte del suo bagaglio di filosofo

di Simon Hoffding, tratto da World Tribune

L’Università Soka americana (SUA) si trova in una bella zona nel sud della California: è circondata da montagne, ma le famose spiagge californiane sono raggiungibili in auto. Si può andare a teatro o nei molti locali, o a visitare le città di Los Angeles e San Diego. Durante le vacanze sono andato nel deserto, nel meraviglioso Parco Nazionale dello Yosemite, e nella stimolante città di San Francisco ma, nonostante tutte queste possibilità, credo di aver passato gran parte del mio tempo al campus.
Nato e cresciuto a Copenhagen, attualmente frequento un master in filosofia all’Università di Liver­pool, in Gran Bretagna. Ho iniziato a recitare Nam-myoho-renge-kyo poco prima di compiere sedici anni e ho avuto la fortuna di essere stato sempre molto sostenuto, soprattutto dai miei responsabili giovani uomini. Furono proprio loro a incoraggiarmi a fare domanda per iscrivermi a un corso di laurea in materie umanistiche presso l’Università Soka in California.
C’è un legame inscindibile tra la Soka Gakkai e la SUA, dato che quest’ultima è stata fondata dal presidente Ikeda, ma contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, la SUA non è un’università buddista. Non ci sono lezioni sul Buddismo e il programma è completamente laico. Studiare alla SUA per me è stata un’esperienza incredibile, perché mi sono dovuto costantemente sviluppare e porre delle sfide. Ad esempio, tutti gli studenti iniziano il loro primo anno con un corso dal titolo “Gli eterni quesiti dell’umanità” durante il quale si leggono e si discutono i grandi testi filosofici che costituiscono la base della civiltà occidentale, mediorientale, indiana e cinese. Tra questi figurano le opere di Platone, Aristotele, Cartesio, Confucio e Lao Tzu, oltre alla Bibbia, al Corano, al Bhagavad-Gita e alle Upanishad. Fuori dalle lezioni, si fanno molte ore di lettura quotidiana che spesso portano a discussioni filosofiche anche in mensa, durante la pausa per i pasti.
L’università è inoltre ben fornita di impianti sportivi: vi sono una palestra, campi da calcio e da football e una grande piscina; il campus è inoltre circondato da montagne dove si possono fare escursioni.
Per il mio primo corso avevo scritto un saggio sul filosofo tedesco Kant e il mio professore di filosofia, Alain Vizier, mi chiese se volevo scrivere un altro saggio da presentare a una conferenza internazionale a Teheran. Avevo circa tre mesi per preparare il lavoro e decisi di approfondire il rapporto tra etica kantiana ed educazione Soka. Alain mi aiutò, indirizzandomi sul materiale da leggere e aiutandomi a mettere insieme le argomentazioni. Mentre lo preparavo stavo ancora frequentando le lezioni, quindi ero piuttosto stressato, ma i professori e i compagni mi sostennero fino alla fine. Quando arrivai alla conferenza, scoprii che tutti gli invitati erano esperti di Kant. Nonostante l’indubbia conoscenza nel campo, ebbi l’impressione che alcuni professori non riuscissero a comunicare le loro idee con sufficiente chiarezza. Così, in quell’occasione, decisi di diventare un filosofo in grado di parlare sempre in maniera comprensibile e incoraggiante, a prescindere dal livello di “erudizione” raggiunto.
Partecipare a questa conferenza mi dette modo di accrescere la mia esperienza accademica e, dopo il mio ritorno al campus, uno studente del quarto anno si rivolse a me per organizzare un convegno sull’educazione Soka. In soli quattro mesi preparammo la conferenza e individuammo un progetto di ricerca sull’educazione Soka di cui mi sono assunto la responsabilità.
Gli studenti della SUA ricevono molta attenzione dai professori, sempre disponibili. Ho trascorso intere ore passando da una discussione di sociologia a una sullo studio sul greco di Omero, per poi conversare col personale amministrativo, col preside della facoltà, e concludere parlando di meccanica quantistica e relatività con il professore di fisica.
Alla SUA eravamo anche liberi di proporre corsi e progetti. Ho partecipato alla creazione di una comunità di ricerca sovvenzionata portando il mio contributo anche in merito a decisioni di carattere amministrativo. Questo è possibile perché l’educazione Soka è basata sul principio del dialogo, dell’apprendimento e del rispetto reciproco, e sull’idea che gli studenti non siano solo destinatari della conoscenza, ma loro stessi fondatori dell’università. Eravamo stimolati a contribuire per guadagnarci il nome di “studenti Soka”: in altre parole, eravamo incoraggiati a creare valore.
Un altro aspetto importante è l’amicizia. I miei compagni hanno sostenuto il mio viaggio in Iran interessandosi alle mie argomentazioni e scambiando con me le loro idee. Per esempio, la mattina in cui partii di buon’ora per raggiungere l’aeroporto, molti si svegliarono presto per salutarmi; mi consegnarono una cinquantina di biglietti di incoraggiamento e congratulazioni che custodisco ancora oggi. Le amicizie che ho stretto alla SUA sono davvero straordinarie. Abbiamo anche un’espressione per definire un certo tipo di conversazione: “la riunione di corridoio”, quando incontri per caso un altro studente e parli con lui per ore, presi entrambi dall’importanza di quel momento e dal desiderio di scambiarsi opinioni.
Daisaku Ikeda dice agli studenti dell’Università Soka: «Vi prego di godere di una vita studentesca ricca e piena, non solo come rappresentanti di questa istituzione, ma come orgogliosi fondatori e costruttori». Credo che assumere questa responsabilità di “fondatore” faccia nascere nello studente una mentalità diversa. Noi sentivamo che il futuro dell’istituzione poggiava quasi esclusivamente sulle nostre spalle: se non facevamo del nostro meglio, chi avrebbe costruito le fondamenta della SUA? Ora, quando vedo i miei ex compagni, nutro per loro una fiducia profonda. La sola vista di un ex allievo della SUA suscita in me gioiosi ricordi e mi fa desiderare di vivere come un vero fondatore.
Prima di iscrivermi alla SUA non avevo pensato di lasciare la Danimarca, ma ora, grazie a questa fantastica esperienza, ho posto grandi obiettivi per la mia vita. Desidero diventare un eccellente studioso e un professore di filosofia in grado di offrire, anche a organizzazioni come l’ONU, la propria consulenza basata su idee nate dallo studio della filosofia e del Buddismo. Vorrei anche tornare alla SUA, questa volta nel ruolo di insegnante.

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Il giro del mondo in nove paesi

Ogni comunità della SGI si è sviluppata e modellata in armonia con la cultura delle singole nazioni. Raccontiamo le storie di nove paesi attraverso le esperienze di membri e di alcune organizzazioni

Il sole dentro di me

di Gunjan Agrawal (Mumbai, India)

Provengo da una famiglia agiata e pratico da cinque anni. Ho un carattere tranquillo, ubbidiente e mi definisco seria, idealista e indipendente. Finiti gli studi in collegio, a sedici anni, sono tornata a casa con i progetti da brava ragazza indiana. Ma il mondo che mi si aprì davanti negli anni seguenti era molto diverso da come lo avevo immaginato. La mia famiglia versava in gravi difficoltà finanziarie, aggravate da discordie fra parenti. Mio padre si ammalò fino a perdere completamente le forze e smettere di lavorare. A peggiorare la situazione arrivarono i miei pretendenti: ero in età da marito! Da noi è in uso il matrimonio combinato, ma da me si presentavano solo ragazzi con seri problemi fisici o mentali… insomma, un’umiliazione dietro l’altra. Così, mi sono trovata a impacchettare i miei sogni a favore di scelte più pratiche, per esempio, cominciando a lavorare per aiutare i miei in un paese dove per tradizione non si accettano soldi dalle figlie.
Nel 1999 il mio fratello più piccolo cominciò a praticare il Buddismo del Daishonin per trasformare il karma della nostra famiglia. Mia sorella lo seguì a ruota, mentre io optai per altre pratiche di meditazione. Determinata a risvegliare pienamente il mio potenziale, lessi alcuni libri di filosofia che mi aiutarono a trovare delle risposte, ma che di fatto non riuscivo a mettere in pratica. Volevo risposte concrete e volevo capire il senso della mia vita. Mi sentivo completamente vuota: la mia esistenza era un vero tormento. Nel frattempo, grazie ai miei fratelli, avevo avuto occasione di approfondire il Buddismo di Nichiren e di interagire con molti membri della Soka Gakkai. Finché, nel 2004, incontrai una responsabile che mi disse: «Accendi pure i lumi della scienza, ma permetti al sole di sorgere nella tua vita». Recitai Nam-myoho-renge-kyo per la prima volta e ne feci la legge delle mie giornate, lottando seriamente per essere felice.
Sono passati dieci anni da quando mio fratello ha cominciato. Adesso pratichiamo tutti e il karma della mia famiglia è completamente trasformato. I benefici economici sono stati incredibili, il dialogo fra i membri della famiglia è aperto e i legami che abbiamo stretto sono davvero speciali. Ho imparato a seguire la voce del mio cuore basandomi sulla fede. A dispetto del fatto di essere single a trentacinque anni, ho ripreso in mano il sogno di apprendere le arti orafe in Italia e sono venuta a studiare a Firenze. Ho osato, sostenuta dalla Soka Gakkai e dal Daimoku. In Italia ho avuto occasione di comprendere che la SGI è un sostegno fondamentale, anche per chi lascia il proprio paese. Tutto è così diverso e tutto così uguale, indipendentemente da dove siamo, quando recitiamo Daimoku parliamo la stessa lingua e siamo un unico cuore.

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Al tavolo della riconciliazione

di Sipho Ndabambi (Johannesburg, Sudafrica)

Gli anni subito antecedenti alle prime elezioni democratiche in Sudafrica del 1994, furono caratterizzati da incertezza e instabilità. Mentre i partiti riconosciuti e la minoranza di governo elaboravano un processo elettorale, molte regioni erano pervase da scontri tra le opposte fazioni. In questo trambusto politico, nel 1992, iniziai a praticare il Buddismo a Johannesburg. All’epoca ero rappresentante della sezione locale di un partito politico. La filosofia buddista mi incuriosiva, i membri mi incoraggiarono a pregare per trasformare l’impossibile in possibile e iniziai con l’obiettivo che il nostro paese trovasse la pace e la democrazia.
Dal 1993, tutti i gruppi politici si erano impegnati in un accordo nazionale di pace, ma le divisioni e le lotte perduravano, in un’atmosfera di paura e diffidenza. L’accordo prevedeva la costituzione di comitati regionali e nella mia zona io e i miei colleghi prendemmo l’iniziativa. Per il gran numero di partiti politici in gara e la presenza di tanti lavoratori stranieri, la nostra zona era considerata ad alto rischio di violenza.
Iniziai a incontrare altri leader politici per capire se erano disposti al dialogo. Contattammo anche i leader religiosi e le organizzazioni per la pace e lo sviluppo e chiunque potesse veicolare il messaggio di mutuo desiderio per la pace. Mi accostavo alle persone, non sulla base della mia affiliazione politica, ma come membro della comunità.
La pratica buddista mi aveva dato fiducia e la spinta a prendere l’iniziativa. Improvvisamente iniziai a vedere le persone sotto un’altra luce. Ero convinto che col dialogo si potessero risolvere le cose. Le persone sembravano rispondermi diversamente. Sebbene sapessero che ero un leader politico, ovunque andassi ero benaccetto.
Molta della violenza scoppiava tra gli esponenti dell’African National Congress, che aveva il maggior seguito, e quelli dell’Inkatha Freedom Party. In tante zone dove le persone avevano paura di avvicinare i sostenitori dell’Inkatha, il partito veniva lasciato fuori dalle iniziative di pace. Noi riuscimmo a coinvolgere i loro leader.
Ricordo la tensione del primo incontro. Nessuno sapeva che cosa aspettarsi, ma quando ci sedemmo assieme, ci accorgemmo che eravamo tutti “solo delle persone comuni”.
Fissammo degli incontri settimanali in cui ognuno poteva avanzare delle lamentele e qualcuno se ne sarebbe occupato. Invece di parlare delle nostre rispettive posizioni politiche e organizzazioni di appartenenza, cercammo di confrontarci su un piano umano e come persone interessate ai cittadini. Ci chiamavamo coi nomi dei nostri clan che non tenevano conto delle categorie politiche o etniche e questo aiutò a creare un senso di fratellanza.
Grazie a questo tipo di lavoro, gli scontri furono pochi e nessuno mortale. Altrove, fu un’altra storia. Si stima che quell’anno morirono più di ventimila persone in scontri politici. La lezione che imparammo, più tardi aiutò gli attivisti di altre aree.
La mia pratica buddista e la filosofia della SGI del dialogo mi hanno aiutato ad avere un ruolo attivo nella costruzione della pace nella mia comunità. Oggi, diversi anni dopo la prima elezione democratica in Sudafrica, sento che il principio di “fiducia attraverso l’amicizia” resta uno strumento potente per confrontarsi con le sfide della nostra nazione.

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A scuola dai senzatetto

di Richard C. Brown (Atlanta, Georgia, USA)

Nel 1987, dieci anni dopo aver conosciuto il Buddismo all’università, riuscii a superare l’esame per avvocato nello stato della Georgia e ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione forense.
Nel 1996, in occasione della preparazione delle olimpiadi di Atlanta (USA) mi venne offerta la carica di direttore legale della task force per i senzatetto. All’inizio l’idea mi faceva sorridere, la proposta non offriva il genere di successo e riconoscimento che a quel tempo credevo contasse davvero. Sapevo che l’amministrazione cittadina aveva approvato delle leggi incostituzionali contro i senzatetto, ma non mi sentivo in obbligo di fare alcunché. Accettai comunque di incontrare il direttore del progetto.
Entrando nel rifugio, due cose mi colpirono: le donne e i bambini sdraiati sul pavimento e i volontari che facevano funzionare il “telefono amico” 24 ore su 24. Un brano della Nuova rivoluzione umana dice più o meno: «È facile amare gli esseri umani se questi sono amici, ma è difficile prestare assistenza a uno sconosciuto in difficoltà. Troppo spesso le persone evitano il coinvolgimento facendo finta di non vedere che cosa succede […] La realizzazione di ideali come la pace mondiale e l’amore per l’umanità inizia dal modo in cui ognuno si rapporta con le situazioni e i problemi nel proprio ambiente».
Io temevo che l’incarico fruttasse poco, qui invece c’erano persone che lavoravano gratis. Che contributo ero disposto a dare io? Accettai l’incarico.
Non è stato semplice farsi amici i senzatetto. Per loro contava solo quanto li avessi a cuore. La mia concezione della vita era a una svolta. Compresi che chi era stato deprivato delle cose fondamentali dell’esistenza, ne afferrava meglio il valore.
Privati della loro identità sociale, i senzatetto vivono una specie di morte. Ciascuno di noi potrebbe fallire o finire nei guai. Ma la maggior parte di noi ha un sostegno, una famiglia a cui rivolgersi. Essi invece hanno dovuto fare i conti col fatto che a nessuno importava di loro. L’aiuto del governo e delle istituzioni è minimo. A nessuno, spesso nemmeno a loro stessi, importa se vivono o muoiono.
Al rifugio abbiamo formato un gruppo chiamato “Noi, la gente” per promuovere la causa dei senzatetto. Abbiamo parlato agli studenti di scuole e università; protestato contro delle ordinanze; manifestato e tenuto sit-in. Questi sforzi hanno prodotto lo sviluppo di nuovi progetti, opportunità di lavoro, l’abrogazione di ordinanze comunali incostituzionali e un patteggiamento nella causa federale.
I problemi dei senzatetto sono un sintomo di una più diffusa mancanza di spiritualità: la perdita di umanità nella società e nelle istituzioni. Più riusciremo a ripristinare l’umanità, iniziando da noi stessi, e a offrirla agli altri e più contribuiremo a un cambiamento sostanziale. Questa è la visione della SGI, come l’ho capita io.

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Una famiglia internazionale

di Yu Chun Huang (Taipei, Taiwan)

Ho ventisette anni e ho incontrato il Buddismo all’università otto anni fa. Mi piaceva il suono di Nam-myoho-renge-kyo ed ero curiosa di conoscere questa pratica. La mia famiglia è buddista, ma seguace di un’altra scuola. Quando ho sentito una mia amica recitare Daimoku ho riconosciuto quel suono come mio. La Soka Gakkai mi ha dato un aiuto fondamentale in uno dei momenti più difficili della mia vita: dopo solo sei mesi dall’inizio della pratica, ho perso il mio ragazzo in un incidente stradale. È stato terribile, la sofferenza era indescrivibile, ma la forza e la gioia dei miei compagni di fede sono stati fonte di coraggio e sorpresa. Mi sono stati vicino ogni giorno recitando Daimoku per la mia felicità e per accompagnare il mio ragazzo nel suo viaggio verso l’eternità.
Mi sono laureata in Architettura con il massimo dei voti. Con grande stupore dei professori ho portato avanti un progetto molto difficile sulla rivisitazione di un museo antico, decisa a dare il massimo. Aiutata dai miei amici, sono stata a realizzare in pochissimo tempo il lavoro finale che mi ero prefissa.
Poi ho lavorato in uno studio di architettura per un paio di anni, ma ho capito che quello non era il mio ambiente. Essendo molto giovane non venivo rispettata, né come ragazza né come professionista. Ho conseguito il master in progettazione, ho continuato a recitare e a cercare la mia strada: volevo la mia indipendenza. Progettavo di diventare orafa andando contro il volere di mio padre ma lui, alla fine, mi ha aiutata a vagliare le scuole in Europa e negli Stati Uniti. Alla fine abbiamo scelto Firenze e a marzo del 2006 mi ci sono trasferita per studiare lingua italiana e design di gioielli.
Le riunioni buddiste a Taiwan hanno delle caratteristiche un po’ diverse da quelle italiane. A Taiwan si tiene una riunione al mese e si segue un programma stabilito almeno una settimana prima. Alle 19,30 si apre con quindici minuti di Daimoku al termine dei quali si fa Gongyo. Per rispetto dei partecipanti e degli ospiti la riunione non supera mai i novanta minuti. Un giovane conduce il meeting, mentre un membro del Dipartimento di studio legge e commenta un brano di Gosho. La Divisione donne si occupa di trasmettere le informazioni: la comunicazione dei fatti avviene in modo dinamico e divertente e sono previsti anche cinque minuti di ginnastica. Prima della chiusura si ascoltano esperienze di fede e interventi liberi o si risponde alle domande degli ospiti. L’incontro per lo studio del Gosho avviene il primo lunedì del mese, mentre la seconda domenica si recita per la pace nel mondo e si guardano i video delle riunioni del presidente Ikeda. Per fortuna a Taiwan ci sono molti Centri culturali e non dobbiamo percorrere lunghe distanze. La terza domenica è dedicata agli incontri di area e l’ultima settimana è dedicata alla riunione di discussione. Ogni Divisione, a sua volta, organizza un incontro al mese.
In Italia ho ricevuto una splendida accoglienza e attualmente mi sto impegnando molto nello studio per rimanere a lavorare in Italia. Quest’anno ho cominciato a fare attività di protezione (byakuren) in un gruppo multiculturale. Sono felice: mi sento a casa.

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L’ottimismo che si nota

di Claire Wroblewski (Doe Run, Missouri, USA)

Quando Claire Wroblewski si trasferì nella piccola comunità di Doe Run viveva un matrimonio traballante e aveva problemi economici. Accettò il primo lavoro che le capitò: le pulizie notturne in una casa di cura, in modo da potersi prendere cura dei tre figli.
La pratica buddista era l’apice della sua giornata e racconta: «Mi sentivo in relazione con la vita intera, perfino coi fili d’erba che vedevo fuori dalla finestra. Non mi sentivo spaventata, sola o disperata. La recitazione del Daimoku mi fortificava».
Leggere gli scritti del presidente Ikeda accresceva il suo senso di gratitudine nei confronti della vita: «Ero grata di lavorare e, se dovevo pulire i bagni a notte fonda, bene, allora sarebbero stati i più lustri della città».
Il suo ottimismo non passò inosservato. Con sua grande sorpresa, quando il direttore della struttura se ne andò, si adoperò affinché lei prendesse il suo posto. Le venne pagato il corso affinché si diplomasse e passò dalle pulizie alla direzione della casa di cura.
Recitò Daimoku per capire come contribuire alla qualità della vita degli ospiti anziani dei quali era ora responsabile. «Qual è il miglior modo di renderli felici?». Cercò la risposta nel gruppo di anziani più felici che conoscesse, i pionieri della SGI, partecipando a un corso presso il Centro culturale in Florida. Scoprì che tutti, a qualunque età, hanno bisogno di sentirsi utili e così propose una serie di attività per creare delle opportunità, diede vita a un torneo di pesca, un circolo di lettura intergenerazionale e a tanti altri progetti.
Per avere ospiti felici, dovevano essere felici anche le infermiere. Ispirata dal tributo di Ikeda a Florence Nightingale, intitolò a lei un premio per le infermiere che si fossero distinte all’interno della struttura e allestì una mostra a lei dedicata. Creò una borsa di studio quadriennale intitolata a Ikeda/Nightingale per contribuire alle spese per libri e attrezzature. «Ikeda propone tanti modi per incoraggiare chi ci sta intorno – dice Claire – basta farlo».
Ha dato vita alla prima “Camminata della memoria” per la raccolta di fondi per la ricerca sull’Alzheimer. Le prospettarono il fallimento dell’iniziativa, ma lei pregava per superare lo scoramento e ascoltava La nuova rivoluzione umana in audiolibro andando al lavoro. «Le parole di Ikeda mi davano stabilità», dice. «Lo sentivo vicino. Potevo affrontare qualsiasi cosa».
Alla “Camminata della memoria” ella si aspettava al massimo la partecipazione di cento persone, invece furono cinquecento e vennero raccolti venticinquemila dollari. Oggi è un appuntamento annuale. Lo stato del Missouri le ha conferito diversi riconoscimenti per il contributo apportato al miglioramento della qualità della vita.
Per riconoscenza verso le attività del presidente Ikeda, Claire decise di rafforzare i legami tra la sua comunità e la SGI: il risultato è che le autorità locali hanno assegnato numerose cittadinanze onorarie e onorificenze ai coniugi Ikeda.
«La mia famiglia è fortunata. Abbiamo una casa dove ospitiamo le riunioni della SGI-USA, lavoro, gli affari di mio marito prosperano e i miei figli stanno diventando magnifici adulti – dice – questi risultati sono il riflesso degli incoraggiamenti che ricevo dalle pubblicazioni della SGI».

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La metamorfosi del cuore

di Chai Koh Pong (Malesia)

Lavoravo come ingegnere civile e dirigente d’azienda prima di mettermi in proprio nel settore edilizio, nel 1985. Sognavo d’avere successo e un gran giro d’affari come alcuni faccendieri che avevo preso a modello.
Trascorrevo ogni minuto della mia vita a procacciarmi affari, cercando di massimizzare i profitti. Era un mondo in cerca della sola vittoria, sempre sotto pressione, egoista e avido. Rovinare completamente il prossimo era pratica comune, un’apparente necessità. Quella era la mia idea di felicità.
Quando l’economia collassò, alcuni dei miei modelli di comportamento si trovarono in serie difficoltà finanziarie e qualcuno finì in prigione. Questo mandò in frantumi le mie certezze lasciandomi con un senso di vuoto. Sentivo la necessità di riflettere sulla direzione della mia vita, sui miei valori.
Iniziavo a interessarmi di filosofia, quando un vecchio compagno di classe mi fece conoscere il Buddismo di Nichiren, nel 1986. Iniziai a recitare Nam-myoho-renge-kyo e a riscontrare i primi cambiamenti, a partire dalla mia idea di felicità. Invece di gioire per vittorie materiali o unilaterali, percepivo una felicità alimentata dall’altruismo, uno stato d’animo saldo che si bea del semplice essere vivi. La pratica di una corretta filosofia religiosa crea una trasformazione positiva nell’essenza della vita, liberando un potenziale inimmaginabile. Comunicare con gli altri in maniera profonda va al di là del semplice ascolto dell’interlocutore. Le capacità comunicative si basano sullo spirito di compassione e sulla volontà di aprire il proprio cuore.
Questi cambiamenti mi resero una persona più umile e avvicinabile. Iniziai a trattare i miei soci e lo staff con maggior rispetto, gratitudine e sincero interesse. Prima di praticare il Buddismo valutavo l’”importanza” di una persona sulla base del vantaggio che poteva procurarmi ma, per merito delle attività nella SGI-Malesia, ho imparato ad apprezzare il ruolo peculiare di ogni persona che contribuisce al successo di un’impresa.
Invece di spremere ogni goccia di profitto, ora preferisco accordi più equi. I miei giudizi e le mie decisioni comprendono l’interesse per la soddisfazione altrui e di conseguenza la conquista della fiducia dei miei soci. Il mio staff è bendisposto a lavorare sodo e a fare gli straordinari. I miei fornitori fanno di tutto per alzare lo standard del loro lavoro e gli acquirenti mostrano la loro soddisfazione continuando a effettuare acquisti. Relazioni migliori con staff, soci, fornitori e acquirenti vogliono dire meno tempo sprecato nella gestione dei conflitti. Sapere che più soldi non equivalgono sempre a maggiore felicità, mi ha reso meno calcolatore, non mi importa se guadagno meno o investo più tempo o risorse nella costruzione di case migliori. La saggezza conseguita con la pratica buddista ha cambiato il mio modo di amministrare i fondi. Ritengo che la circolazione di denaro sia la chiave per mantenere la solidità degli affari. Sono diventato più selettivo e cauto nell’acquisizione dei progetti. Meno avido.
Quando più imprenditori aderiranno a una filosofia positiva e avranno valori corretti, il mondo degli affari sarà più equo per tutti e la distribuzione della ricchezza più equilibrata. Con meno sprechi di tempo e risorse e una maggiore produttività, il costo delle merci calerebbe, permettendo a più persone di godere di una vita migliore.

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SGI-Taiwan: Dalla parte dei bambini

Taiwan è un’isola dell’Estremo Oriente. Per secoli meta di pirati e scalo commerciale, contesa da diverse nazioni nel corso del tempo, oggigiorno è una megalopoli moderna e industrializzata, aggrappata a frammenti di una cultura antica. Uscendo da Taipei, la caotica capitale, si capisce perché i portoghesi la chiamarono Formosa (bella): i picchi delle alte montagne si immergono in un mare di nuvole; le rocce vulcaniche, lisce e nere, abbracciano le linee costiere; le cascate si tuffano nella nebbia.
L’impegno dell’odierna SGI-Taiwan si concentra nella promozione di uno spirito di responsabilità sociale e nella cooperazione dei membri più giovani. La Divisione studenti, per esempio, è in prima linea con diversi progetti educativi: offre sostegno ai bambini che vivono in zone con infrastrutture scolastiche inadeguate, come nei paesi di campagna, nelle zone colpite dai terremoti, nelle fasce montane e altre aree remote; si preoccupa che i bambini appartenenti a minoranze etniche, spesso orfani o con un solo genitore, riescano a studiare; promuove scambi tra studenti di Taiwan e studenti del continente cinese perché se i ragazzi imparano a comprendere le differenze tra le loro rispettive società attraverso l’esperienza diretta, si costruirà un ponte di pace tra i due vicini.
In riconoscimento delle attività umanitarie promosse, il governo taiwanese ha premiato la SGI-Taiwan numerose volte.

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SGI-Australia: Crogiolo di culture

Deserti e suggestive montagne rocciose, l’aria che odora di polline e vaniglia, strani uccelli dal becco ricurvo che non sanno volare, canguri che girano indisturbati nel loro habitat naturale, fanno da contrasto a grandi metropoli: questa è l’Australia. La costa da Cairns a Brisbane che evoca deserti marziani e sogni tropicali, si combina con le distese di vigneti sulle colline ramate attorno ad Adelaide e con la dinamica e al tempo stesso rilassante Perth, capitale dell’Australia Occidentale. Queste differenze si ritrovano nella popolazione e naturalmente anche nella SGI-Australia, magnifico specchio della società, che oggi conta circa tremila membri appartenenti a trentaquattro diverse culture.
Il primo capitolo della SGI-Australia vide la luce nel 1964 e nel 1977 venne aperto a Sidney il primo Centro culturale. A partire dagli anni ’80, l’attività buddista ha spiccato il volo e si sono tenuti eventi, incontri e festival culturali a livello nazionale. Nel giugno del 2004, per esempio, Dean Lawrence Carter della cappella internazionale Martin Luther King del Morehouse College, su invito dalla SGI-Australia, ha tenuto diverse lezioni pubbliche sulla pace e ha consegnato il premio Gandhi, King, Ikeda a Marie Joan Winch, fondatrice del Marr Modditi Aboriginal Health College, una donna che ha dedicato la vita a migliorare le condizioni sanitarie degli aborigeni.
Negli ultimi anni, la SGI-Australia ha moltiplicato i contatti con le altre confessioni e ha partecipato ad attività sociali e di volontariato. Tutto ciò ha condotto a una fitta rete di relazioni e a un dialogo tuttora in corso con diverse altre organizzazioni che promuovono pace, tolleranza e nonviolenza nella società australiana. Questo fermento di attività si concretizza sia nell’ambito di grandi eventi, sia in piccoli forum, sia in gruppi di lavoro.
I dialoghi interreligiosi assieme alle iniziative di protezione ambientale, sono attività che continueranno in Australia a sostegno della diffusione della solidarietà e dell’amicizia nelle diverse comunità. I membri australiani credono fermamente che non ci siano stranieri nella loro società, solo amici che non hanno ancora incontrato.

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La “ricetta” per la propagazione del Buddismo

Nei volumi della Rivoluzione umana e della Nuova rivoluzione umana la storia della SGI

Quarantadue volumi in totale, tra cui dodici de La rivoluzione umana e trenta previsti della Nuova rivoluzione umana. Un’opera di scrittura imponente, densa di riflessioni, di storie, di vita. Scritta da Daisaku Ikeda, con l’intento di descrivere le azioni svolte all’interno della Soka Gakkai per la propagazione del Buddismo di Nichiren Daishonin.
Daisaku Ikeda inizia la stesura de
La rivoluzione umana nel 1964 con lo scopo di trasmettere alle generazioni future lo spirito e il significato della vita del suo maestro, il secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda. I volumi de La rivoluzione umana descrivono quindi la storia della Soka Gakkai dal dopoguerra al 1958, anno della morte di Toda. Ikeda racconta i suoi primi anni di pratica, la nascita dell’organizzazione, il rapporto con il suo maestro. Non solo consigli nella fede, esperienze personali e lezioni sulla filosofia buddista. La figura centrale di tutto il romanzo è Josei Toda, un modello che incarna l’idea stessa di rivoluzione umana per i discepoli odierni.
Nell’agosto del 1993, Ikeda inizia a scrivere
La nuova rivoluzione umana con l’obiettivo di lasciare un documento che illustri la strada percorsa dai suoi discepoli nello sviluppo di kosen-rufu: «Considero la stesura de La nuova rivoluzione umana – scrive Ikeda nella prefazione del primo volume – come l’opera definitiva della mia vita e in essa ho deciso di riportare, nei limiti delle mie capacità, l’autentico spirito della relazione maestro-discepolo e di dipingere un ritratto fedele dei meriti che i preziosi figli del Budda si sono guadagnati coltivando il sogno di kosen-rufu proprio come ci insegnò il Daishonin». Finora sono stati pubblicati in Italia sedici volumi, ma è nelle intenzioni dell’autore, che sta scrivendo il ventunesimo volume, arrivare fino a trenta. (Me.Dc)

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SGI-Chile: El pueblo unido cileno

Nel marzo 2006, il Cile è stato il primo paese sudamericano a eleggere un presidente donna, Michelle Bachelet. Ma fino a pochi anni prima era stato teatro dalla feroce dittatura di Augusto Pinochet. E proprio in uno dei periodi più cupi della storia cilena, iniziarono a germogliare i semi della Legge. Il primo settore della SGI si costituì nel marzo del 1974, un anno dopo il golpe militare. I primi anni sotto la legge marziale e le disposizioni del ministro della Difesa, le riunioni della SGI potevano essere tenute solo a casa del direttore generale. Nel 1981, nonostante tutto, venne inaugurato un Centro dove, pur sottostando a varie restrizioni, i membri della SGI-Chile iniziarono a promuovere la conoscenza del Buddismo nella società.
Nel 1990, un plebiscito depose Pinochet. Tre anni dopo, per la prima volta il presidente della SGI Daisaku Ikeda andò in Cile e si incontrò con l’allora presidente Patricio Aylwin, una figura chiave nella transizione dal regime militare alla democrazia. Nel corso della sua visita, a Ikeda venne conferita la cittadinanza onoraria di Santiago del Cile, la capitale. La SGI cilena oggi conta circa un migliaio di membri.

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SGI-Brasile (BSGI): In difesa dell’ambiente

Nel 1960, un esiguo gruppo, per lo più composto da emigranti giapponesi, diede vita alla BSGI. Nel 1964, mentre il mondo era alle prese con la Guerra Fredda, iniziano gli anni difficili del governo militare: nessuna libertà politica, nessuna libertà di parola. Arduo promuovere attività buddiste per la pace nel paese, in un paese che non conosce pace. Per i veterani della BSGI fu fondamentale approfondire il Buddismo di Nichiren Daishonin. E così, nonostante il caos sociale, lo sviluppo dell’organizzazione fu costante.
Il vento cominciò a girare negli anni ’80. Finalmente nel 1984 Ikeda riuscì a visitare il paese e si incontrò con il presidente João Baptista de Oliveira Figueiredo, colui che l’anno dopo condusse il paese alla democrazia (vedi anche pagg. 7-8). Nello stesso anno vide la luce la Divisione educatori, oggi un modello per gli educatori brasiliani. Il progetto “Makiguchi in atto”, basato sulle teorie educative del primo presidente della Soka Gakkai, è adottato in oltre cento scuole pubbliche.
Il Brasile ha anche un ruolo cruciale nella salvaguardia dell’ambiente in questo secolo, dato che ospita la più grande foresta pluviale del pianeta. In questo ambito, oltre alle mostre, la BSGI promuove campagne concrete sulla base dei risultati delle ricerche del suo Centro di ricerca ecologica in Amazzonia.
I giovani sono una presenza fondamentale, per esempio hanno dato vita all’apprezzata Orchestra Filarmonica che tiene concerti in tutto il paese. Quei pionieri, oggi adulti, costretti a fare attività in silenzio negli anni difficili, ora sanno che il futuro della BSGI è in buone mani.

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I sogni non sono solo desideri

Tre racconti: Tae, Joana e Victor. Tre storie differenti che si sviluppano in vari continenti, con un denominatore comune: la passione e il coraggio di arrivare fino al traguardo

Nella sede dell’ONU

di Tae Takahashi

A diciotto anni mi sono trasferita da Lugano a Ginevra per frequentare un corso universitario di Scienze dell’educazione e nel 2001 ho cominciato a lavorare nel settore privato accettando il primo lavoro che mi fu proposto.
Nel 2004, un tentativo di suicidio in famiglia mi ha bruscamente aperto gli occhi sull’importanza di utilizzare al meglio il mio tempo e di agire nella società per offrire sostegno concreto alle persone che soffrono. Mi licenziai con il desiderio di mettere a frutto i miei studi. Per tre mesi ho recitato Daimoku per trovare un lavoro che corrispondesse al mio desiderio di aiutare le persone in difficoltà e quando, di fronte al Gohonzon, decisi di affrontare qualunque situazione si sarebbe presentata per raggiungere questo obiettivo, ricevetti una telefonata dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Avevano bisogno di una persona per qualche mese, impegno che poi è diventato quadriennale. Sostenuta dal Daimoku e dagli incoraggiamenti del presidente Ikeda, ogni giorno mi sfido per non lasciarmi influenzare e fermare dalla dura realtà: anche nel campo umanitario, il benessere altrui non è sempre l’obiettivo primario.
Quest’anno, il mio scopo era far conoscere maggiormente il pensiero del presidente Ikeda all’interno dell’ONU e mi è stato proposto un posto in un istituto di ricerca sul disarmo (UNIDIR) che ho accettato a marzo. La mia missione è far conoscere l’intento del nostro maestro all’ONU e ovunque io mi trovi. Adesso mi è chiaro.

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Di scena le mie vittorie

di Joana Craveiro

Dirigo un teatro a Lisbona, ma lavoro anche come attrice e insegnante di teatro. Quando nel 2003 ho iniziato a praticare il Buddismo, a ventinove anni, sono stata particolarmente colpita dagli incoraggiamenti del presidente Ikeda che sprona ogni singolo essere umano a manifestare il proprio potenziale. Ero molto pessimista sia rispetto alla mia professione che in generale. Praticando sono riuscita a realizzare grandi rivoluzioni in tanti aspetti della mia vita.
Basandomi sugli scritti di sensei mi sono sfidata per realizzare tutti i miei obiettivi professionali. Volevo riuscire a mantenermi solo col mio lavoro di direttore di teatro, far riconoscere la mia compagnia teatrale e diventare insegnante nelle migliori scuole di teatro e per questo ho lottato: per un periodo sono rimasta senza lavoro, in altri momenti per riuscire a mantenermi ho dovuto portare avanti due lavori contemporanea­mente. Ma ho continuato a dedicarmi alle attività buddiste e al movimento di kosen-rufu con l’obiettivo di diventare prima un essere umano completo per poi essere una grande artista. Ho vissuto ogni sfida come una battaglia, dedicata al mio maestro, tra la vittoria o la sconfitta: il risultato è stato che quest’anno la mia compagnia teatrale ha ottenuto il riconoscimento dal Ministero della Cultura portoghese, che ci ha anche assegnato un contributo statale che ci permetterà di lavorare per due anni. Nel frattempo sono diventata insegnante a tempo pieno presso un’università situata a ottanta chilometri da Lisbona, e il prossimo anno mi è stato proposto di insegnare presso altre due università. Nel 2006 ho realizzato un altro sogno: avviare una mia scuola di teatro.
Insieme a queste sfide, ogni giorno confermo a me stessa di voler portare avanti la missione per kosen-rufu. Quando sento questo, le mie battaglie assumono un profondo significato e riesco a decidere di vincere di nuovo.
Ikeda scrive: «La fine di una lotta è sempre l’inizio di una nuova lotta. Una vittoria deve essere seguita da un’altra vittoria. Un giovane rivoluzionario è orgoglioso di vivere un’esistenza di continue sfide».

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Un oceano di gratitudine

di Victor Kuwahara

Sono nato a Los Angeles, i miei genitori sono giapponesi, ma mi sento americano a tutti gli effetti. Cresciuto in una famiglia buddista, fin da bambino ho partecipato alle attività della Divisione futuro. Il mio vero interesse è sempre stato il surf, tuttavia con il mio gruppo di amici facevamo anche altro: cominciammo a saltare la scuola, bere alcolici, rubare auto e a commettere azioni ancora più pericolose. Nel periodo più nero della mia adolescenza i miei genitori insistettero affinché partecipassi alla cerimonia di inaugurazione dell’Università Soka di Los Angeles. Non essendo particolarmente interessato arrivai a cerimonia conclusa. Ero felice di poter ritornare a casa subito, ma proprio in quel momento si fermò davanti a me l’auto del presidente Ikeda che mi disse: «Grazie di essere venuto. Desidero condividere con te la mia buona fortuna» e mi consegnò dei regali. Era la prima volta che lo incontravo e non capivo perché quel signore che non mi conosceva aveva voluto incoraggiarmi donandomi addirittura un regalo.
Di punto in bianco, quando frequentavo la terza superiore, ci trasferimmo in un’altra città dove non c’era il mare. Per sopravvivere alla noia pensai di sfruttare le attività buddiste per fare nuove amicizie e mi accadde quello che spiega il presidente Ikeda, ovvero che grazie ad amicizie positive possiamo tirare fuori il nostro potenziale. Grazie alle attività e ai compagni di fede pian piano sono cambiato e, nonostante odiassi lo studio, sono riuscito a laurearmi. Non sapevo quale direzione prendere, ma grazie a uno scritto di sensei dove si legge che la propria felicità dipende dalla fede che abbiamo nel Buddismo e dal dedicarsi agli altri, decisi di iscrivermi al corso di lingua giapponese all’Università Soka a Tokyo. La mia vita, grazie a questa esperienza, è cambiata profondamente. Cresciuto in una società incentrata su se stessa, attraverso il confronto con gli altri studenti stranieri e giapponesi mi sono reso conto del mio spropositato ego. Alla fine del corso ero indeciso se restare in Giappone o ritornare in America. In quel periodo conobbi un professore di Oceanografia che mi incoraggiò a continuare gli studi in questo ambito. Accettai, ma la realtà fu dura, perché mi ero laureato in materie umanistiche e il nuovo indirizzo mi era del tutto nuovo. Per due volte sono stato vicino ad abbandonare tutto, ma ogni volta grazie agli incoraggiamenti del mio maestro a non arrendermi, ho rinnovato la decisione di andare fino in fondo. Alla fine, sotto gli occhi increduli di genitori, parenti e amici sono riuscito a terminare il corso di dottorato, a ottenere un posto di lavoro in uno dei più prestigiosi centri di ricerca degli Stati Uniti e a tornare a fare surf tutti i giorni! In questi anni, col desiderio di ripagare il debito di gratitudine nei confronti del mio maestro mi sono impegnato nel portare avanti il movimento di kosen-rufu in America.
Nel 2005, con grande sorpresa, l’Università Soka di Tokyo mi ha offerto un posto come professore presso la facoltà di Scienze naturali. Il mio obiettivo quotidiano è quello di far crescere studenti pieni di fiducia e coraggio, affinché possano migliorare la società.

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Una Babele costruttiva

Libri e riviste

Con il diffondersi del Buddismo, anche le lingue utilizzate dalle pubblicazioni si sono moltiplicate. Dal greco al malese, dal portoghese al russo. Una carrellata per conoscere il mondo delle pubblicazioni della SGI

Navigo in un sito di libri on line per la ricerca di un testo, quando mi viene la curiosità di provare a cercare se sono disponibili gli scritti di Daisaku Ikeda. Digito il suo nome e inizio la ricerca… Risultato: tre pagine, quarantotto titoli disponibili sul sito, di cui alcuni anche in lingua spagnola (El cerezo, El buda vivente)… Incuriosito, cerco i titoli in lingua spagnola e approdo in uno dei siti della Soka Gakkai nel mondo, quello del Perù. Qui scopro che esistono molti altri testi tradotti in spagnolo. “Torno” in Italia e cerco su un altro sito di libri on line sempre digitando “Daisaku Ikeda”, anche qui appare una serie di tre pagine per altrettanti titoli di scritti di Ikeda. Mi appassiono alla ricerca, e scopro che esistono versioni in moltissime lingue di quasi tutti gli scritti di Daisaku Ikeda: inglese, francese, tedesco, portoghese, greco, cinese, thailandese… Una bella scoperta!
Dalla mia ricerca vengo a sapere che in tutte queste lingue, o quasi, esistono anche riviste analoghe ai nostri Il Nuovo Rinascimento e Buddismo e società, ad esempio Troisième Civilisation (Francia), Forum (Germania), Art of Living (Regno Unito), Cosmic (Malesia), Soka (Canada).
Tra tutte le riviste della SGI riveste un ruolo sicuramente peculiare il trimestrale in inglese SGI Quarterly che ha come scopo “mettere in luce iniziative e prospettive per la pace, l’educazione e la cultura, fornendo un luogo di discussione per una platea variegata”. Infatti la rivista è aperta ai contributi di personalità della società civile, non praticanti, che dicono la loro sull’argomento focalizzato da SGI Quarterly di volta in volta.
Questa molteplicità di traduzioni, quindi di lingue, ha un significato chiaro: è il segno dell’ampia e diffusa propagazione del Buddismo di Nichiren Daishonin. Oggi esso viene praticato in centonovantadue paesi, non a caso pochi anni addietro fu deciso di abbreviare il quotidiano rito di Gongyo con lo spirito di renderlo più accessibile a tutti. Ecco quindi l’importanza di questa “Babele costruttiva”. Nichiren scrive che «la voce compie il lavoro del Budda»; allo stesso modo il Sutra del Loto poté arrivare dall’India al Giappone grazie alla precisa traduzione cinese di Kumarajiva. La lingua esprime l’essere umano e l’essere umano non è più solo nel contatto linguistico.

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