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Il mistero della morte - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:45

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    Il mistero della morte

    Trovare la risposta alle domande sui misteri di vita e morte è forse il risultato più grande che può offrire il Buddismo. Perché, come afferma il Daishonin, «prima si dovrebbe risolvere il mistero della morte, e poi imparare le altre cose»

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    Trovare la risposta alle domande sui misteri di vita e morte è forse il risultato più grande che può offrire il Buddismo. Perché, come afferma il Daishonin, «prima si dovrebbe risolvere il mistero della morte, e poi imparare le altre cose»

    Cercando la definizione di morte sul dizionario della lingua italiana troviamo: «La cessazione delle funzioni vitali negli organismi viventi e nell’uomo» (G. Devoto e G. Oli, Le Monnier, 1995). Come, tutto qui? Come è possibile che in una frase si esaurisca un’intera esistenza? È una domanda che l’uomo si pone da sempre e che nei secoli ha prodotto innumerevoli spiegazioni di natura filosofica e religiosa.
    Facciamo ora un passo indietro. In Giappone, nel piccolo villaggio di Tojo, il 16 febbraio del 1222, in una famiglia di pescatori nasce un bambino che prenderà successivamente il nome con cui verrà ricordato: Nichiren. La vita dei suoi genitori, così come quella di tutti gli abitanti del villaggio che vivevano di pesca, era sempre a repentaglio: uscire in mare, specialmente con le imbarcazioni dell’epoca, era molto rischioso. Chi vive con questo pericolo costante inevitabilmente è influenzato dalle questioni inerenti la vita e la morte. E così fu anche per Nichiren. All’età di undici anni entrò nel tempio Seicho, dove studiò sia gli insegnamenti buddisti che quelli secolari sotto la guida del prete anziano Dozen-bo. In seguito egli scriverà: «Fin da quando ero bambino io, Nichiren, ho studiato il Buddismo con un solo pensiero in mente. La vita umana è fugace. Non sappiamo se a un respiro ne seguirà un altro. Neanche la rugiada portata via dal vento basta a descrivere la transitorietà della vita. Niente è certo per il saggio o lo stupido, per il giovane o per il vecchio. Perciò, pensai che dovevo prima imparare cos’è la morte, e poi imparare le altre cose» (La saggezza del Sutra del Loto, esperia, vol. 3, pag. 206).
    Secondo il Daishonin, quindi, si dovrebbe anzitutto «risolvere il mistero della morte. Tutto il resto è secondario» (Ibidem).
    Anche il principe Shakyamuni, primo Budda storico, fin da giovane si trovò a riflettere sulla morte e sulle altre sofferenze che affliggono gli esseri umani, tanto che abbandonò gli agi e la ricchezza della sua famiglia per vivere di elemosine alla ricerca della verità.
    Il Buddismo si è tramandato poi attraverso i secoli grazie ai discepoli e ai tre presidenti della Soka Gakkai: Tsunesaburo Makiguchi, Josei Toda e Daisaku Ikeda che hanno approfondito e trasmesso gli insegnamenti del Budda Shakyamuni e di Nichiren Daishonin affinché tutti noi potessimo comprendere e trasformare le nostre sofferenze tra cui, in primis, il nostro rapporto con la morte. Ikeda descrive la vita come «una lotta con le realtà di nascita, invecchiamento, malattia e morte».
    Tornando ai giorni nostri, quando parliamo agli altri del Buddismo, generalmente la prima cosa che diciamo è: «Recita Nam-myoho-renge-kyo e vedrai che potrai realizzare ciò che desideri». Di solito si tratta di problemi concreti come trovare lavoro, risolvere problemi di salute, trovare un partner.
    Niente da eccepire perché secondo il Buddismo sono proprio le difficoltà che incontriamo che ci migliorano e ci fanno realizzare la nostra rivoluzione umana.
    Difficilmente, quando parliamo della pratica buddista a un amico o a un conoscente, gli diciamo: «Guarda che praticando correttamente questo Buddismo puoi trasformare la sofferenza della morte». Eppure Ikeda afferma: «Lo stato mentale con cui andremo incontro alla morte influenzerà il corso delle nostre esistenze per l’eternità. Certo, se uno non è preoccupato di come morirà o respinge l’idea di un collegamento tra questa vita e la prossima, non ha bisogno di praticare il Buddismo del Daishonin. Ma la verità è che l’esistenza è eterna e prosegue perfino dopo la morte. Durante lo stadio latente prima della rinascita non possiamo cambiare l’essenza delle nostre vite, non possiamo continuare la nostra pratica buddista. Solo in vita, come esseri umani, possiamo praticare il Buddismo» (Giorno per giorno, esperia, 10 maggio).
    Qual è allora il pensiero da adottare, che ci aiuti a vivere e a praticare includendo questa angolazione? Siamo abituati a considerare la morte come un punto di arrivo dove lasciamo tutto quello che abbiamo costruito. Ma la prospettiva buddista è diversa e parla di un ciclo eterno di vita manifesta e vita latente: «Le cause che una persona crea nel presente si manifestano come effetti nel futuro. Applicando questa semplice legge alla nostra vita, possiamo svolgere le nostre attività quotidiane con un atteggiamento costruttivo e fiducioso, e riconoscere il vero valore della nostra attuale vita in questo mondo. […] Ogni pensiero e ogni azione contribuiscono alla formazione del nostro futuro, sia nella vita che nella morte» (D. Ikeda, I misteri di nascita e morte, esperia, 104).
    Nichiren ci incoraggia a guardare a questo momento non solo come a un passaggio obbligato, ma ci spinge ad allargare il nostro punto di vista per prepararci al meglio a questo incontro inevitabile: «Nessuno può sfuggire alla morte una volta nato come essere umano, quindi perché non praticare in preparazione della prossima vita?» (Lettera a Niiike, RSND, 1, 910).
    La domanda, a questo punto, è: «Ma nello stato di latenza, cioè tra una vita manifesta e l’altra, che cosa accade? Dove vado a finire?». Il presidente Ikeda utilizza la metafora delle onde e dell’oceano. Le onde si innalzano e si inabissano continuamente nell’oceano, ma la massa d’acqua rimane sempre la stessa, mentre sotto la superficie si muovono correnti profonde. Il movimento delle onde può essere paragonato al ciclo di nascita e morte: «L’essenza vitale di un individuo non si estingue con la morte; vita e morte non sono altro che le fluttuazioni della Legge mistica. Le correnti che scorrono nelle profondità dell’oceano emergono in superficie sotto forma di onde, poi si inabissano nuovamente, tornando a essere invisibili. Similmente, un’onda di vita che emerge nella superficie dell’oceano della Legge mistica, nel morire si fonderà nuovamente con quell’oceano e continuerà le sue fluttuazioni invisibili. Quando le condizioni saranno appropriate, quell’essenza vitale apparirà un’altra volta sotto forma di una nuova onda» (BS, 127, 48). La lettura buddista della morte diventa chiara: altro non è che una tappa naturale del nostro viaggio infinito.

    Riferimenti bibliografici:
    Speciale “Vita e morte” in Buddismo e società, 125, pag. 15
    Daisaku Ikeda, I misteri di nascita e morte, esperia, 2004
    Daisaku Ikeda, L’eredità della Legge fondamentale della vita, esperia, 2008

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