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Infinita gratitudine - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 17:52

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Infinita gratitudine

Antonella Incarnato, Genova

In ospedale, di fronte alla sofferenza degli altri, ho pensato che, se non avessi praticato, sarei stata depressa e impaurita. Lì ho capito che fare shakubuku significa salvare una vita, perché nessuno può sapere quali problemi si dovranno affrontare nel corso dell’esistenza

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In ospedale, di fronte alla sofferenza degli altri, ho pensato che, se non avessi praticato, sarei stata depressa e impaurita. Lì ho capito che fare shakubuku significa salvare una vita, perché nessuno può sapere quali problemi si dovranno affrontare nel corso dell’esistenza

Ho iniziato a praticare il Buddismo nel 1982, all’età di ventiquattro anni, grazie a una mia amica. All’epoca eravamo in pochi a praticare in Liguria ed eravamo quasi tutti giovani ed entusiasti.
In quel periodo soffrivo di una malattia autoimmune del sangue, il lupus eritematoso sistemico. È una patologia molto grave che all’epoca era poco conosciuta. Gli unici rimedi erano cortisone e immunosoppressori. Sapere da giovani di avere una grave malattia fa perdere la voglia di vivere e di progettare il futuro. Inoltre, la fine di un amore durato cinque anni mi aveva lasciato una sensazione di vuoto e insicurezza. In famiglia, poi, c’era tensione costante perché i miei genitori litigavano tra loro da anni e noi figli ne risentivamo pesantemente.
Anche per questo avevo deciso di andare a vivere da sola. La mia casa era un monolocale buio in una zona desolata e squallida del centro storico di Genova. Il mio ambiente professionale rifletteva la mia condizione interiore: lavoravo in un istituto per persone senza fissa dimora, in un ambiente malsano e con un orario faticoso. Gli ospiti dell’istituto erano soprattutto alcolisti e poco amanti della pulizia.
Recitando Daimoku ogni giorno, impegnandomi nell’attività per gli altri e nello studio, mi sono rivitalizzata. Ho cominciato a sentir nascere in me la voglia di vivere, quindi facevo progetti e mi mettevo sempre nuovi obiettivi. I miei genitori iniziarono a praticare e in casa, invece che le liti, si sentiva ora il suono del Daimoku. Non solo andavano d’accordo, ma era come se il loro amore fosse rinato: si scambiavano effusioni, tenerezze e andavano a divertirsi insieme. Anche i miei fratelli, dapprima increduli, cominciarono a praticare. Attualmente in famiglia pratichiamo tutti, compresi i miei nipotini.
Ora abito in una bellissima zona della città, in una casa grande e molto luminosa, con vista sul mare e giardino, e lavoro vicino a casa. Anche sentimentalmente la mia vita è cambiata completamente. Dopo anni di solitudine ho realizzato una grande trasformazione interiore. Il lupus mi aveva lasciato numerose macchie sulla pelle e una vistosa alopecia; io recitavo Daimoku per percepire il valore della mia vita, al di là dell’aspetto esteriore, ma quando ho sentito che la mia vita era preziosa e bella come un diamante, ho attratto con il mio Daimoku la persona che aveva tutte le caratteristiche che avevo determinato. Anche Osvaldo, il mio compagno, ha iniziato a praticare.
Grazie alla mia rinascita sono guarita completamente dal lupus, anche se continuo a sottopormi a controlli periodici. L’anno scorso, dopo l’ennesimo controllo dall’esito rassicurante, ho festeggiato bevendo champagne con i miei familiari. Quella notte ho avuto una colica di fegato e la dottoressa mi ha prescritto un’ecografia.
L’esito non era chiaro e ho fatto una TAC, in seguito alla quale mi è stato consigliato di consultare un oncologo. Ho recitato Daimoku per trovare il medico giusto. Il giorno dopo mi ha chiamato l’ematologo che mi aveva in cura per il lupus, dicendo che aveva visto la mia TAC e mi aveva prenotato una biopsia al fegato. Il responso della biopsia era il seguente: linfoma non Hodgkin al quarto stadio con metastasi diffuse.
Non riuscivo né a parlare né a piangere, mi sembrava che respiro e cervello si fossero fermati, ero attonita. Per fortuna c’era con me Osvaldo, che mi ha sostenuta con amore. Tornata a casa ho deciso che avrei recitato molto Daimoku ogni giorno, perché sapevo che la chiave della vittoria stava nell’avere e mantenere uno stato vitale alto.
Mi incoraggiava molto quel brano del Gosho L’apertura degli occhi in cui Nichiren afferma: «Sebbene io e i miei discepoli possiamo incontrare varie difficoltà, se non nutriamo dubbi nei nostri cuori, raggiungeremo naturalmente la Buddità. Non dubitate semplicemente perché il cielo non vi protegge, non lamentatevi perché non godete di un’esistenza facile in questa vita. Questo è quello che ho insegnato ai miei discepoli mattina e sera, ma tuttavia hanno cominciato a nutrire dubbi e ad abbandonare la fede. Gli stupidi sono soliti dimenticare le loro promesse quando viene il momento cruciale» (RSND, 1, 256). Il presidente Ikeda spiega che davanti alle difficoltà il discepolo lotta. Così ho deciso anch’io di lottare.
Ho parlato del mio problema ai miei familiari e alle amiche di sempre. Da tutti ho ricevuto il sostegno più grande e prezioso: il loro Daimoku. Ho anche messo in pratica un consiglio personale per recitare un Daimoku più combattivo.
Il 30 luglio ho iniziato la chemioterapia. Ero tranquillissima, mi sentivo avvolta e protetta dal Daimoku. Il mio organismo, pur essendo debilitato da anni di cure, ha reagito benissimo e non ci sono stati effetti collaterali. Era estate e, nonostante il caldo, le persone venivano da me a recitare Daimoku per sostenermi. Recitando tantissimo Daimoku ho provato una gratitudine infinita per il Gohonzon, per i compagni di fede, per l’ematologo, le infermiere e anche per la chemioterapia. Più ringraziavo e più la gratitudine si estendeva. Sentivo gratitudine anche per la malattia, che mi aiutava a trasformare il mio karma.
Una malattia che ci lascia il tempo per risolvere non è poi così negativa, pensavo.
Tante persone mi volevano bene e lo dimostravano. Volevano con tutte le loro forze che io stessi bene. Sentivo che il modo migliore per contraccambiare il loro affetto era guarire.
Ho concluso i cicli di chemioterapia stando sempre benissimo, con uno stato vitale veramente alto, che si rifletteva nelle reazioni del mio corpo. Dopo quattro cicli il tumore si era ridotto del settanta per cento e il 23 dicembre, dopo la TAC, ho saputo che il tumore era completamente scomparso ed ero guarita.
Il controllo a febbraio ha confermato che la malattia è stata completamente debellata. I capelli mi sono ricresciuti anche dove il lupus aveva bruciato il bulbo pilifero, nonostante i medici mi avessero detto che non sarebbero mai ricresciuti. Inoltre, grazie a tutto il Daimoku recitato, mentre lottavo per vincere la malattia sono riuscita a smettere di fumare e a cambiare lavoro.
In ospedale, di fronte alla sofferenza degli altri, ho pensato che, se non avessi praticato, sarei stata depressa e impaurita. Lì ho capito che fare shakubuku significa salvare una vita, perché nessuno può sapere quali problemi dovrà affrontare una persona nel corso della sua esistenza.
Concludo con una frase di Victor Hugo che Ikeda cita spesso nei suoi discorsi: «Più grande dell’oceano è il cielo infinito, più grande del cielo infinito è il cuore dell’essere umano».

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