Più profonde sono le radici, più rigogliosi crescono i rami; più lontana è la sorgente, più lungo è il corso del fiume
tratto dalla Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 1, pag. 835
E finalmente i frutti
Ho iniziato a praticare ventitré anni fa. Avevo trentasette anni, una separazione alle spalle, una folle paura di ammalarmi di demenza senile precoce come mia madre e un terrore della morte che oscurava ogni attimo della mia giornata. Crescevo mio figlio con stati d’animo di grande amore misti a rabbia e con un senso costante di frustrazione. A tutto questo si aggiungeva una situazione economica veramente precaria. La mia più cara amica, che viveva a Firenze, aveva iniziato a praticare il Buddismo e me ne parlò. Infelice ma testarda la feci penare più di un anno prima di “arrendermi” e cominciare a recitare Nam-myoho-renge-kyo.
«Più profonde sono le radici, più rigogliosi crescono i rami; più lontana è la sorgente, più lungo è il corso del fiume». Questa frase di Gosho è una delle prime che ho studiato; l’ho sempre conservata nel cuore perché mi ha aiutato a comprendere che questo insegnamento meraviglioso non mi sarebbe servito a nulla se non lo avessi ricercato profondamente in me con pazienza e perseveranza e con il desiderio di percorrere tutto il fiume sino al mare senza farmi scoraggiare dai lunghi periodi di trasformazione interiore.
Non è facile spiegare i miei primi tredici anni di pratica buddista; apparentemente non succedeva nulla, ma nonostante continuassi ad avere sempre gli stessi problemi la mia vita, lentamente, guariva. Ho recitato tanto Daimoku, era come un balsamo sulle mie ferite, studiavo la filosofia buddista perché mi dava coraggio e facevo tanta attività per gli altri, perché fin dal primo momento avevo capito che quello che mancava nella mia vita era “il cuore”. Per questo ho cercato di non risparmiarmi, anche economicamente, e a volte ho dovuto scegliere se fare la spesa o mettere benzina nell’automobile per recarmi a sostenere i compagni di fede.
Kimiko Kaneda, l’allora responsabile italiana della Divisione donne, un giorno mi disse che quando si è perduta la “buona fortuna”, l’unico modo per accumularla di nuovo è lodare le qualità del Gohonzon. Ho cercato per questo di non mancare ai vari corsi o alle riunioni, a meno di non creare problemi sul lavoro. Il mio unico cruccio era lo shakubuku: solo due persone avevano iniziato a praticare dopo che ne avevo parlato loro, mentre in famiglia regnava l’indifferenza.
Quando mi sono resa conto che la mia vita era davvero cambiata, mio figlio era ormai grande, la casa pagata, i soldi sufficienti, e mi sembrava di essere tornata ragazza, mi sono chiesta: «In quale nuova sfida posso lanciarmi adesso?». Subito ho capito che avevo accantonato l’aspetto sentimentale. Ho avuto un momento di panico perché la sofferenza bruciava ancora ma poi, recitando davanti al Gohonzon, mi sono detta: «Se ciò serve per la mia rivoluzione umana va bene, ma voglio che sia con una persona buona!».
Sembra incredibile, ma dopo una settimana ho incontrato Nino e da undici anni stiamo insieme. Ha iniziato a praticare anche lui e mi sostiene moltissimo. Grazie a un dialogo sincero e a tanto Daimoku ho un bellissimo rapporto con i suoi figli e nei giorni di festa organizziamo lunghe tavolate dove si ride e si discute.
Intorno al 2000 l’Istituto Buddista ha vissuto un periodo veramente buio e io mi sono trovata come sbalzata in un mondo grigio dove non riconoscevo più nulla di ciò che amavo. Come è scritto in questo Gosho: «Alcuni non hanno ceduto nella pratica, ma lo hanno fatto nel cuore», io continuavo a fare tutto, ma non provavo più nessun sentimento.
Un giorno, mentre andavo al lavoro, ho avuto un brutto incidente nel quale mi sono rotta un piede. Ho sentito che era come se la mia vita mi stesse chiedendo di fermarmi e ascoltare quello che accadeva dentro di me. Iniziai a recitare tre ore di Daimoku al giorno e a leggere La nuova rivoluzione umana. Dopo tre giorni difficilissimi, dove non riuscivo neanche a stare ferma davanti al Gohonzon, mi sono sentita all’unisono col mio maestro. Mi sono ricordata del Gongyo potente recitato dal presidente Ikeda durante un corso in Giappone nel 1990 e ho provato una gioia immensa percependo la mia Buddità.
Dopo sono stata sommersa da una valanga di benefici: mio figlio e la sua ragazza (oggi moglie) hanno iniziato a praticare, e lui ha fatto shakubuku al babbo e alla zia che vive in Argentina, la quale mi ha detto che già tre giovani a cui ha parlato della pratica hanno ricevuto il Gohonzon. Oggi desidero più di ogni altra cosa continuare a incoraggiare ogni persona.
Sento una gratitudine immensa verso il Gohonzon e verso sensei. La mia vita ora è forte, le radici sono profonde e i frutti profumati.
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In questo brano…
Nichiren Daishonin scrive questa lettera nel 1278. Dopo aver trascorso un periodo a Kamakura, durante il quale aveva esposto le sue rimostranze a Hei no Saemon, si stabilisce nel 1274 a Minobu, dove rimarrà fino al 1282. Il destinatario è Shijo Kingo, un suo fedele discepolo, molto abile nelle arti marziali e nella medicina. Il signore di Ema, pur stimando questo rispettabile guerriero, aveva contrastato molto duramente la sua fede negli insegnamenti del Daishonin e, istigato anche da colleghi invidiosi di Kingo, era arrivato a intimargli di abbandonarla, se non voleva finire a prestare servizio in una provincia remota. Poi nel 1277 il signore di Ema si ammalò e dato che Kingo era un bravissimo medico, riuscì a guarirlo. Il signore feudale rinnovò così la fiducia in lui e l’anno seguente, quello in cui Nichiren scrive questa lettera, gli accordò un feudo ancora più grande del precedente. «Tuttavia, dopo averti privato più volte del tuo feudo, mi dici che ora ti ha di nuovo assegnato delle terre. È straordinario!», scrive il Daishonin. Kingo fino a quel momento, non solo aveva mantenuto salda la sua fede, ma aveva anche cercato di convertire il suo signore. Il Daishonin esprime la felicità per il suo discepolo scrivendogli: «Virtù invisibili portano ricompense visibili», intendendo che la fede sincera di Kingo e gli sforzi per convertire il suo signore avevano finalmente portato i loro frutti. Descrive poi i meriti e benefici del Sutra del Loto con le parole che hanno dato il titolo a questa lettera: «Più lontana è la sorgente, più lungo è il corso del fiume». L’anno dopo, il 12 ottobre 1279, il Daishonin iscrive il Dai-Gohonzon, l’oggetto di culto per tutta l’umanità, e nell’ottobre 1282 muore.