Mi fu consigliato di alzare il mio stato vitale e maturare come figlia, trasformando le loro critiche in stimoli per migliorarmi. Senza questo cambiamento, non avrei potuto avanzare nel mio viaggio
Sulla “nave per attraversare il mare della sofferenza” mi sono imbarcata nel 1990, avevo vent’anni, ma me ne sentivo cento! Mi parlarono di Buddismo e di una frase che faceva stare bene: iniziai subito. Il benessere che sentivo mentre recitavo Nam-myoho-renge-kyo si mescolava al dubbio di essere capitata in una setta e anche alla paura di essere giudicata da genitori e amici. Tuttavia, “quei buddisti” mi sembravano persone sincere e felici, e continuai.
Più praticavo, più l’ansia diminuiva. Cominciavo a portare a termine le cose prefissate, il mio stato vitale non ricadeva più tanto in basso, iniziavo ad avere desideri e fiducia in me stessa. Recitando affiorò il primo grande scoglio da affrontare: l’astio verso i miei genitori. «L’inferno è nel cuore di chi disprezza suo padre e trascura sua madre» (Gosho di Capodanno, RSND, 1, 1008) e attraverso il Daimoku percepii che l’avversione verso i miei genitori, soprattutto verso mio padre che sentivo oppressivo e condizionante, era come un veleno che inquinava la mia vita. Mi fu consigliato di elevare il mio stato vitale e maturare come figlia, trasformando le loro critiche in stimoli per migliorarmi. Senza questo cambiamento, non avrei potuto avanzare nel mio viaggio verso la felicità: il rapporto coi genitori rifletteva il mio rapporto con la vita. Decisi di trasformare questo sentimento attraverso il Daimoku e con azioni positive verso i miei cari, finché l’obiettivo iniziale, che mio padre sparisse dalla mia vita, si trasformò nella preghiera che vivesse a lungo e in salute. Così anche la mia salute migliorò e scomparvero i diversi malanni psicosomatici di cui soffrivo da tempo.
Nel ’92 decisi di aderire all’Istituto Buddista e mi proposero di entrare nello staff giovani per la protezione dei Centri culturali. Il fastidio iniziale che provavo nel fare le pulizie al Centro lasciò presto posto alla gioia, perché compresi che questa attività mi offriva l’occasione di “pulire” anche qualcosa dentro di me: sono diventata meno distratta e più saggia, ho appreso l’arte di evitare incidenti e apprezzare la vita. Con spirito di gratitudine e di sfida ho accettato le responsabilità che mi sono state proposte in seguito. Recitare Daimoku per la riuscita di una riunione è la concreta manifestazione dello spirito del bodhisattva, perciò la vita gioisce e risplende al di là delle circostanze in cui possiamo trovarci.
Mio padre, grazie ai miei cambiamenti positivi, acconsentì a finanziarmi gli studi per un corso universitario in fisioterapia all’Aquila, anche se avrebbe voluto vedermi realizzata per gli studi fatti come violinista. Il corso era duro, ma non volevo deludere i miei genitori: recitavo Daimoku per controllare l’ansia da esame e per essere in sintonia con i professori, e così ottenni buoni voti e la laurea con lode. Iniziai subito a lavorare come fisioterapista nella mia città. Dopo tre anni di serio impegno, compresi che il mio desiderio era cambiare città e trovare un lavoro più adatto a me, anche perché quel tipo di professione mi stava creando dei problemi alla colonna vertebrale.
Dopo un anno di forte Daimoku arrivò, da una scuola di Bergamo, la chiamata per un incarico annuale su cattedra completa, assolutamente inaspettata per una persona nella mia posizione in graduatoria! In poche ore ho dovuto affrontare la razionale paura di disdire un contratto a tempo indeterminato come fisioterapista e accettarne uno a tempo determinato per un lavoro mai fatto prima, che mi portava a cominciare una nuova vita molto lontano da casa. L’aver chiarito bene davanti al Gohonzon i miei obiettivi, mi permise di essere pronta a quel repentino giro di boa. Dopo cinque anni di supplenze e un corso per insegnante di sostegno, ora sono docente di ruolo nelle scuole medie. Insegnare: questo è il lavoro che desideravo.
In amore ero sempre stata una frana, avevo il terrore di avvicinarmi a un uomo e di innamorarmi. Dopo sette anni di pratica mi sentivo un po’ anormale in questa mia vita asessuata, arrivando anche a nutrire dubbi sulla mia identità sessuale. Ancora una volta, trovai il coraggio di fare chiarezza dentro di me decidendo di accettare la mia natura, qualunque essa fosse. Sostenuta dalla mia fede decisi di interrompere un percorso terapeutico che mi procurava sofferenza e ne iniziai un altro che in poco tempo mi permise di risolvere i miei problemi.
Sentii che tutto il Daimoku e l’attività fatti mi avevano portato ad affrontare una delle sofferenze della vita: la paura di amare e non essere corrisposta. Dopo pochi mesi mi fidanzai per la prima volta: un amore intenso che finì presto e con molta sofferenza. In quei giorni di lacerazione recitavo Daimoku per vivermi quella pena d’amore, fino ad allora evitata, ma determinai di rialzarmi subito e senza depressione.
Dopo cinque anni di peripezie amorose, arrivai a una tregua: l’amore di un uomo era una parte dell’esistenza, non il tutto. Mentre navigavo cullata da quei pensieri, sulla mia nave s’imbarcò un bel carabiniere, Gianni, proprio quella persona dignitosa che volevo avere accanto e di cui essere fiera. Senza più il terrore di legarmi e “sistemarmi”, nel 2004 ci siamo sposati ed è nata Ginevra. Se ripenso al terrore che avevo della gravidanza, del parto e di non essere una brava madre, mi sembra incredibile avere superato tutti quei limiti in breve tempo.
Oggi sono consapevole che chi pratica questo Buddismo ha la responsabilità di portare armonia in famiglia, limitando i litigi e trovando strategie di valore per risolvere i problemi. Dopo tanto girovagare sono approdata nello splendido Friuli, dove con mio marito abbiamo ancorato la barca e acquistato una casa. Quando sono dovuta tornare per un anno a Teramo, perché sono passata a ruolo, ho vissuto di nuovo a casa dei miei, occasione per migliorare e curare il rapporto affettivo con tutti i miei cari superando le differenze di carattere e opinione.
Con il Buddismo anche le esperienze che sembrano incoerenti apportano un utile valore nella vita: difatti la musica e la fisioterapia mi sono servite per il mio lavoro di insegnante di sostegno. Il confronto che faccio tra la Domiziana di ieri e quella di oggi, mi porta a vedere una persona realizzata che non si affanna più per ottenere benefici materiali, bensì ricerca una dimensione più spirituale perché è attraverso questa che realizziamo ogni aspetto della nostra vita. Nel 2009 sono tornata a San Vito, in una zona dove il Buddismo è poco diffuso, ho “seminato” diversi shakubuku e qualche germoglio comincia a crescere; il mio scopo ora è creare un gruppo rigoglioso. Sono felice di aver avuto il coraggio di salire sulla nave della fede e solcare i mari tempestosi delle mie paure e sofferenze. Ringrazio la Soka Gakkai per avermi guidata e sostenuta in questo viaggio emozionante, a tratti duro, ma alla fine pieno di felici e fortunate realizzazioni!