Ho imparato a lottare contro la mia arroganza, la presunzione, l’orgoglio e la collera che mi avevano impedito di realizzare i miei obiettivi più importanti
Nell’ottobre del 1986, quando ho cominciato a praticare, avevo cinquant’anni e pensavo che la mia vita fosse finita sotto tutti i punti di vista. Ero rimasto solo con mio figlio Igor, la cui mamma era morta presto e avevo alle spalle due matrimoni falliti. La mia condizione economica era precaria e quella di salute non era migliore: soffrivo di esaurimento nervoso, assumevo psicofarmaci e non dormivo più di due ore a notte. La mia professione era quella di montatore cinematografico, ma, a causa delle mie idee politiche, l’azienda in cui lavoravo mi aveva dato un incarico di basso profilo. Inoltre, mio figlio Marco, il maggiore, aveva dei grossi problemi con la giustizia a causa della sua attività politica e, come se non bastasse, mi avevano pure notificato lo sfratto esecutivo! Il mio stato d’animo era così negativo che mi meravigliavo perfino se vedevo ridere le persone per la strada e mi chiedevo: «Ma cosa avranno da ridere?».
Finalmente una mia collega di lavoro mi fece shakubuku e da lì iniziò la mia risalita: dopo il secondo zadankai a cui partecipai ricominciai a dormire e in seguito non ebbi più bisogno degli psicofarmaci. Dopo aver recitato, dove e come potevo, molte ore di Daimoku al giorno, riuscii anche a risolvere progressivamente i miei problemi sul lavoro fino ad arrivare a un incarico di responsabilità, e questo grazie anche a un consiglio di fede che mi diedero i miei responsabili: «Se devi fare una cosa, falla bene, crea valore!».
Mio figlio Marco, però, continuava a darmi grandi preoccupazioni: recitavo continuamente Nam-myoho-renge-kyo per la sua felicità e per la sua salute, sia fisica che psichica, perché sentivo che era in pericolo ogni giorno di più, fino al momento in cui seppi che era stato ricoverato all’ospedale dopo uno scontro a fuoco con la polizia. Per fortuna la ferita non era grave come si pensava all’inizio: il proiettile gli aveva perforato la guancia destra e gli era uscito sopra l’occhio sinistro senza procurare ulteriori danni lasciando stupiti gli stessi medici! E la risalita continuava. Proprio in seguito allo sfratto esecutivo, che mi spinse ad acquistare una casa con grandi sacrifici, ho scoperto di avere insospettate capacità di compravendita nel campo immobiliare, al punto che ho potuto, piano piano, costruirmi una solida posizione economica.
Durante uno dei primi zadankai incontrai Anna, oggi mia moglie, una donna meravigliosa con la quale ho potuto condividere profondamente la mia fede buddista e la mia vita. Stiamo felicemente insieme ormai da ventun’anni!
Tutto questo vissuto positivo, però, non è venuto a caso, ma in conseguenza di una mia trasformazione interiore; ogni beneficio è stato preceduto da una nuova consapevolezza. Nichiren Daishonin dice: «Siedi eretto e medita sulla vera entità di tutti i fenomeni». E così, seguendo questo insegnamento, è iniziata la mia rivoluzione umana. Ho imparato a vedermi per quello che effettivamente ero, a lottare contro la mia arroganza, la presunzione, l’orgoglio e la collera che mi avevano impedito di realizzare i miei obiettivi più importanti. Rivoluzione umana, però, allo stesso tempo, vuol dire realizzare la propria missione come Bodhisattva della Terra dedicando i propri sforzi a kosen-rufu, la pace nel mondo. Non esiste Buddismo senza la pratica per gli altri. Cercai, quindi, di impegnarmi in questo senso: dopo una responsabilità di gruppo, accettai la responsabilità di un settore che, obiettivamente, viveva una situazione difficile: contava infatti un totale di sette presenze in tre gruppi! I primi tempi furono proprio duri, ma facevo attività per gli altri senza risparmiarmi. Oggi formiamo due capitoli con un coinvolgimento di circa trecento praticanti.
Dopo un episodio di ischemia cerebrale nel 2007, che tuttavia non mi lasciò nessuna conseguenza, a giugno del 2008, in seguito a una forte tosse complicata da emottisi, sono stato ricoverato con la diagnosi di un sospetto tumore al polmone, avvalorato da indagini radiologiche di vario tipo. Il 28 luglio dovevo essere operato. Nel frattempo, a casa nostra si recitava molto Daimoku, anche otto ore filate, soprattutto da parte mia, di mia moglie e di mio figlio Igor, supportati in modo vigoroso da tutto il capitolo, con lo scopo di vincere contro la malattia che stava colpendo anche altri compagni di fede.
Spesso mi veniva in mente la frase del Gosho I due tipi di fede che dice: «È vero che nella tua famiglia qualcuno è malato? Se è così, non può essere opera dei demoni. Probabilmente le dieci fanciulle demoni stanno mettendo alla prova la tua fede. Nessun demone degno di tal nome vorrebbe farsi rompere la testa per aver molestato un devoto del Sutra del Loto» (RSND, 1, 799).
Il giorno dell’operazione, con il camice già pronto per la sala operatoria, la dottoressa che mi seguiva mi comunicò il risultato degli ultimi esami: la TAC aveva evidenziato una riduzione significativa del nodulo al polmone, il presunto tumore, e le altre indagini indicavano che non esisteva nessuna neoplasia, per cui potevo fare la valigia e tornarmene a casa!
Senza voler fare la parte del miracolato dico solo che, poiché il Daimoku pervade l’universo, sicuramente… ha fatto una visitina anche al mio polmone!
Questa esperienza sulla malattia mi ha fatto riflettere profondamente sulle quattro sofferenze di nascita, vecchiaia, malattia e morte con le quali tutti dobbiamo fare i conti e anche sul fatto che ogni evento apparentemente negativo può avere un risvolto positivo. Nel mio caso ha portato, tra l’altro, al riavvicinamento dei miei due figli più grandi, Marco e Michela, che non vedevo da quattordici anni, che hanno manifestato, al di là di vecchi contrasti, un affetto nei miei riguardi addirittura commovente. C’è da dire che il merito di questa riconciliazione è di mio figlio Igor, che l’ha preparata e poi realizzata, con tre ore di Daimoku al giorno e con l’offerta della sua attività di protezione come soka-han e keibi.
Concludo questa mia esperienza ringraziando con il cuore pieno di gratitudine tutte quelle persone che mi hanno sostenuto durante questo mio percorso, Nichiren Daishonin, la Soka Gakkai e il presidente Ikeda da cui ho imparato questo insegnamento meraviglioso perché oggi, dopo ventidue anni di pratica costante, posso proprio dire, come il famoso film di Benigni, che: «La vita è bella!».