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Quando limite si traduce opportunità - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:12

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    Quando limite si traduce opportunità

    Accade ogni volta che usiamo le debolezze, i difetti e quelli che a prima vista sembrano fallimenti per ripartire proprio da questi con tutte le energie che abbiamo. È così che le potenzialità inespresse manifestandosi diventano la prova della Buddità presente in ogni singolo aspetto dell’esistenza. Sia quello che ci piace, sia quello che vorremmo eliminare

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    Accade ogni volta che usiamo le debolezze, i difetti e quelli che a prima vista sembrano fallimenti per ripartire proprio da questi con tutte le energie che abbiamo. È così che le potenzialità inespresse manifestandosi diventano la prova della Buddità presente in ogni singolo aspetto dell’esistenza. Sia quello che ci piace, sia quello che vorremmo eliminare

    Conoscete quella storiella della rana che riuscì a salvarsi dopo essere caduta in una fossa profondissima? Due rane mentre viaggiavano attraverso la foresta caddero in un fosso e quando le altre rane videro quanto profonda era la buca, affacciandosi al bordo, cominciarono a dire loro che non ce l’avrebbero mai fatta a risalire. Una delle due, dopo aver tentato di uscire a grandi salti, si rassegnò, e dando per certa la predizione delle compagne, si lasciò andare e morì. La seconda invece continuava a saltare più in alto che poteva. Le altre rane ricominciarono a urlare di smettere di lottare invano e di lasciarsi morire. Proprio allora la rana raccolse tutte le sue energie e riuscì a fare quel salto che la portò fuori dal fosso. Quando le compagne le chiesero come avesse fatto a non arrendersi, lei spiegò che era sorda. Per tutto il tempo aveva creduto che la stessero incoraggiando…
    Quante volte nella vita reale un difetto può rivelarsi il miglior vantaggio e una debolezza la più utile delle occasioni! Eppure, l’influenza esterna sulle nostre azioni e percezioni è spesso talmente forte da determinare successi e insuccessi, vittorie e sconfitte. Ma siamo sicuri che si tratti di fattori esterni? La rana sorda della storiella non ha fatto altro che immaginare le frasi che le compagne stavano urlando. Per sua fortuna era una rana ottimista. Così ha creduto nel sostegno delle altre e nella propria capacità di farcela. E se l’è cavata. Perché nella sua testolina ronzavano tre semplici paroline: «Ce la farò».

    Forte è chi trasforma le difficoltà in vantaggio

    Riuscire a volgere tutto a proprio vantaggio, anche le difficoltà, vuol dire essere una persona forte, ci ricorda il presidente Ikeda (vedi Il Gosho e la vita quotidiana, esperia, pag. 15). Ma cosa vuol dire volgere tutto a proprio vantaggio? E come si fa? Forse il primo passo è ignorare le voci esterne (che spesso non sono altro che proiezioni di ciò che noi stessi pensiamo), che continuano a ripeterci che non ce la faremo, che in noi c’è qualcosa di sbagliato, che quell’ostacolo è insormontabile e che anche il nostro aspetto… beh, lasciamo perdere. Ma se esistesse una macchina con cui potessimo scegliere che aspetto avere, che tipo di qualità intellettuali, quale posizione sociale occupare, probabilmente ci sentiremmo smarriti, confusi, incapaci di scegliere o desiderosi di modificare di nuovo la nostra scelta qualche attimo dopo. Per fortuna non disponiamo di una macchina come questa. Abbiamo però un grande vantaggio: noi stessi, da cui partire e ripartire sempre. Comunque siamo, comunque sia. Le potenzialità presenti in ognuno di noi sono infinite. E uniche. Come unico è ognuno di noi. Ecco perché è davvero un peccato, una perdita, privare noi stessi e gli altri del contributo che possiamo dare. Vincendo i nostri timori e quelle insidiose “voci di dentro” che mal ci consigliano.
    Il carattere cinese per la parola crisi, viene utilizzato anche per definire la parola opportunità. In realtà è una questione di percezione. Le situazioni in sé sono indifferenti, la loro natura è semplicemente portata a galla dalla nostra maniera di percepirle e affrontarle.

    Mettersi in viaggio, comunque sia

    A cavallo tra Settecento e Ottocento James Holman, conosciuto come “il viaggiatore cieco”, divenne famoso per le sue missioni impossibili. Rimase cieco intorno ai vent’anni per una malattia, ma decise di non lasciarsi imprigionare dall’handicap e continuò a portare avanti i suoi progetti di esploratore. Aiutato dall’affinata capacità degli altri sensi e dall’uso del noctografo (uno strumento che gli permetteva di scrivere) viaggiò in Europa, Asia, Africa, finendo quasi assiderato in Siberia dove altri non si erano ancora spinti, documentando per le riviste specializzate dell’epoca, incontri, mappe, storie di popoli. Il suo motto era: «Le cose migliori le ho viste con i miei piedi».
    Pensiamo anche agli atleti diversamente abili che hanno riportato grandi risultati alle Paraolimpiadi. Automobilismo, equitazione, pattinaggio, sci nautico, sono solo alcune delle discipline praticate da sportivi disabili. Non ci sono ostacoli, ci trasmettono queste persone ogni volta che salgono su un podio. Persino mali come ansia, depressione, follia, possono essere un mezzo per aprirsi al mondo.
    Nel 1994 il premio Nobel per l’economia venne assegnato a John Nash per la sua Teoria dei giochi. Nash, ricercatore americano, ha trascorso venticinque anni chiuso in manicomi con una diagnosi da schizofrenia paranoide. Ed è in quegli anni di pazzia che ha elaborato gli studi che lo avrebbero portato al Nobel.
    Ma non esistono solo casi che definiremmo eccezionali. Le esperienze, lette e ascoltate, di persone che sono riuscite a cambiare situazioni incredibili e grandi sofferenze partendo dal punto in cui si trovavano, sono tantissime. Persone che hanno superato malattie e da quelle malattie hanno tratto coraggio per divenire più energici e attivi nella società; persone che hanno fatto bancarotta e che hanno ricominciato da zero con idee innovative e vincenti; persone che dopo un incidente stradale sono rimaste immobilizzate su una sedia a rotelle ma invece di pensare “sono spacciato” hanno riaffermato il valore della loro esistenza coltivando la passione per l’arte che avevano invece tralasciato in precedenza. Queste persone sono i nostri compagni. Gente come noi.

    Vincere è mettersi in gioco

    Vincere, in sostanza, è decidere di mettersi in gioco, rischiare e far tacere quella voce interna che di fronte a una difficoltà ci consiglia di metterci da parte e rinunciare. Arrendersi è perdere l’occasione. Il demone del sesto cielo, quello che non fa altro che rinforzare la nostra ignoranza e impedirci di manifestare l’innata natura di Budda, è sempre lì in agguato. Scacciarlo non è però così difficile né impossibile. Basta riconoscerlo ogni volta che diventiamo apatici, ogni volta che ci accontentiamo, ogni volta che i nostri obiettivi ristagnano. «Solo vincendo sulla nostra oscurità e negatività interna possiamo essere vincitori nella vita e rivelare pienamente il nostro potenziale» (D. Ikeda, Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza – Lezioni sugli scritti di Nichiren Daishonin, esperia, pag. 14). Non si tratta di cambiare, essere diversi da quello che si è. Si tratta di permettere alla propria vita di esprimersi appieno partendo proprio da quello che sembrerebbe ostacolarci, dai nostri difetti, dalle nostre debolezze. Perché, «chi cade al suolo si rialza appoggiandosi a esso» (La conferma del Sutra del Loto, RSND, 1, 983). E nel farlo decidere di portare alla luce la propria missione. Perché ognuno ha certamente qualcosa da esprimere. In modo originale, autonomo, profondo, senza l’ansia di essere qualcun altro e, soprattutto, senza l’ansia di dover apparire diverso, migliore. Nichiren non ha mai avuto remore a parlare ai suoi discepoli delle difficoltà in cui si trovava, del freddo che sentiva (D. Ikeda, Gli eterni insegnamenti di Nichiren Daishonin, esperia, pag 10), della nostalgia dell’essere lontano da casa (Lettera a Konichi-bo, RSND, 1, 590). Ma queste condizioni non lo hanno distolto dall’impegno di diffondere la Legge mistica.

    Rivelare il nostro vero io

    Il Sutra del Loto sottolinea il principio sokushin jobutsu, ottenere la Buddità così come si è. «Chi abbraccia il Sutra del Loto comprenderà che l’inferno stesso è la Terra della Luce Tranquilla» (L’inferno è la Terra della Luce Tranquilla, RSND, 1, 403). Ci sentiamo a terra, disperati, inadeguati, sconfitti, insomma nel mondo di Inferno? Benissimo, non c’è nessun posto in cui possiamo nasconderci per sfuggire a tutto questo, proprio perché non c’è nessun altro luogo da cui possiamo ripartire. Reagire e capovolgere gli eventi. Illuminarli e trasformarli. È la nostra più grande prova per rivelare il nostro vero io. Prima di tutto a noi stessi. Il presidente Ikeda si rivolge così ai giovani: «Senza alcun dubbio ciascuno di noi possiede un talento innato. La questione è come scoprirlo. Il solo modo è quello di impegnarsi fino in fondo, di fronte a qualsiasi situazione si presenti» (In cammino con i giovani, esperia, pag. 62). Sensei qui parla ai giovani, ma è chiaro che noi tutti siamo chiamati a fare emergere il potenziale che c’è in noi. E se partiamo da quello che riteniamo sia un limite allora la sfida si fa davvero interessante. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior: la canzone di De André ci riporta alla mente il fiore bianco del loto, nato nella melma. A sentire, ogni volta che sboccia, un senso di meraviglia. E allora, che aspettare? C’è chi decide di rimettersi a studiare a cinquant’anni, chi di partecipare a un’audizione dopo aver rinunciato da tempo per paura di fallire, chi si guarda allo specchio e finalmente si vede bello, unico, insostituibile… La vita è sfida. L’amore per sé è l’amore per gli altri. Il successo di uno aiuta a realizzare una società migliore per tutti. Senza limiti né confini. E quando siamo in crisi e proprio pensiamo di non farcela, possiamo sempre ricordarci della rana sorda della storiella.

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    Ribaltare il punto di vista
    brani tratti da D. Ikeda, In cammino con i giovani, esperia

    Guardare oltre i propri difetti
    Domanda: Come posso concentrarmi sulle mie qualità e non sui soli difetti?
    Risposta: Le persone che sono critiche con se stesse spesso si preoccupano per via dei loro difetti; è segno di un carattere sincero e degno di lode. È difficile guardarsi con obiettività. Ma ricordate che nessuno ha soltanto difetti o meriti. Tutti noi abbiamo un po’ di entrambi. Quindi, ci dovremmo sforzare di sviluppare e perfezionare i nostri lati positivi. Mentre intraprendiamo un tale cammino, i limiti svaniranno fino a non manifestarsi più. Se chiedeste a qualcuno che vi conosce bene, un amico, un genitore o un parente, quali pensa siano i vostri tratti positivi da sviluppare, sono sicuro che farebbe un elenco di qualità ammirevoli. Inoltre, se qualcuno a voi vicino mette in evidenza dei vostri difetti, non sentitevi offesi o sconvolti; è un beneficio poter ascoltare con calma e obiettività ciò che le persone hanno da dire e sforzarvi di considerarlo come una critica costruttiva. Una volta assunto un ruolo stabile nella società, non incontrerete molte persone davvero sincere con voi. (pag. 88)

    Trasformare le critiche
    Domanda: Per me è difficile non ripensare a ciò che mi ha colpito in modo particolare, soprattutto se mi sono sentito criticato o svalutato.
    Risposta: La sensibilità è un tratto del carattere. Di per sé non è né buona né cattiva. Ma se è una vostra particolarità potete scegliere di trasformarla in positivo. Per esempio, se un amico dovesse farvi un appunto, potreste riflettere su quello che vi ha detto per poi correggere un eventuale difetto. Qualunque critica vi sia stata mossa non è il caso di preoccuparvi. Se vi sentite feriti, fermatevi un istante e congratulatevi con voi stessi perché possedete la capacità di essere umili e di mettervi in discussione. Le persone indifferenti spesso mancano di una prospettiva volta al proprio miglioramento. Il mio mentore, Josei Toda, mi offrì proprio questo insegnamento. Egli mi fece capire che, quando si è criticati, il miglior modo per evitare di perdere fiducia o cadere in un’inutile disperazione è quello di ascoltare. Invece di stare sulla difensiva o pensare di non avere più speranze, operate una scelta, fate in modo che un giudizio esterno diventi lo stimolo per un’ulteriore crescita personale. Ascoltate ciò che vi si dice al fine di individuarne l’aspetto positivo. Detto questo, dopo aver analizzato una critica e riconosciuto il suo valore, è importante che siate determinati a non rimuginarci sopra o a ritiravi nel vostro guscio. (pag. 89)

    La timidezza
    Domanda: Sono troppo timido per parlare con gli altri e non mi va di costringermi a farlo.
    Risposta: Se non sei un estroverso, che ne pensi di diventare bravo ad ascoltare? Potresti dire agli altri: «Raccontami di te. Desidero sapere tutto di te». Se cercherai di dare un’impressione di te diversa da quello che sei, parlare con gli altri diventerà una tortura. Vai bene così come sei. Permetti che gli altri arrivino a conoscere il tuo vero io, con le tue imperfezioni e il resto. Alcune persone parlano senza riflettere e senza dire nulla di importante. Un individuo di poche parole, con tutta probabilità, parlerà con maggior fondamento e profondità rispetto a qualcuno che apre bocca soltanto per ascoltare la propria voce! Chi agisce con velocità ed efficacia è molto più affidabile di colui che si perde in chiacchiere.
    Ancor più importante, al di là che siate silenziosi o estroversi, è che abbiate una ricca interiorità. Un bel sorriso o un piccolo gesto spontaneo di una persona di gran cuore, per quanto silenziosa, sarà più eloquente di qualsiasi altra parola. Spesso, le persone siffatte riescono a esprimersi con autorevolezza e fiducia nei momenti fondamentali.
    Nel Buddismo si dice che «la voce svolge il lavoro del Budda». Nella sostanza, ciò si riferisce alla recitazione di Nam-myoho-renge-kyo. Noi pratichiamo non solo per diventare felici, ma anche per la felicità altrui. Questo ci permette di assumere un atteggiamento compassionevole rispetto all’ambiente. In modo naturale svilupperemo la capacità di esprimere, con libertà e sicurezza, quello che vogliamo dire. (pag. 89)

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