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Questione di cuore - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 17:34

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Questione di cuore

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Ho visto con chiarezza com’era stata la mia vita, tutto ciò che non avevo capito o avevo sbagliato. Ho percepito che il Buddismo è amare la vita e le persone, e io non avevo dato amore né a me stesso né agli altri.

di Antonio I., Palermo

Pratico il Buddismo dal 1983, ho cinquantun’anni e a trentuno ebbi un infarto che si risolse senza gravi conseguenze. Per circa dieci anni feci regolarmente gli esami di controllo, ma poi, non avendo più problemi, cominciai a trascurarmi nell’alimentazione e non mi controllai più. La mia vita scivolava via tra lavoro, famiglia e attività, adagiato nella routine quotidiana.
A venti anni esatti dal primo, il 2 marzo dello scorso anno sono finito in ospedale con un nuovo infarto. Durante i primi giorni di ricovero non mi sembrava di stare tanto male. Il mio problema più grosso era che il mio stato vitale era basso e non riuscivo a recitare Daimoku.
Poi, mentre ero a letto, improvvisamente “si è spenta la luce”. Quando si è “riaccesa” una voce in lontananza mi diceva: «Si svegli, si svegli!». Non capivo dov’ero e perché mi chiamavano. Riacquistata un po’ di lucidità, qualcuno mi spiegò che avevo avuto un arresto cardiaco. Ma quello era sono l’inizio: in tre giorni ne ho avuti circa venti, e ogni volta mi hanno riportato indietro. Durante un “rientro” ho sentito il Daimoku che il mio amico Nino, che lavora proprio in quel reparto, mi recitava nelle orecchie.
Dopo il secondo arresto cardiaco chiamarono al telefono mia moglie temendo che il prossimo non l’avrei superato. Io so perché ne ho superati venti di arresti, anche se questo per i medici era inspiegabile. Durante il mio ricovero e sino a quando sono stato dichiarato fuori pericolo, giorno e notte c’era qualcuno che recitava Daimoku per me: gli amici, alcuni che conoscevo a stento e altri che hanno ripreso a praticare per l’occasione. Ho conservato i loro nomi vicino al Gohonzon. Questa è la Soka Gakkai.
Sono stato in rianimazione per tre giorni, un’esperienza veramente tremenda: ero intubato, non potevo parlare, mangiare, bere, muovermi, ma ero totalmente lucido. Potevo solo pensare. Nel frattempo, a mia insaputa, stavano per trasferirmi in un centro specializzato per il trapianto del cuore.
Riuscivo a stento a recitare mentalmente tre Daimoku e mi sentivo molto giù.
Tante volte avevo letto e avevo detto ad altri che il nostro stato vitale può cambiare a prescindere dalle circostanze esterne, ma quello che sino ad allora avevo condiviso intellettualmente, adesso stavo per viverlo con tutto il mio essere.
Un giorno mia moglie mi ha detto: «Sai, il primo giorno che sono entrata qui ho sentito tanta oppressione. Oggi, prima di venire, ho recitato Daimoku per ogni persona e ora, entrando, sento benevolenza verso tutti». Grazie a lei ho iniziato a pensare che se mi trovavo lì in quel momento doveva esserci un senso, e quella è stata la molla.
Più tardi mi hanno stubato. La sensazione di poter parlare è stata meravigliosa. Poi, nel pomeriggio, era il 12 marzo, ho avuto la mia piccola illuminazione: in un istante il mio stato vitale è schizzato alle stelle e ho sentito una consapevolezza che non avevo mai avuto prima. Ho visto con chiarezza com’era stata la mia vita, tutto ciò che non avevo capito o avevo sbagliato. Ho percepito che il Buddismo è amare la vita e le persone, e io non avevo dato amore né a me stesso né agli altri.
Da quel momento è cambiato tutto. «Ho vinto grazie a te» dissi a mia moglie quando più tardi venne a trovarmi. La mattina dopo tornai in terapia intensiva, da dove mi avevano visto uscire quasi morto tre giorni prima. Tra il commovente e il comico, a ogni cambio di turno, medici e infermieri venivano in processione a farmi i complimenti. Insomma ero diventato famoso! La mia percezione dell’ambiente era completamente diversa: quella stanza che prima mi sembrava scura e opprimente, adesso mi sembrava luminosa e accogliente.
In quei giorni ho letto e riletto la spiegazione del presidente Ikeda del Gosho Il prolungamento della vita (RSND, 1, 847), verificando che stava parlando direttamente con me e ho iniziato ogni nuova giornata recitando un’ora di Daimoku per la felicità di tutte le persone che erano ricoverate con me. Con i miei figli, Manfredi e Laura, abbiamo concordato di recitare Nam-myoho-renge-kyo cinque minuti ogni giorno, alla stessa ora, loro da casa e io in ospedale. Lo abbiamo fatto fino a quando non sono stato dimesso.
Mi sentivo molto forte, ma c’era una grande differenza tra il mio stato vitale e le mie condizioni fisiche; secondo i medici la ripresa sarebbe stata lenta. Il primo obiettivo era quello di raccontare la mia esperienza alla successiva riunione generale del territorio, che si sarebbe tenuta il 20 aprile, quaranta giorni dopo il primo arresto cardiaco. Sentivo che dovevo farlo per ringraziare tutti quelli che mi avevano sostenuto con il Daimoku. Intanto ogni giorno recitavo Nam-myoho-renge-kyo prima dell’orario delle visite per poter trasmettere più gioia possibile alle persone che venivano a trovarmi, cercando di incoraggiare anche gli altri pazienti ogni volta che potevo.
Intanto desideravo risolvere i problemi collaterali, come quello di non riuscire a dormire. Dopo tutti quegli arresti cardiaci, ogni volta che stavo per addormentarmi il mio corpo si rifiutava di farlo e io mi ritrovavo all’improvviso sveglio, spesso con crisi d’ansia e sudando freddo. L’uso dei sonniferi si rivelò inutile perché gli effetti duravano un paio d’ore e gli attacchi d’ansia continuavano anche di giorno. Così decisi di non prenderne più. Recitavo Daimoku fino ad addormentarmi, dopo un pò mi risvegliavo e stavo già facendo Daimoku, come se avessi continuato a farlo anche durante il sonno.
In poco tempo sparirono gli attacchi d’ansia, mi svegliavo con un stato vitale molto alto e con pensieri positivi, e la mattina ero riposato come se avessi dormito tutta la notte. Poi ho ricominciato a dormire, naturalmente.
Ma la cosa più importante era il recupero della funzionalità del cuore, che dopo l’infarto era del 25%. Al nuovo controllo era al 38%, con grande stupore dei medici e, chiaramente… niente più trapianto.
Ogni giorno desideravo fare un ulteriore miglioramento.
Il giorno della dimissione ero già pronto ad andarmene quando all’improvviso un medico mi disse: «Vorremmo farle un altro ecocardiogramma perché nei precedenti era presente un coagulo di sangue e vorremmo verificarne l’evoluzione». Eseguì l’esame e, a parte che il coagulo era piccolo e non pericoloso, vide che la funzionalità del cuore era passata al 41%, miglioramento che in genere, bene che vada, avviene dopo sei mesi.
Avevo realizzato anche l’ultimo obiettivo prima di tornare a casa. Oggi voglio arrivare almeno al 50% della funzionalità: attualmente sono al 43% e l’apice del cuore che era andato in necrosi, cioè non pulsava più, ha ripreso a muoversi.
Adesso la mia determinazione è quella di non chiudermi più in me stesso, per poter ripagare tutti i debiti di gratitudine che ho accumulato.
Questa esperienza mi ha insegnato che la vita è una cosa stupenda e questo meraviglioso Gohonzon ci può consentire di gustarla appieno. Per riuscirci bisogna avere soltanto il coraggio di sfidarsi davanti al Gohonzon e di abbassare le barriere protettive che impediscono di avere relazioni forti e dirette con le persone che ci circondano. Non voglio più sprecare nessuna occasione.
Ah, dimenticavo… chiaramente il 20 aprile ho raccontato questa esperienza!

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