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Uno strappo all'egoismo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

7 dicembre 2025 Ore 02:33

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    Uno strappo all’egoismo

    Qual è il significato dell’offerta nel buddismo? e che cosa dovremmo offrire? esistono dei requisiti per farlo? in questo articolo si affronta questo tema ricordando che questa nobile azione avrà degli effetti solo se rifletterà qualcosa che prima di tutto è cambiato dentro di noi

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    Qual è il significato dell’offerta nel buddismo? e che cosa dovremmo offrire? esistono dei requisiti per farlo? in questo articolo si affronta questo tema ricordando che questa nobile azione avrà degli effetti solo se rifletterà qualcosa che prima di tutto è cambiato dentro di noi

    Nell’antica India viveva una donna anziana che seguiva con devozione il Budda Shakyamuni. Da molto tempo desiderava fargli un’offerta, ma spesso non aveva neanche i soldi per mangiare. Quando arrivò una carovana carica di ogni tipo di regali che il re Ajatashatru voleva donare al Budda, ella sentì crescere il suo desiderio e, non avendo denaro, decise di tagliare e vendere l’unica cosa preziosa che possedeva, i suoi lunghi capelli neri. In questo modo riuscì a comprare una piccola quantità di olio di lino. Mentre si recava a fare la sua offerta, la donna pensò: «Questo poco olio potrà bruciare soltanto metà di una notte. Ma se il Budda si accorgerà della mia sincerità e della mia fede, grazie alla sua infinita compassione la lampada brucerà per tutta la notte». Al calar del sole, la donna accese la sua piccola lampada accanto alle grandi e sfarzose luci offerte dal re. Dopo il tramonto un vento strano, proveniente dal monte Sumeru, si alzò sempre più forte, e ad una ad una, le lampade del re Ajatashatru cominciarono a spegnersi. Solo la lampada della donna continuava a brillare. Il mattino seguente, quando ancora la piccola lampada bruciava, di fronte all’ira del re che non si capacitava di come il lumino di una poveretta potesse ancora ardere mentre le sue grandi lampade si erano spente fin dalle prime folate di vento, il Budda spiegò ai suoi discepoli che quella donna aveva fatto offerte nelle vite precedenti a diciotto milioni di Budda e affermò che lei stessa sarebbe diventata un Budda col nome di Luce della Lampada Sumeru (vedi BS, 92, 28).
    Questa parabola insegna che il giusto spirito nel fare offerte al Budda è quello basato sulla sincerità. Il significato stesso dell’offerta deriva dal desiderio sincero di ripagare il debito di gratitudine al Gohonzon per i benefici che si ottengono attraverso la preghiera e le azioni per kosen-rufu. Si legge nel Sutra del Loto: «Offerte di tal sorta, di diversa e meravigliosa varietà, le donano con gioia e senza rimpianto» (SDL, 13). La gioia che si prova nell’atto del donare è l’indice del corretto spirito dell’offerta.

    Ai giorni nostri

    Si legge nel Gosho L’offerta del riso: «Tuttavia, per quanto riguarda il conseguimento della Buddità, le persone comuni, tenendo bene in mente le parole: “determinazione sincera”, diventano Budda. […] Perciò, se per i santi è giusto offrire concretamente [la propria vita per la Legge], per le persone comuni è giusto offrire teoricamente [dando con sincerità ciò che è importante per la propria vita]» (RSND, 1, 998). Ai nostri tempi, come ci spiega il Daishonin, per ottenere l’Illuminazione non è necessario donare materialmente parti del proprio corpo o addirittura sacrificare la propria vita, come fecero i personaggi citati che appaiono in diversi sutra: dedicare la vita alla propagazione del Buddismo significa oggi offrire il proprio tempo, la propria energia, il proprio denaro ecc., ma è indispensabile che qualunque tipo di offerta nasca sempre dal sentito desiderio di sostenere il movimento di kosen-rufu. Il beneficio più grande di questo “cuore” sarà quello di poter vivere la propria vita nel modo più pieno e soddisfacente. Daisaku Ikeda afferma che l’origine della sua felicità sta nell’avere sempre dedicato la propria esistenza alle altre persone, confermando in tal modo il rapporto diretto che esiste fra dedizione e felicità assoluta.
    In Lettera da Sado si legge: «Chi è pronto a dare la propria vita, perché dovrebbe lesinare altri tesori per la Legge buddista? D’altra parte, chi esita a offrire al Buddismo i propri beni materiali, come potrà dare la vita che ha un valore di gran lunga maggiore?» (RSND, 1, 266). L’offerta economica, che un tempo era l’offerta di beni materiali al Budda, esprime in definitiva un’azione di fede. Ha la funzione di sostenere la nostra organizzazione, tesa alla diffusione dell’insegnamento buddista a beneficio della società, ma anche di contribuire efficacemente al nostro miglioramento personale, consentendoci di vincere sugli attaccamenti e sulla tendenza all’egoismo che sono cause diffuse di infelicità. Essa è pertanto parte essenziale della pratica individuale.
    Il secondo presidente Josei Toda per un lungo periodo finanziò la Soka Gakkai in prima persona. Egli mostrò in tal modo nei riguardi dell’organizzazione lo stesso sentimento di un padre, consapevole che la crescita di un figlio richiede, oltre all’amore e alla dedizione, anche un impegno economico. Anche Daisaku Ikeda, nei tempi difficili in cui da solo sosteneva il suo maestro Toda, aveva fatto proprio lo stesso spirito.
    I benefici dell’offerta al Buddismo sono inestimabili. Spesso il Daishonin sottolinea come i doni ricevuti costituiscano ben più di un semplice atto di generosità: infatti, poiché lo sostenenevano nella propagazione della Legge, li considerava equivalenti alla Legge mistica stessa. Scrive a tale riguardo: «Tuttavia, il Budda Shakyamuni insegna che chi fa offerte al devoto del Sutra del Loto nell’Ultimo giorno della Legge anche per un solo giorno, acquisterà una fortuna cento, mille, diecimila, milioni di volte più grande che se offrisse innumerevoli tesori al Budda per un milione di kalpa» (La persona e la Legge, RSND, 1, 972). Nell’attuale epoca tribolata (detta anche epoca di mappo), l’atto di sostenere la nostra organizzazione equivale a sostenere lo stesso Nichiren, ed è perciò causa di benefici di grandezza incalcolabile. Nel Gosho L’offerta di una veste sfoderata, a una coppia che gli aveva donato una veste, il Daishonin garantisce che non dovranno temere alcunché, sia nella loro presente esistenza sia in quelle future, poiché la loro sincera fede nell’offrire un abito sarebbe diventata, tramite la funzione protettiva di tutti i Budda dell’universo, una causa per realizzare i loro desideri e accumulare una fortuna immensa.

    L’esperienza diretta

    A questo riguardo vorrei riportarvi un’esperienza vissuta da Ramòn, un caro amico e compagno di fede. «Premetto che non ho mai fatto l’offerta con il pensiero di ricevere benefici, ma col solo desiderio di sostenere l’attività buddista e questo mi ha sempre dato molta gioia. Fin dall’inizio della mia pratica ho avuto occasione di fare attività come soka-han, come autista e anche come allestitore alla mostra sui diritti umani che si è tenuta nella mia città, e questo lavoro di supporto di vari eventi mi ha aiutato a comprendere quanto è importante per un’organizzazione il sostegno economico. Recentemente, poco dopo aver fatto l’offerta proprio mentre attraversavo un periodo di ristrettezza economica, è accaduto un fatto insolito: mio padre, senza che gli chiedessi nulla, si è presentato da me per donarmi una somma di denaro, che in quel particolare momento ha rappresentato un grosso aiuto per il mio bilancio economico. Devo precisare che, sebbene con mio padre sia in ottimi rapporti, non gli avevo parlato di questi miei problemi e dunque il suo gesto spontaneo è stato per me una piacevole sorpresa. Sul momento non misi in relazione questo episodio con l’offerta che avevo fatto poco tempo prima, ma in seguito mi resi conto che la somma che avevo ricevuto era dieci volte maggiore di quella offerta. La mia decisione per il futuro è di sforzarmi sempre di rinnovare nel mio cuore il desiderio di offrire, di trasmettere agli altri lo stesso spirito, e di contribuire a formare una solida base economica per la nostra organizzazione. Credo infatti che l’assenza di problemi economici sia un fattore importante per concentrarsi e dedicarsi con maggiore serenità alla pratica del Buddismo».
    In definitiva, ognuno realizza la sua stessa vita a seconda del modo in cui sostiene kosen-rufu. Ma, a ben guardare, la vera felicità deriva forse dalla realizzazione dei desideri terreni? O non vive piuttosto nel desiderio e nelle azioni che si compiono per la felicità altrui, nel far emergere dal proprio mondo interiore nuove e insospettate risorse, nel rafforzare costantemente la fede a dispetto del caos esterno, in poche parole: nella propria rivoluzione umana? Daisaku Ikeda ci risponde che: «Nessuna quantità di ricchezza e felicità del mondo secolare è duratura. Essere realmente ricchi significa possedere qualcosa che è eterno e questo qualcosa è la Legge mistica e la fede in essa» (DU, 39, 56). Considerato che la naturale espressione della Legge mistica è la compassione (in senso buddista), si potrebbe quasi affermare che vivere nel suo significato più vero significa offrire. Erich Fromm ha scritto: «Non quello che ha molto è ricco, ma colui che dà molto. L’avaro che è terrorizzato all’idea di perdere qualche cosa è, psicologicamente parlando, un povero essere, per quanto ricco sia. Chiunque sia capace di dare se stesso è ricco» (L’arte di amare, Il Saggiatore, pag. 34). Imparare a offrire apre la strada a grandi cambiamenti nella propria vita, e più in generale può essere la via per un miglioramento costante delle relazioni fra gli esseri umani. Per concludere con il presidente Ikeda: «La vera felicità non sta nel possedere di più ma nell’approfondire l’armonia con il mondo» (BS 130, 26).

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    Lo spirito dell’offerta ovvero “Snoopy e gli universi paralleli”
    di Maurizio Di Benedetto

    Ricordate la storia dell’occhio di Shariputra, gettato a terra e calpestato da un brahmano? Beh, sentite questa.
    Un paio d’anni fa mia cugina Daniela, che abitava a Verona ed era allora al sesto mese di gravidanza, venne a trovarmi, chiedendomi di crearle un cd di musica classica perché il nascituro potesse ascoltare dall’utero materno qualcosa di bello e armonioso.
    Conquistato dalla sua idea, oltre a realizzare subito un disco di sonate per violoncello e pianoforte, volli anche prestarle uno dei miei libri preferiti: Gli spiriti non dimenticano di Vittorio Zucconi.
    La ragazza, presi disco e libro, se ne tornò a Verona, dove tre mesi dopo mise al mondo una splendida bambina di nome Silvia.
    Io, nutrendo grandi aspettative sull’effetto che la lettura del mio libro poteva avere su Daniela, me ne informai per telefono, ma lei, ahimè, non lo aveva neanche aperto.
    Facendole visita per conoscere Silvia, chiesi che fine avesse fatto lo Zucconi, ma mia cugina disse distrattamente che doveva essere da qualche parte e sei mesi dopo, dato in affitto l’appartamento con tutto il suo contenuto, si trasferì in Brasile.
    Del mio amatissimo libro, passato ormai a una pigionante sconosciuta, non ebbi più notizia.
    In un primo tempo anch’io, come Shariputra, ero amareggiato per tanta indifferenza e ingratitudine (nonché per la perdita dello Zucconi), ma recitando Daimoku mi si affacciò alla mente un episodio di tanti anni prima.
    Nel 1970 una volta, ospite dei miei cugini in Veneto, chiesi loro dei fogli per scrivere alla mia ragazza. In uno slancio di generosità, la piccola Daniela mi offrì la carta da lettere di Snoopy, cui teneva moltissimo. Mi ritrovai in mano una dozzina di foglietti a righe con l’immagine del cagnetto Snoopy stampata sopra e, pur sentendomi alquanto ridicolo, cominciai a scrivere.
    Scontento del risultato, appallottolai il foglio e ricominciai su un altro, ma, insoddisfatto, appallottolai anche quello e ne presi un terzo, ignaro che la mia cuginetta dalla stanza accanto stava osservando sgomenta la distruzione della sua carta.
    Non so quanti fogli sprecai in quel modo, ma è certo che la bambina ci restò malissimo, tanto da riferirmelo nei minimi dettagli una trentina d’anni dopo.
    Praticamente, con la perdita del libro il cerchio si era chiuso: in una sorta di contrappasso dantesco, l’episodio della carta di Snoopy aveva impiegato trentasette anni per germinare quello analogo dello Zucconi. Non solo alla causa era inesorabilmente seguito il relativo effetto, ma per giunta appariva chiaro come, nei due momenti di questa storia, mia cugina e io ci fossimo trovati in specie di universi paralleli, solo parzialmente comunicanti.
    Apparentemente eravamo entrambi a casa sua nel ’70 e a casa mia nel 2007, ma per lei i fogli di Snoopy erano un tesoro, mentre per me erano un supporto cartaceo un po’ ridicolo; per me il libro era un prezioso distillato di umanità, per lei un ingombro nella valigia.
    Fu così che lo spirito dell’offerta mi diventò meno ostico da capire e attuare: non serve cercare prove immediate e inconfutabili dell’apprezzamento da parte di chi riceve (cioè la parte non comunicante degli universi paralleli), ma provare autentica gioia per l’atto stesso di donare, senza aspettarsi altro tipo di soddisfazione.
    Coraggio, Shariputra, riproviamoci!

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