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Ho risalito la corrente - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 16:05

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Ho risalito la corrente

Paolo Antonelli, Roma

Dovevo scegliere se tirar fuori tutto il mio coraggio, oppure rimanere nell’acqua bassa dove toccavo. Decisi che avrei lasciato il mio lavoro. Per la prima volta nella vita scelsi di ascoltare solo il mio cuore, anche con il rischio di sbagliare

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Dovevo scegliere se tirar fuori tutto il mio coraggio, oppure rimanere nell’acqua bassa dove toccavo. Decisi che avrei lasciato il mio lavoro. Per la prima volta nella vita scelsi di ascoltare solo il mio cuore, anche con il rischio di sbagliare

Pratico il Buddismo da undici anni, sono un art director e mi sono trasferito a Roma per frequentare un’accademia di grafica pubblicitaria. Sono stati anni bellissimi nei quali ho iniziato a fare attività nella Soka Gakkai, prima come responsabile di gruppo e poi come soka-han. Finiti gli studi trovai uno splendido lavoro in una piccola ma importante agenzia creativa, dove sono rimasto fino al 2008. I miei genitori erano orgogliosi di me ed entusiasti del mio lavoro, tanto che decisero di iniziare a pagarmi un mutuo, e oggi sono due anni che vivo nella mia bella casetta.
Negli ultimi anni mi sentivo insoddisfatto e mi resi conto che vivevo con la paura di deluderli ed emerse chiaramente la mia dipendenza nei loro confronti. Avevo smesso di ascoltare la mia vita da parecchio tempo. Lavoravo senza entusiasmo e col tempo mi ero abituato a quella sensazione, come se fosse normale provarla. Dovevo solo sopportare. All’epoca ero responsabile di capitolo e nel cuore avevo il desiderio di vincere, non solo per me ma per tutti i giovani uomini della mia zona. Durante un corso nel 2007 un ragazzo mi disse: «Sono convinto che non esiste il lavoro giusto per me!». Quelle parole mi spronarono, al contrario, a dimostrare che chiunque avrebbe potuto trovare il lavoro dei propri sogni. Non avevo idea di quale azione fare. Però un’azione c’era: recitare Daimoku. Decisi che sarei tornato al lavoro ancora più combattivo di prima, nonostante la grafica non mi appassionasse più.
Avevo sempre avuto una grande passione per lo sport e l’attività fisica. Seppi che a breve ci sarebbe stato l’esame di ammissione alla facoltà di scienze motorie: decisi di provare. Il test fu difficilissimo ma con mia grande sorpresa lo superai. Ero felice. Sentivo che quella era un’opportunità per iniziare una nuova vita ma poi subentrò la paura: essendo obbligatoria la frequenza non avrei potuto continuare a lavorare nell’agenzia e studiare allo stesso tempo. Recitai tantissimo e ne parlai con i miei genitori i quali, adirati, mi minacciarono dicendo che se avessi deciso di lasciare il lavoro non mi avrebbero più aiutato.
Mi affidai solo al Gohonzon e allo studio del Gosho La Porta del Drago (RSND, 1, 890) dove il Daishonin descrive lo sforzo delle carpe di risalire questa leggendaria cascata. La carpa che ci fosse riuscita, superando ogni genere di difficoltà, si sarebbe trasformata in drago ricevendo il grande potere di far cadere la pioggia. Nella spiegazione il presidente Ikeda cita le parole del poeta Bai Juyi: «Apparentemente diventando un drago avrai l’arduo compito di salire nel cielo e provocare la pioggia. Ma piuttosto che affrontare questa difficoltà, probabilmente preferirai rimanere una carpa che nuota in piena libertà» (BS, 130, 21). Dovevo scegliere se tirar fuori tutto il mio coraggio, oppure rimanere nell’acqua bassa dove toccavo. Per la prima volta nella vita scelsi di ascoltare solo il mio cuore, anche con il rischio di sbagliare e lasciai il lavoro, con molte conseguenze negative. La prima fu quella che i miei genitori non mi parlarono più.
L’inizio dell’università fu traumatico ma mi impegnai al massimo e ottenni ottimi voti. Presto mi resi conto a malincuore che anche questa facoltà non rispecchiava quello che avrei voluto fare e in più avevo finito i soldi, perciò lasciai. Ero di nuovo al punto di partenza, in più disoccupato. Iniziai a fare il cameriere senza nessun tipo di contratto e lo stipendio era bassissimo, ma solo l’idea di tornare a fare il grafico mi faceva venire la nausea. In quegli otto mesi conobbi persone meravigliose e tanti giovani ai quali parlai del Buddismo. La situazione peggiorava e il mio debito in banca aumentava. Avevo sempre il mutuo da pagare e con lo stipendio del ristorante riuscivo a malapena a pagare le spese e a volte non potevo neanche comprare da mangiare. Continuavo a recitare Daimoku per capire perché la mia situazione non cambiava, ma principalmente perché ancora non avevo idea di quello che volevo fare nella vita.
Nel frattempo mi venne affidata la responsabilità di Centro. La vita mi stava chiedendo di fare un passo avanti… ma come?
Passai giorni difficili. Per la prima volta, dopo più di dieci anni, stavo seriamente pensando di smettere di praticare. Poi avvenne la svolta. Il mio responsabile mi chiese di partecipare a una riunione nazionale e vi partecipai, anche se di malavoglia. Tutti erano sorridenti, io mi sentivo esplodere. Pensavo: «Ma che avranno da ridere tutti? Tanto questa pratica non funziona!». Durante la riunione il direttore generale Nakajima disse: «Dopo tanti anni continuare a recitare Daimoku solo per i propri obiettivi è un po’ sciocco». Questa frase mi penetrò il cuore come una freccia e in quell’istante capii cosa il Buddismo aveva fatto per me in tutti quegli anni e che tipo di persona ero diventato. Compresi in un istante qual è il vero beneficio del Daimoku: il manifestarsi della Buddità. Per la prima volta amavo me stesso così com’ero ed emerse una gratitudine infinita verso la Soka Gakkai. La mia fede era nuovamente germogliata e sentii che avrei vinto.
Dopo un mese venni assunto in un cinema multisala con un contratto part-time. Vidi l’emergere di questo lavoro come un riflesso del mio cambiamento interiore.
Un giorno mentre trasportavo dei sacchi della spazzatura sotto la pioggia, iniziai a ridere senza motivo. Ero commosso dalla bellezza della vita e in un istante riemerse l’amore per la grafica. Era incredibile: quello che avevo tanto cercato era sempre stato lì. L’errore che avevo fatto era cercare fuori, invece di sentire la vita profondamente. Tornai a casa felice.
La mattina mi svegliò una telefonata del direttore della mia banca dicendomi che ero in rosso e quindi non dovevo utilizzare più la carta di credito fino al prossimo stipendio. Il mio lavoro part-time non sarebbe mai bastato a coprire quel debito.
Invece di scoraggiarmi, decisi di organizzare una recitazione a casa mia. Recitai un Daimoku combattivo e alla fine della recitazione mi venne in mente di chiamare il responsabile immagine di un’importante azienda, con il quale avevo già collaborato in passato, ma che non vedevo e non sentivo da oltre un anno. Presi tutto il coraggio e lo chiamai. Non rispose, ma non mi arresi.
La sera, incredulo, mi telefonò lui stesso dicendomi che mi stava cercando perché voleva chiedermi di collaborare con loro come unico e primo art director dell’azienda. Non ci potevo credere! Ricominciai con una gioia infinita a fare il grafico. Ora guadagno il doppio rispetto a due anni fa e il mio debito in banca è estinto. Ogni mattina mi sveglio felice di andare al lavoro. Anche il rapporto con i miei genitori è migliorato e posso dire con orgoglio che non è mai stato così autentico.
Questi benefici sono grandi ma nessuno supera la gioia e la gratitudine che sento verso il mio maestro e i miei compagni di fede, senza i quali non ce l’avrei fatta.
Una frase mi ha fatto capire la differenza enorme che c’è tra l’ascoltare le parole del maestro e metterle in pratica con coraggio: «Il maestro lo si trova ovunque, nelle guide, nei video, nei libri. Ma lo si incontra realmente solo con la nostra vita» (Il Volo Continuo, n. 8).

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