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Ogni centimetro della mia vita - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 18:36

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Ogni centimetro della mia vita

Ilaria Belbusti, Roma

Sebbene soffrissi tanto, non abbandonai mai il Gohonzon. Se non mi alzavo dal letto, facevo Gongyo lì; sul comodino tenevo sempre qualche libro di Daisaku Ikeda e quando sentivo che mi stavo perdendo, leggevo qualcosa. Arrivò un giorno in cui mi alzai, feci Gongyo e dissi: «Basta!»

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Sebbene soffrissi tanto, non abbandonai mai il Gohonzon. Se non mi alzavo dal letto, facevo Gongyo lì; sul comodino tenevo sempre qualche libro di Daisaku Ikeda e quando sentivo che mi stavo perdendo, leggevo qualcosa. Arrivò un giorno in cui mi alzai, feci Gongyo e dissi: «Basta!»

Quando ho iniziato a praticare il Buddismo non mi sembrava di avere particolari problemi, così iniziai per dimagrire. Quando misi quell’obiettivo, apparentemente superficiale, non ero consapevole di cosa significasse; solo dopo, mi resi conto di quanto tutto fosse coerente. Ho vissuto la mia vita all’insegna dei complessi, ero stata sempre troppo tutto: troppo alta, troppo grassa, troppo chiacchierona. Il mio pediatra, dopo il parto disse a mia madre: «L’ho visto il pachiderma!». In quinta elementare ero più alta di venti centimetri rispetto agli altri, alle scuole medie ero troppo grassa per dei compagni spietati. Risultato: un’adolescente che non sapeva di soffrire di disturbi alimentari. Mi ci vollero quattro anni di pratica buddista per guardare in faccia la realtà: compulsività e bulimia. Vivevo in funzione del cibo, con cui avevo un rapporto disastroso. Nichiren scrive nel Gosho che il cibo è vita, quindi il rapporto che abbiamo con il cibo riflette il nostro approccio alla vita. E qual era il mio? Odio. Odio profondo per ciò che ero.
Decisi di affrontare quella sofferenza, che si manifestò in tutta la sua violenza. Iniziò a emergere un disprezzo verso me stessa tanto forte che mi spaventai. Passai dei giorni in totale inferno, non riuscivo ad alzarmi e rimanevo immobile sul letto, perché il solo percepirmi mi dava ribrezzo. Sebbene soffrissi tanto, non abbandonai mai il Gohonzon. Se non mi alzavo dal letto, facevo Gongyo lì; sul comodino tenevo sempre qualche libro di Daisaku Ikeda e quando sentivo che mi stavo perdendo, leggevo qualcosa. Arrivò un giorno in cui mi alzai, feci Gongyo e dissi: «Basta!». Avevo dato fin troppo spazio alla mia oscurità, era ora di dimostrare che essa conteneva anche la Buddità. Ricevetti un consiglio nella fede e furono tre le cose che mi rimasero impresse. La prima è che mi consigliarono di recitare Daimoku per percepire che Myoho-renge-kyo è la mia stessa vita, che la mia vita è quella del Budda. La seconda era di riflettere sul fatto che il vero cambiamento scaturisce da un gesto d’amore per la nostra vita e non da un moto di odio. La terza era di recitare per amare ogni centimetro della mia vita e far sì che ogni Nam-myoho-renge-kyo fosse una carezza di lode. Iniziò la mia battaglia. C’erano giorni in cui questa storia di amare ogni centimetro proprio non mi andava giù, e siccome sapevo che ogni Daimoku era una carezza, non mi usciva nemmeno un filo di voce! Quando succedeva, rimanevo immobile davanti al Gohonzon a fissare myo, e in quello sguardo c’era tutto il mio sforzo di provare a recitare e di vincere. Allora accadeva che un sibilo iniziasse a fluire, diventando poi sussurro e alla fine voce vittoriosa. Erano otto mesi che portavo avanti questa lotta e non avevo più avuto ricadute. Una mattina, facendo Daimoku, iniziai a piangere a singhiozzi, per la prima volta in vita mia sentii la gioia incommensurabile di essere così com’ero, pregi e difetti, e percepii la nobiltà di essere umana, ma allo stesso tempo “perfettamente dotata”. Ho sentito che la Legge meravigliosa era la mia stessa vita e guardandomi indietro, in quei mesi, avevo tradotto la mia più grande sofferenza in una serie di risultati indimenticabili! Non finisce qui. A novembre stavo passando un periodo difficile, ma nonostante questo, spesso le persone dicevano di trovarmi benissimo e quando ascoltavo i loro complimenti, il mio pensiero di rimbalzo era: «Ma un paio d’occhiali, no?». Memore della scorsa esperienza, affrontai subito questa sofferenza davanti al Gohonzon e mi chiesi perché dovessi darmi sempre così addosso. Mi resi conto che stavo rimettendo le lenti del disprezzo e decisi di invertire la rotta.
Sono appassionata di moda e la prima cosa che faccio quando ho un momento libero, è andare a vedere le sfilate sul web. Fu così che un giorno, guardando quella di una nota stilista per taglie forti, notai un link lampeggiante in fondo alla pagina: casting. Mi si accese una lampadina e già stavo pensando: «Che cosa vorresti fare? Sei pazza! Rinsavisci!». Insomma, clicco sul link e scopro che le modelle taglie forti, non sono poi così forti quanto pensavo e che hanno delle misure ben precise. Misure in cui io rientro. Faccio qualche ricerca e trovo delle interviste a modelle plus size famose, impegnate a promuovere un canone di bellezza sano, che non costringa schiere di ragazze a impelagarsi in disturbi alimentari, ma che anzi, le porti alla consapevolezza del proprio valore. Parlavano di me, era la mia storia! Capii che quella era la strada giusta, il disprezzo era dietro l’angolo, ma ormai sapevo qual era il meccanismo. E così, in quel momento, ho scelto di amarmi, ho scelto di andare bene così, ho scelto di non cedere all’oscurità, ho ribadito che in me c’era un Budda e che per questo ero degna di lode. Così inviai le foto. Nel frattempo avevo deciso di recuperare i molti esami lasciati indietro all’università e misi l’obiettivo di sostenerne otto nella sessione invernale. Era un’impresa titanica per una persona come me che soffre di attacchi di panico prima degli esami. A dicembre iniziai con un nuovo programma: mi svegliavo, facevo Daimoku, colazione, attività fisica e poi via con lo studio. A queste azioni affiancavo lo sforzo di fare quante più visite potevo alle giovani donne, in modo da allenare la tendenza a prendermi cura degli altri, oltre che di me. Ogni giorno desideravo parlare di Buddismo con almeno una persona e se non ci riuscivo, cercavo di recuperare nei giorni successivi.
Arrivò l’inizio della sessione. La mia tendenza è sempre stata quella della fuga, e pur di fuggire ero capace di mettere in scena le scuse più disparate: febbroni da cavallo, afonia e incidenti. Tutti sintomi che si presentavano a pochi giorni dagli esami e che mi portavano a non sostenerli anche se preparati a dovere. A un giorno dal primo esame mi arrivò una telefonata da casa mentre ero in macchina: la mia gatta, amore della mia vita, era stata azzannata da due cani. Quel giorno dovevo ripassare, ma lo trascorsi in giro per cliniche veterinarie cercando di salvarla. Era in fin di vita, ma mi dissero che ce l’avrebbe fatta. Dormii due ore, appena sveglia recitai Daimoku, ero distrutta fisicamente ed emotivamente, non avevo scusa migliore per non andare in facoltà. Eppure sapevo che proprio quello era l’ostacolo alla realizzazione, così presi coraggio e andai. Finalmente mi sedetti davanti al professore, avevo gli occhi gonfi ma la vittoria nel cuore! Giorni dopo, la sera precedente al secondo esame, mi chiamarono dalla clinica per dirmi che la mia gatta era morta. Ero incredula! Il mio Daimoku doveva essere ancora più forte, più forte del dolore che sentivo. Di nuovo, davanti a un altro professore, mentre rispondevo alle domande, sentii un senso di libertà mai provato, quella libertà che si trova nel percepire che la nostra vita è più grande di ogni sofferenza, di ogni paura, e che basando la nostra vita sul Gohonzon, non c’è demone che tenga. L’11 febbraio ho chiuso la sessione con l’ottavo esame fatto mantenendo la media del 28 e il giorno dopo una rinomata agenzia di modelle mi ha contattata perché interessata. Tutto ciò era il risultato dei miei sforzi per manifestare le mie infinite potenzialità di Budda. Ho intenzione di continuare a promuovere il gruppo Ikeda Kayo-kai e di dedicarmi senza risparmiare la mia vita alla realizzazione di kosen-rufu, eternamente con il mio maestro.

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