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Il Buddismo nella mia casa - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 18:33

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Il Buddismo nella mia casa

Dorina Clemente, Vercelli

Mentre smettevo di considerare Franco “cosa mia”, sentivo che anch’io diventavo più libera e consapevole. So che non capita a molte donne di capire che l’amore non è un rapporto di possesso bensì un rapporto di libertà del dare

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Mentre smettevo di considerare Franco “cosa mia”, sentivo che anch’io diventavo più libera e consapevole. So che non capita a molte donne di capire che l’amore non è un rapporto di possesso bensì un rapporto di libertà del dare

Pratico il Buddismo dal 1996 e quello fu anche l’anno in cui sentii per la prima volta una persona pronunciare Nam-myoho-renge-kyo, grazie a una mia amica che voleva tirarmi fuori dal tunnel di sofferenza in cui ero finita. Negli ultimi nove anni avevo passato di tutto. La morte di mia madre e, dopo pochi mesi quella improvvisa di mio fratello, per un incidente. Ma quello che non ero riuscita ad accettare era una circostanza che mi aveva cambiato la vita: un cancro al seno. Anche se fisicamente ero sopravvissuta, dentro di me qualcosa se n’era andato. Non mi sentivo più donna e, come reazione, il fatto che Franco, mio marito, continuasse ad accettarmi anche così, me lo rendeva insopportabile. Anche sul lavoro, tra la gente, con quelle che erano state le mie amiche, mi sentivo e mi comportavo come un animale ferito. Per fortuna una di loro conosceva il Buddismo e, data la sua insistenza, per togliermela di torno accettai di partecipare a una riunione. A casa, mio marito e i miei tre figli non presero per niente bene questa decisione, ma alla fine mi accontentarono e mio figlio Francesco mi accompagnò. Fu lui, una volta terminata la riunione, ad accogliere incredulo una Dorina che diceva: «Francesco, è proprio quello che cercavo, questa è “casa mia”». Forse fu per questa prima gioia condivisa con lui dopo tanto tempo che, negli anni a venire, sarebbe stato sempre Francesco a “spingermi” davanti al Gohonzon. Da quel giorno non mi fermai più, e il 13 luglio 1997 nella mia casa accolsi il Gohonzon.
Recitavo molto Daimoku e le cose cominciavano a migliorare: il rapporto con le persone, la salute e soprattutto il lavoro. L’unica cosa che non riuscivo a migliorare era la relazione con mio marito che incolpavo di tutto. A nulla servivano i consigli della mia responsabile di gruppo che mi esortava a cambiare io per prima. Ma non fu per un litigio con mio marito che la situazione esplose. Fu ancora per Francesco. Da un banale diverbio si scatenò una lite di una tale violenza che mio figlio se ne andò di casa sbattendo la porta. La sera non era ancora tornato. Come osava essere così presuntuoso nei confronti di sua madre? Così gli telefonai pretendendo le sue scuse e lui mi disse, triste ma calmo, che se ne andava perché mi voleva troppo bene e solo standomi lontano avrebbe salvato quello che di buono c’era ancora nel nostro rapporto, aggiungendo poi la cosa più importante: «Tu non porti il Buddismo nella tua casa». Mi raggelò. Mi vennero in mente allora i consigli ricevuti nella fede sulla necessità di cambiare atteggiamento. Così, invece che arrabbiarmi o affliggermi, feci la cosa giusta: gli chiesi scusa, lo pregai di tornare a casa e di darmi un’altra possibilità e lui tornò. Chiesi scusa anche a tutta la mia famiglia. Aumentai il Daimoku, leggevo gli scritti del mio maestro Ikeda, facevo attività per gli altri e le cose cominciarono a cambiare. Riconquistai la fiducia della famiglia e iniziai a riscoprire il profondo sentimento che mi legava a mio marito. Così decidemmo insieme di offrire la casa per recitare con i membri del mio gruppo. In realtà mi stavo preparando alla prova più grande.
Era dicembre 2001: Franco durante una notte sviene, ma mi avvisa solo al mattino. All’ospedale vedono che ha un’emorragia interna e gli danno solo poche ore di vita. Io perdo la testa. Alessandra, mia nuora, riesce a rimettermi sulla giusta rotta: «Hai il Gohonzon – esclama, scuotendomi le spalle – fallo funzionare!». Mi riprendo subito e comincio a recitare Daimoku. Poi mi viene in mente la frase di Gosho: «Una donna che fa offerte a questo Gohonzon attira la felicità in questa vita, e nella prossima il Gohonzon sarà con lei e la proteggerà da ogni lato, a destra e a sinistra, davanti e di dietro. Come una lanterna nell’oscurità, come un forte braccio che ti sostiene lungo un sentiero infido, il Gohonzon ti circonderà e ti proteggerà, signora Nichinyo, dovunque tu vada» (Il reale aspetto del Gohonzon, RSND, 1, 738).
Franco si riprende e supera la notte ma la diagnosi che arriva dopo qualche giorno è di cancro allo stomaco. Ora che avevo sentito il suo amore, dovevo perderlo? Recito Daimoku con la determinazione della signora Nichinyo. Proprio in quei giorni mi propongono la responsabilità di gruppo. Che fare? Sarei riuscita a incoraggiare quelle persone? Accetto anche se sto molto male ma so che è la scelta giusta e trovo in realtà nel nuovo gruppo il sostegno di tante persone. Mi rendo conto di aver imparato ad affrontare il mare della sofferenza con una fiducia salda nella forza che posso attivare recitando Nam-myoho-renge-kyoho, qualunque cosa accada. Arriva il giorno dell’operazione e con me ci sono i miei figli uniti come non mai e le mie amiche e intanto aspettiamo recitando Daimoku. Io sono serena e mi torna in mente la signora Nichinyo. Sono sicura che tutto andrà bene, ho fiducia nel Gohonzon. E così è stato, non c’erano metastasi e tutto è andato per il meglio. Dopo la convalescenza abbiamo cambiato casa e iniziato una nuova vita. Ma un punto importante della mia rivoluzione umana nella relazione con mio marito doveva ancora essere affrontato. La pratica corretta e l’attività costante sono state le basi su cui è poggiato quest’ulteriore passo in avanti.
A gennaio 2005 mio marito sviene di nuovo: ostruzione alla carotide. Mentre aspetto l’ambulanza, recito Daimoku e penso a una frase di Gosho: «Credi profondamente in questo mandala. Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito del leone. Quale malattia può quindi essere un ostacolo?» (Risposta a Kyo’o, RSND, 1, 365). Solo che questa volta non prego per tenermi accanto una parte di me senza la quale non saprei vivere. Prego per lui, per la sua vita. È un cambio di prospettiva rivoluzionario, il punto di vista del “dare” proprio del grande io contro la ristretta visione del “prendere” tipica del piccolo io. La sua vita non mi appartiene, è solo sua, io sostengo la sua lotta che però deve vincere lui. Grazie a quella malattia mi sono resa conto che il nostro rapporto aveva finalmente sperimentato la libertà. Mentre smettevo di considerare Franco “cosa mia”, sentivo che anch’io diventavo più libera e consapevole. So che non capita a molte donne di capire che l’amore non è un rapporto di possesso bensì un rapporto di libertà del dare. Oggi provo un’immensa gratitudine per chi mi ha fatto shakubuku e mi ha fatto conoscere il Buddismo, per le mie responsabili che mi hanno aiutata a superare momenti difficili e per i miei compagni di fede che mi hanno sostenuta con il Daimoku. Il mio grazie più grande va al mio maestro Daisaku Ikeda che attraverso i suoi scritti e le sue esperienze mi ha aiutata a crescere. Il mio obiettivo ora è vivere per almeno altri venti anni, per poter insegnare ai miei nipotini Aleister, Ariele, Sara e Altea, la grandezza del Gohonzon.

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