«Non si costruisce il dialogo rimanendo semplicemente seduti ad aspettare. È necessario ricercare il contatto con gli altri e parlare con loro» scrive Ikeda a proposito dell’importanza di fare il primo passo. Incontrare gli altri e parlare è il mezzo per rompere il guscio del nostro “piccolo io”
Comunicando con gioia
con molte persone,
agite
come meravigliosi
campioni di gioventù.
Michel de Montaigne (1533-92), la cui opera ebbi il piacere di leggere durante la mia giovinezza, sottolineava l’importanza del dialogo. Diceva: «Il più fecondo e naturale esercizio del nostro spirito è secondo me la conversazione. Ne trovo la pratica più dolce che di alcun’altra azione della nostra vita» (Saggi, Casini ed., 1953, p. 958). Concordo. La conversazione conduce sempre a nuove scoperte.
«Parliamo!»: con questa vitalità cominciò il mio dialogo con l’insigne storico britannico Arnold J. Toynbee (1889-1975), come se stessimo per iniziare un emozionante duetto musicale. Durante il nostro dialogo, che ebbe luogo nel 1972 e nel 1973, per un totale di oltre quaranta ore, discutemmo con profonda comprensione ed empatia reciproche una grande varietà di argomenti: l’umanità e il mondo, la storia e il futuro, la vita e l’universo.
Il giorno del nostro ultimo incontro Toynbee, allora ottantaquattrenne, mi strinse la mano e mi disse: «Mio giovane amico, spero che continuerà a impegnarsi nel dialogare in questo modo con le persone di tutto il mondo». All’epoca avevo quarantacinque anni; considerai quelle parole la sua ultima volontà. Le melodie del dialogo che il professor Toynbee sperava avrei creato, sono ora diventate una magnifica sinfonia che risuona nell’universo.
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La recitazione
di Nam-myoho-renge-kyo
risuona vibrante
ovunque,
creando un ponte dorato
di pace e cultura.
La parola dialogo deriva dal greco dialogos che significa «condividere un concetto attraverso un discorso». Il dialogo non è semplicemente fra due persone che rivendicano le proprie opinioni, né è solo un semplice scambio verbale. Conversando, ciascun interlocutore può arrivare a una profonda comprensione dei punti di vista e delle intenzioni dell’altro e condividere le proprie posizioni. È anche un processo di creazione di qualcosa di nuovo e positivo.
Dove manca il dialogo, la stasi ha il sopravvento. Dove c’è un dialogo vivace, scorre una fresca energia. Il mio maestro Josei Toda, il secondo presidente della Soka Gakkai, disse: «Stiamo entrando in un’epoca di dialogo. Conversare con gli altri è un modo per dar voce ai nostri ideali e per unire le persone». Disse anche: «Se i fondatori di tutte le religioni del mondo si incontrassero, sono certo che converserebbero con compassione e reciproco rispetto. Sono anche sicuro che, avendo come scopo la felicità dell’umanità, lavorerebbero insieme per porre fine alla guerra, alla violenza e ai conflitti». Questa era anche la convinzione del fondatore e primo presidente della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi, durante la Seconda guerra mondiale.
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Come discepolo di Makiguchi e di Toda, mi sono impegnato a dialogare con uomini di levatura internazionale e con studiosi di tutte le discipline; a oggi, il numero di questi colloqui supera i settemila. Al momento, sto portando avanti un dialogo epistolare con l’ex presidente indonesiano Abdurrahman Wahid, filosofo e statista, sul tema dell’Islam e del Buddismo [Wahid è scomparso nel dicembre 2009, n.d.r.].
Il mondo è grande e pieno di persone molto diverse. Parlare con gli altri è imparare dagli altri. È il modo in cui approfondiamo la comprensione e il rispetto l’uno dell’altro. Attraverso il dialogo possiamo stringere amicizia con persone di tutti i ceti e in tutti gli angoli del pianeta.
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La voce svolge il lavoro del Budda
la buona fortuna e i benefici derivanti da tale impegno
attraverseranno tutte le tre esistenze.
Socrate, straordinario maestro di dialogo, disse che non c’è sfortuna più grande per un essere umano che avere in odio il dibattito e la discussione. Il dialogo può servire da baluardo contro tutte le forme di violenza che minacciano la dignità e la sacralità della vita.
Il trattato di Nichiren Daishonin Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese (Rissho ankoku ron), in cui egli denuncia la natura malvagia delle autorità dell’epoca, è il dialogo tra un padrone di casa e un ospite. Il fatto che sia stato presentato in questa forma può essere visto come un chiaro appello del Daishonin ai governanti del tempo affinché riconoscessero l’importanza del dialogo.
Adottare l’insegnamento corretto si apre con il seguente passo: «Una volta un viaggiatore si lamentava così [con colui che lo ospitava]: “Negli ultimi anni si sono manifestate insolite perturbazioni nel cielo e strani fenomeni sulla terra. Carestie e pestilenze affliggono ogni angolo dell’impero e si diffondono in tutto il paese”» (RSND, 1, 6).
Questo dialogo nasce dall’indignazione piena di dolore per la tragica situazione sociale e dall’empatia verso le persone sofferenti. Se un sentimento di questo tipo viene condiviso, diventa possibile impegnarsi in un dialogo sincero e onesto come esseri umani capaci di andare al di là delle nostre differenze.
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Nel 2008 fui intervistato da una popolare rivista coreana. Una delle domande che mi furono rivolte fu: «Che cosa occorre perché un dialogo sia fruttuoso?». Risposi che tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro estrazione sociale e dal loro credo, sperimentano ciò che il Buddismo descrive come le sofferenze di nascita, vecchiaia, malattia e morte. Quando ci impegniamo a dialogare, dovremmo avere presente che stiamo parlando a un’altra persona che, come noi, deve affrontare inevitabilmente queste sofferenze. Se riusciamo a fare questo, dissi, possiamo comunicare con chiunque.
Noi pratichiamo il Buddismo del Daishonin, che illumina la vita nella sua essenza, e ci sforziamo in maniera attiva di migliorare la società, basandoci sul principio di “adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese”. Non dobbiamo mai essere timidi o sentirci intimoriti dai nostri interlocutori. Parliamo con fiducia e in libertà, con lo scopo di contribuire positivamente alla vita delle persone e a tutta la società.
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Nel corso del dialogo che ha luogo all’interno di Adottare l’insegnamento corretto, l’ospite perde le staffe in parecchie occasioni quando la sua visione viene confutata dal padrone di casa. Il padrone di casa sa quello che c’è da dire ed è pronto a dirlo, non importa come possa reagire l’ospite. Quando l’ospite si adira, il padrone di casa accetta tranquillamente la sua rabbia e, così facendo, arriva al suo cuore, innalzando il dialogo a un nuovo livello. Alla fine, l’ospite giunge a capire e ad apprezzare la posizione del padrone di casa e i due decidono di percorrere insieme il sentiero che conduce alla pace.
Questo tipo di dialogo aperto è pervaso dalla convinzione che tutti hanno la natura di Budda, persino coloro che all’inizio possono non essere d’accordo con le nostre concezioni. Ciascuno ha esperienze e punti di vista differenti e ogni persona è unica, ma quando perseguiamo il dialogo basandoci sui princìpi buddisti, non ci concentriamo su tali differenze. I nostri scopi principali sono risvegliare la natura di Budda dell’altra persona e unire gli individui per la causa della realizzazione della pace e della felicità per tutti gli esseri umani, basandoci sui princìpi umanistici. Per noi questo è il fine del dialogo. Questa è la nobile arte del dialogo di cui il Daishonin ha dato ampia dimostrazione nella sua vita.
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Visitai Mosca per la prima volta nel 1974. Durante quel viaggio, parlai con Ivan Kovalenko (1919-2005), uno dei più alti funzionari che si occupava di affari asiatici nel Comitato centrale del Partito comunista sovietico. Durante la conversazione, Kovalenko iniziò a criticare con veemenza la pace tra Giappone e Cina e il trattato di amicizia che si stava negoziando. Questo avveniva in un momento in cui la tensione tra l’Unione Sovietica e la Cina era alta. Kovalenko batté con forza il pugno sul tavolo e disse ad alta voce: «Presidente Ikeda! L’Unione Sovietica può distruggere il Giappone. Dovremmo farci guerra ancora una volta?».
Era una figura chiave nei rapporti sovietici col Giappone, ed era famoso per usare toni minacciosi nei rapporti diplomatici. Mentre continuava a colpire il tavolo con gli occhi pieni di rabbia, gli chiesi con un sorriso: «Non le fa male la mano?». Sembrò imbarazzato; era chiaro che stava perdendo il controllo della situazione. Grazie a questo evento iniziammo a parlarci con franchezza e il nostro scambio fu pieno di umanità.
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Il 2 dicembre 1964, nella sede centrale della Soka Gakkai di Okinawa, a Naha, scrissi “L’alba”, il primo capitolo del mio romanzo La rivoluzione umana, che inizia con le parole: «Niente è più barbaro della guerra. Niente è più crudele» (vol. 1, pag. 1). La mia preghiera e la mia promessa erano che a Okinawa nascesse l’alba di un secolo di pace e che la costruzione della fortezza della vittoria eterna degli esseri umani iniziasse da Naha.
Nel 1991 il poeta sudafricano Oswald Mtshali, dopo avere visitato la piccola stanza dove avevo iniziato a scrivere il mio romanzo, commentò che le grandi imprese cominciano immancabilmente da piccole cose. Un viaggio di mille miglia comincia con un passo, come si dice. Senza quel primo passo non possiamo ottenere la vittoria nel viaggio verso un grande scopo. Allo stesso modo la rivoluzione umana, o la trasformazione interiore del cuore degli individui, che per noi della SGI è la via verso una pace duratura, inizia dal dialogo sincero con un singolo individuo. Impegnarsi nel dialogo è una lotta per trasformare positivamente sia la nostra vita che quella degli altri. È il mezzo per rompere il guscio del nostro “piccolo io”, scavalcare il muro della nostra indifferenza e creare ed espandere legami positivi con gli altri. Quando abbiamo il coraggio di incontrare le persone e parlare loro dei nostri ideali, stiamo facendo un primo passo nella rivoluzione umana.
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Con forza e allegria,
voi e io
andiamo avanti senza paura
come amici dal tempo senza inizio.
Non si costruisce il dialogo rimanendo semplicemente seduti ad aspettare. È necessario ricercare il contatto con gli altri e parlare loro. Il Centro culturale della SGI di Hong Kong è ubicato in un bellissimo scenario naturale da cui si domina una magnifica vista: sotto, il mare che riluce, dietro, le verdi montagne lussureggianti. Una donna anziana viveva proprio accanto all’entrata del parco. Io e mia moglie la salutavamo spesso quando uscivamo a passeggiare con i membri della Divisione giovani. Una volta, la ringraziammo del suo sostegno e le chiedemmo se il nostro Centro fosse troppo rumoroso o se le stesse causando dei problemi. La donna sorrise e disse: «No, mi piacciono le persone vitali». Il Centro culturale della SGI di Hong Kong gode oggi di fama e ammirazione fra la gente. I legami possono formarsi anche in un brevissimo incontro. Questa è la prospettiva del Buddismo. E la saggezza del Buddismo ci insegna a rafforzare e approfondire quei legami.
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Non abbiate paura,
poiché le parole mendaci
dei malintenzionati
servono solo a rafforzare
la nostra fede.
Non c’è suono più bello di quello di una persona che parla con sincerità delle proprie convinzioni. Il Sutra del Loto descrive la voce di un bodhisattva che predica la Legge per amore dell’umanità come «una voce pura, profonda e meravigliosa».
Anche parlare con gli altri al telefono è un’opportunità per dimostrare il potere della propria voce. Le operatrici telefoniche della sede centrale della Soka Gakkai e del Seikyo Shimbun ricevono spesso lodi per le loro voci vibranti e per l’eccellente servizio fornito agli utenti. Il regno della Soka Gakkai riecheggia delle voci meravigliose che affermano e diffondono la verità. Perciò non saremo mai sconfitti.
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Trent’anni fa, i centralini della sede generale della Soka Gakkai e del Seikyo Shimbun furono inondati di chiamate che mandarono in tilt il sistema. Questo avveniva il 24 aprile 1979, il giorno in cui rassegnai le mie dimissioni da presidente della Soka Gakkai. I membri chiamavano per sapere il motivo delle mie dimissioni. Quel giorno al Seikyo Shimbun ricevettero più di tremila chiamate che esprimevano lo shock dei membri, la loro rabbia e tristezza per questo evento improvviso. Tutti i miei sinceri compagni di fede mi esternarono il loro sostegno, immutato in quel momento cruciale. Le operatrici, molte delle quali cercavano di non piangere, li rassicuravano dicendo: «Sensei sarà sempre il nostro maestro». Mia moglie e io non dimenticheremo mai questa dimostrazione di solidarietà.
Anche nelle nostre vite quotidiane e nelle attività, una singola telefonata può avere un impatto straordinario. Dal momento che non possiamo vedere il volto dell’altra persona, il tono della nostra voce e le parole che scegliamo sono di estrema importanza. Lo staff delle nostre operatrici ha elaborato tre linee guida da seguire durante le comunicazioni telefoniche: 1) parlare usando un tono caloroso e amichevole; 2) ascoltare attentamente quello che sta dicendo l’altra persona; 3) aggiungere una parola che lasci all’interlocutore una sensazione positiva.
«La voce svolge il lavoro del Budda». Questo è il motivo per cui dovremmo considerare ogni conversazione, telefonica o no come parte della nostra pratica per avvicinare le persone al Buddismo e accumulare fortuna nelle nostre vite.
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Ronaldo Mourão, l’astronomo brasiliano col quale ho pubblicato di recente un dialogo, serba nel cuore queste parole insegnategli dal padre: «Nessuno trascorre la propria vita senza cambiare mai le sue idee. I pregiudizi si possono trasformare col passare del tempo». Mourão ritiene che il dialogo sia il mezzo per approfondire la comprensione e superare i pregiudizi. Ha detto anche: «Il fine dei dialoghi portati avanti dai membri della SGI in tutto il mondo non è quello di fare clamore per attirare l’attenzione su di sé; essi sono come una calma corrente sottomarina, come il flusso di un fiume, un incessante fluire di dialogo».
In particolare, l’impegno dei giovani nel dialogo ha il potere di cambiare il mondo. Sappiamo anche che le voci delle donne hanno giocato un ruolo immenso nel trasformare la storia. Significativi sono inoltre i dialoghi portati avanti dalle persone oneste che affrontano coraggiosamente le onde turbolente della società. Non c’è bisogno di alzare la voce, piuttosto è importante impegnarsi in un fertile dialogo con gli altri, parlando con costanza, instancabilmente come un fiume che scorre. Questa è la via sicura per realizzare kosen-rufu.
Il capitolo “Esortazione alla devozione” afferma: «Saremo gli inviati dell’Onorato dal Mondo e affronteremo le moltitudini senza paura» (SDL, 255). Ci stiamo sforzando come inviati del Budda e discepoli dei grandi maestri di kosen-rufu. Orgogliosi della nostra nobile missione, cerchiamo il contatto con gli altri. Che cosa dobbiamo temere? Lottiamo con coraggio per vincere in ogni singola battaglia, tirando fuori il nostro potenziale e la nostra forza davvero stupefacente.
Vivendo un’esistenza basata sul dialogo, i nostri sforzi contribuiranno alla creazione di un mondo di armonia tra gli esseri umani.
Sul vasto palcoscenico del mondo
rafforziamo ancora
la nostra rete di Soka
e vinciamo
in tutti i campi
della nostra vita.
(28 giugno 2009)