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Tutt'uno con l'Universo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:20

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Tutt’uno con l’Universo

Recitare Nam-myoho-renge-kyo è un’azione apparentemente semplice ma che racchiude molti aspetti e innumerevoli significati. L’invocazione della Legge ci permette di percepire la nostra vita, i nostri pensieri, i nostri limiti e, nello stesso tempo, ci dà anche la chiave per realizzare una felicità piena

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Recitare Nam-myoho-renge-kyo è un’azione apparentemente semplice ma che racchiude molti aspetti e innumerevoli significati. L’invocazione della Legge ci permette di percepire la nostra vita, i nostri pensieri, i nostri limiti e, nello stesso tempo, ci dà anche la chiave per realizzare una felicità piena

Qual è l’atteggiamento migliore da avere per recitare Daimoku, sia da un punto di vista fisico che spirituale?

Josei Toda, il secondo presidente della Soka Gakkai, era solito dire che per risolvere i problemi e assaporare una felicità piena ci volevano tre cose: Daimoku, Daimoku e Daimoku.
Il Daimoku, cioè la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo è la base del Buddismo di Nichiren. Il nome della Legge dell’universo, la Legge che regola tutti i fenomeni, è breve ma potentissimo e ricco di significati, e quando ne sperimentiamo l’infinito potere e la profondità ne restiamo stupiti. Quando Nam-myoho-renge-kyo viene attivato ha la capacità di liberare la nostra vita da tutti i limiti che l’hanno imbrigliata fino al momento prima e di darle un nuovo respiro. Dopo questa prima riflessione è importante anche sapere a cosa prestare attenzione quando recitiamo Daimoku. Iniziamo dall’aspetto fisico.
Uniamo le palme delle mani in preghiera perché questo rappresenta il principio di kyochi myogo, cioè la fusione di realtà soggettiva e realtà oggettiva, così come le dieci dita unite insieme indicano il mutuo possesso dei dieci mondi. Perciò quando stiamo davanti al Gohonzon con le mani unite è come se stessimo affermando che siamo noi a decidere della nostra vita. Anche se spesso e volentieri non ce ne rendiamo conto è una cerimonia solenne a cui prendiamo parte almeno due volte al giorno. Più profondamente vi partecipiamo da quando abbiamo preso parte alla Cerimonia nell’aria come Bodhisattva della Terra e abbiamo promesso di impegnarci per kosen-rufu.
Anche la voce svolge un ruolo fondamentale durante la recitazione perché imprime e riflette la direzione della nostro ichinen. Una voce flebile e lamentosa non aiuta a elevare la propria condizione vitale; recitare eretti e composti con la testa alta e lo sguardo al Gohonzon richiede più impegno che recitare con le spalle un po’ incurvate, ma porta a cambiare un atteggiamento rinunciatario o tentennante. Si dovrebbe recitare un Daimoku che risuoni come il ritmo di un cavallo al galoppo e con l’intensità di un leone all’attacco, generando gioia in chi lo ascolta. Di conseguenza, anche la recitazione insieme agli altri che avviene nelle sale dei nostri Centri culturali dovrebbe rispondere alla consapevolezza di essere nella stanza del Budda insieme ad altri Budda: quindi con telefoni possibilmente spenti, senza colloquiare con i nostri vicini per non disturbare gli altri.
Tempo fa, il direttore generale Tamotsu Nakajima, ha ricordato: «Si recita a palme unite, con gli occhi aperti, decidendo di mantenere questa posizione, anche se a volte è difficile, ed evitando di accavallare le gambe o di tenere le braccia conserte. Si tratta di rispetto. Io non terrei mai le gambe accavallate davanti a Nichiren Daishonin, né, per esempio, lo accoglierei in pigiama. Inoltre dovremmo proprio evitare di interrompere la recitazione per salutare le persone che entrano. La recitazione di Gongyo e Daimoku è una cerimonia solenne, che richiede la massima concentrazione» (NR, 407, 17).
E infine come fare a non seguire i propri pensieri quando si recita? Recitare Daimoku significa far “dialogare” la nostra verità più profonda, la Buddità, con l’universo e quest’attività è molto diversa da quella del pensare. Affidarsi è il modo corretto di utilizzare prima di ogni altra cosa la “strategia del Sutra del Loto” perché il nostro pensiero è limitato da una serie di fattori e si autoimpone dei limiti insormontabili. Pensare alle strategie possibili durante la recitazione significa porre dei limiti alla nostra vita e non permettere di conseguenza alla natura di Budda di emergere: «Quando facciamo Gongyo e recitiamo Daimoku al Gohonzon, il microcosmo della nostra vita individuale entra in armonia con il macrocosmo dell’universo. […] Quando un essere umano celebra questa cerimonia è come se spalancasse le porte al tesoro nascosto nella sua interiorità, rivelando la fonte dell’energia vitale, altrimenti sopita nei più reconditi recessi dell’essere. In questo modo è possibile far sgorgare un’inesauribile fonte di saggezza, compassione e coraggio» (Daisaku Ikeda, I protagonisti del XXI secolo, Dialoghi con i giovani, 1, 227).

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